Una citazione al giorno

Una citazione al giorno -
Data Rivoluzionaria

Senza titolo

L'altro giorno parlavo con un amico che è anche un collega, e mi sono imbattuto in una sua domanda che mi ha lasciato di stucco. Gli dicevo che ho costituito un gruppo su facebook destinato ad accogliere i genitori dei miei alunni di primo anno, e dato che il mio amico non ha alcuna idea di cosa voglia dire educare poiché anche lui, come gli altri, è calato nel concetto di 'addestramento bipedi', mi ha posto la seguente domanda: 'e se i ragazzini vi scoprono'? Sapete quante implicazioni negative contiene questa domanda? Un'infinità. Dico solo che la domanda è nata dall'effetto della sua paura non rivelata circa un possibile complotto tra me e i genitori contro i ragazzini. Ci vuole proprio una coscienza ben addestrata alla pedagogia tradizionale per associare le figure dei genitori e del docente con un conseguente complotto ordito contro i ragazzi. Cioè, il mio amico ha dato per scontato il fatto che in quel gruppo si deliberino punizioni e si escogitino stratagemmi spiacevoli alle spalle dei ragazzi e contro di loro. Basta, non dico altro, mi pare già tanto.
Invece quel gruppo ha motivo di esistere in funzione di molte cose utili, ad esempio il fatto di rendere partecipi i genitori di ciò che faccio, di come lo faccio, e del perché lo faccio in quel modo. Cosa che, del resto, i ragazzi sanno benissimo perché motivo sempre ogni cosa, e se volessero entrare a far parte di quel gruppo sono i benvenuti, anzi lo auspico, ma non è ancora il momento, devo prima fare in modo che un certo cemento faccia presa tra me e i genitori. Il gruppo è anche un modo per cercare di concretizzare l'idea di una sana educazione, organica, consapevole, per la quale l'intervento dei genitori non può essere bandito, portatori come sono di idee e di esperienze, non è necessario avere un titolo o una patente. Certo, per questo obiettivo pedagogico, il gruppo, essendo virtuale, è in verità molto palliativo, ma è già un passo avanti rispetto alla norma della scuola pubblica, dove i genitori sono ricevuti dai docenti solo in poche occasioni, singolarmente, rarissimamente in gruppo, e solo al fine di ottenere un resoconto dell'attività autoritaria imposta dalla scuola ai loro figli e sul grado di sopportazione degli stessi al metodo scolastico.
Perciò, niente che possa nuocere ai ragazzi, tutt'altro, il gruppo è uno strumento di crescita per tutti, anche per me. L'impresa però non è facile, dal momento che dovrò prima aspettare che questi genitori assimilino la pedagogia libertaria, almeno un po', e dato che le persone adulte hanno più difficoltà a capire i concetti di libertà rispetto ai bambini, dovrò fare appello a un grado elevatissimo di ponderazione e di tatto, per adesso tutto procede bene.

Perché mio figlio è diventato introverso?


 Ci sono bambini timidi o introversi per indole o per influenza genetica, altri invece lo diventano e acuiscono la loro introversione man mano che crescono. Spesso i genitori credono che in tutti questi casi sia la natura a cambiare lo stato caratteriale dei figli, raramente si soffermano sul fatto che il carattere si modifica soprattutto in base al contesto, all'ambiente in cui vivono i bambini. Ancora più raramente questi genitori si pongono il problema riferito al rapporto figlio/scuola, pensando addirittura che la scuola tradizionale aiuti il figlio nelle relazioni e a superare la timidezza e l'introversione. Non esamino i casi dell'introversione come fattore positivo, creativo, abbastanza rari in verità. Ma se la scuola è il luogo dove il bambino cresce insieme agli altri, come mai certi comportamenti dei nostri figli vanno in direzione opposta alla convivialità e alla sicurezza di se stessi? Insomma, se un bambino nasce disinibito e sicuro, come si spiega il fatto che molto spesso, nel giro di pochi anni, diventa triste, introverso, pauroso, timido, remissivo, o scontroso? Domandiamoci anzitutto quale ruolo hanno i genitori in seno alla famiglia, primo nucleo autoritario in cui si trova il neonato. Quando il bambino incontra in famiglia le prime regole con le relative punizioni (parlo di regole che nulla hanno a che fare con l'incolumità fisica del bambino, le sole indispensabili *), è molto facile capire che quelle coercizioni parentali abbiano un'influenza decisiva e negativa sul suo carattere. Quando poi il bambino va a scuola si compie l'ulteriore massacro dell'autodeterminazione e dell'autostima. La paura dello studente, nella scuola tradizionale, diventa il suo pane quotidiano, con tutto quello che la paura comporta (e porta) nella modifica del carattere. E non è una buona modifica. Va da sé che in età adulta si impara persino a convivere con la timidezza, tanto che ogni adulto adotta varie strategie per non farla vedere agli altri, e questa è addirittura un'autocoercizione, come dire: sto male ma mi autoimpongo di non farlo vedere. E così quell'adulto si fa più male.
I bambini a scuola imparano ad aver paura per ogni cosa che fanno. La paura nasce dalla conoscenza di una conseguente punizione o di un voto o di un qualsiasi giudizio esterno. Parliamoci chiaro, i bambini hanno paura della punizione, non del problema da risolvere obbligatoriamente (ammesso che gli esercizi scolastici possano essere definiti problemi da risolvere, e ammesso che l'obbligatorietà sia un metodo educativo allettante per i bambini). Ed è la paura della punizione, del giudizio negativo, la causa principale dell'insicurezza in un bambino nato sicuro di sé. Se i bambini fossero liberi da questo tipo di paura, la loro energia intellettuale e creativa non avrebbe ostacoli e si sprigionerebbe in tutta la sua vitalità nella ricerca di mille soluzioni per un problema. Quando sono liberi i bambini? I bambini sono liberi quando giocano lontani dagli occhi giustizialisti e indagatori degli adulti, ed è quella condizione di libertà, quello scollamento dalla paura della punizione, che fa trovare loro tutte le soluzioni ai problemi. E se nei loro giochi i bambini a volte sbagliano, essi non si pongono alcun problema e ritentano, magari ascoltando le opinioni dei compagni e valutando tutti insieme qual è la soluzione migliore per tutti. Questa libertà non può essere la precondizione alla tristezza, alla timidezza, all'introversione o all'arroganza, tutt'altro.
Errico Malatesta così diceva in merito alla libertà di errore su cui ogni individuo dovrebbe poter contare: 'nessuno può giudicare in modo sicuro chi ha torto e chi ha ragione, chi è più vicino alla verità e quale via conduce meglio al maggior bene per ciascuno e per tutti. La libertà è il solo mezzo per arrivare, mediante l'esperienza, al vero e al meglio; non vi è libertà se non vi è libertà di errore'. Se il bambino viene allenato per anni al ricatto della punizione, da adulto imparerà a concepire la vita secondo questo modello autoritario, lo ripeterà a sua volta, e dipenderà per sempre dai giudizi altrui. Quel bambino non sarà mai un individuo libero, neppure nel pensiero, perciò cercherà sempre qualcuno che gli imporrà dei binari comportamentali, ad esempio un partito, un capo, un referente qualsiasi, un po' per discolparsi in caso di fallimento, un po' per abitudine alla deresponsabilizzazione, un po' per vigliaccheria, un po' per paura della libertà (che non conosce più) e di quella autostima che la scuola gli ha tolto per sempre.

'Le limitazioni alla libertà di un bambino sono giustificate solo quando sono indispensabili per la difesa della sua persona. Altrimenti sono dei veri e propri attentati alla sua persona'. (Marcello Bernardi)

Alexander Inglis: le funzioni del sistema educativo nazionale


Non sono pochi, al di là dei pedagogisti libertari, quegli studiosi e quei filosofi dell'educazione che hanno candidamente ammesso, quindi rivelato, quale sia il vero scopo della scuola. Parole, ammissioni, analisi, che andrebbero divulgate in ogni dove, usate come armi potenti di difesa contro tutti i provvedimenti ministeriali. Ma finché i docenti continueranno a ignorarle e a considerarsi dei portatori sani di verità da inculcare alle nuove generazioni, una pedadogia attenta alle istanze veramente umane e antiautoritarie verrà sempre disattesa, attaccata, e con essa anche una società futura libera e pacifica. Allora vorrei proporre alcune di queste rivelazioni, che stanno anche alla base del pensiero di Ivan Illich circa la necessità e l'urgenza di 'descolarizzare la società'. Perciò, a ben vedere, il 'programma nascosto' di cui proprio Illich parla non è proprio così nascosto, se non fosse per la censura sistematica operata dai media e per il fatto che il 99% dei docenti è completamente ignaro di tutto ciò, quando non avversario. C'è chi ha studiato talmente bene gli obiettivi nefasti della scuola che ha redatto un vero e proprio schema di funzioni in alcuni punti, che qui pubblico, e che mi ricorda, per il suo carattere rivelatore, lo schema/modello di Roman Jakobson sulle funzioni della comunicazione.
Comincio anzitutto con una dichiarazione di Henry Louis Mencken, un colosso della cultura statunitense del Novecento, che così scrive in The American Mercury (1924) in merito a quello che NON E' l'educazione pubblica:

I punti che svelano la funzione della scuola sono stati elaborati da Alexander Inglis nel 1918 e pubblicati nel libro Principles of Secondary Education. Noterete che, a dispetto della data, ma proprio in virtù di quella, tutto è tragicamente rimasto inalterato. Inoltre, noterete l'universalità del modello educativo; infatti, anche se Inglis e il precedente Mencken parlano riferendosi all'educazione americana, la loro analisi non conosce confini, poiché il modello educativo è stato concepito per una omologazione globale.



Newtown, espressione di una precisa cultura

Scrivo di getto, non voglio neanche correggere, oggi non mi interessa, sento l'urgenza di dire la mia su questa strage di Newtown dove hanno perso la vita molti bambini per mano di un ragazzo omicida. Tutte le autorità USA si chiedono oggi il motivo, tutti 'gli esperti' (di che?) cercano il motivo. Il motivo lo conoscono molto bene, ma è un motivo che non può essere rivelato, poiché mette in crisi e svela il loro stesso sistema criminale.
Se a questo riguardo dovessero parlare i sociologi, e se nel loro parlare utilizzassero la verità, emergerebbe il fatto che questo ennesimo omicidio di massa fa capo a un modello culturale preciso. Anzi, fa capo all'unico modello culturale imposto a tutto il mondo, e che affonda le sue radici nella Storia dell'autoritarismo statale. Il sistema statalizzato è statalizzante. Che cosa voglio dire? La cultura delle armi, della violenza, della competizione, del dominio dell'uomo sull'uomo, della discriminazione, genera esattamente le stesse cose. Non può essere altrimenti, e lo sanno anche le triglie. Questo omicidio è la proiezione del sistema violento che il ragazzo omicida portava dentro di sé fin da piccolo. Il sistema vuole che ciò accada, poiché senza crimine ogni Stato non potrebbe ergersi a (falso) tutore dell'ordine. Ma sappiamo bene che l'ordine del sistema è fatto di quelle stesse cose di cui sopra: armi, violenza, competizione, dominio dell'uomo sull'uomo, discriminazione, coercizione, repressione, eccetera. Il sistema non fa altro che guerra e pubblicità alla stessa, in tutte le salse possibili, anche attraverso la diffusione dei videogiochi ('lasciate che i bimbi vengano a me', la dottrina di Stato è sempre pronta). 
Non è un caso che la lobby della armi e i repubblicani individuino come soluzione la violenza che si aggiunge alla violenza (hanno detto che se le maestre avessero avuto un'arma avrebbero sparato in fronte al ragazzo armato, e avrebbero risolto il problema). Questa è la soluzione secondo ogni Stato: coprire la violenza con altra violenza. E' chiaro a tutti che così facendo i problemi non si risolvono mai, qualcosa la Storia dovrebbe insegnare, semmai i problemi si acuiscono, ma è ciò che vuole ogni cultura statalizzata. E non sarà diverso, sicuramente, l'atteggiamento di Obama (ipocritamente in lacrime oggi, ma disinvolto di fronte ai bambini palestinesi o siriani uccisi), poiché non si potrebbe mai immaginare uno Stato che imponga la cultura della solidarietà e della pace, intendo dire a fatti concreti, non a retorica. Cosa mai potrà escogitare Obama quando dice di voler risolvere il problema? Altre coercizioni, altre alienanti oppressioni, è ovvio, che generano devianze psicologiche, come ad esempio -la butto lì- sistemi di ipersorveglianza, sbarre alle finestre, monitoraggio compulsivo sulle presenze scolastiche, poliziotti davanti ad ogni scuola, ecc. Tutti metodi che pescano direttamente dalla cultura della violenza statale, che non eliminano la radice del problema, non vogliono eliminarla, ma tendono a opprimere gli individui, a renderli molto più sensibili ai sentimenti di vendetta.
Il problema va risolto con un netto cambio di direzione della cultura imposta. Non può esistere una civiltà che ponga il possesso delle armi come diritto, perché a forza di questi pseudodiritti si è costruita una non-civiltà, una bolgia di 'criminali di diritto' (il primo criminale di diritto è lo Stato). Costruire società solidali e pacifiche è ciò che ci serve, ma è anche ciò che ogni Stato non può e non vuole fare, pena la sua dismissione (fine dei privilegi, fine della divisione in classi sociali, fine dello sfruttamento del popolo). Purtroppo, nelle società statalizzate tutto è indirizzato nella direzione opposta alla pace. Il circolo vizioso costruito sulla coercizione degli individui che li spinge al crimine e che quindi si inasprisce tutte le volte che si commette un crimine generando altre coercizioni e altri crimini, è aberrante, innaturale, inumano, criminale. Ma sostituire questa cultura della violenza con la cultura della pace (concretamente) significa progettare, pensare, costruire, società non più statalizzate, ma anarchiche. Occorre che siano le persone a fare questa cultura della pace, snobbando il sistema, non facendosi condizionare. Gli esempi di cultura anarchica ci sono, e dànno la misura precisa di come ogni cosa possa ritornare alla sua originaria e pacifica naturalezza.

Non piango solo per quelle vittime innocenti, piango per tutta l'umanità deviata e cieca.

La solidarietà sincera dei bambini (video)

Poiché la natura ha concepito l'Uomo volendolo creatura a carattere sociale, la solidarietà è per ogni individuo l'elemento indispensabile per il suo progresso e per quello del gruppo di cui fa parte. Così in effetti è stato da che l'Uomo è apparso sulla Terra, fino a che, poche migliaia di anni fa, non è intervenuto un elemento disastroso a portare guerra e inganno (vedi). Oggi la solidarietà è stata sostituita dalla competizione, quale deleteria forma educativa e sostitutiva voluta da un sistema di gestione sociale del tutto innaturale, che della competizione si nutre, con essa prospera, a svantaggio dell'individuo e della sua autonomia. Gli effetti disastrosi li tocchiamo con mano ogni giorno, e nonostante l'anarchismo continui a fare appello al modo naturale di gestire le cose, ci sono ancora delle persone che a quell'appello non vogliono dare seguito, per ignoranza, per pregiudizio, per malafede, per abitudine, per paura della libertà. La solidarietà è diventata ormai un elemento puramente mitologico e retorico, buono da tirar fuori per ogni sorta di opportunismo. E poiché la solidarietà ce la portiamo comunque tutti dentro, ancorché soffocata e nascosta nel profondo, ecco che chiunque opportunisticamente la tiri in ballo dall'alto di una presunta posizione autoritaria, essa tocca le nostre corde emotive e ci spinge ad agire di conseguenza. Tipici sono gli appelli alla solidarietà lanciati dai politici o da qualche organizzazione ad essi collegata, per il loro esclusivo tornaconto.
Per vedere oggi un sentimento sincero di solidarietà dobbiamo riferirci ai bambini, quelli non ancora contaminati dalle sovrastrutture degli adulti, quelli non ancora scolarizzati, non ancora indottrinati. Guardando anche il video qui sotto, che è solo un minuscolo esempio, domandiamoci: possiamo ancora permetterci di affermare che gli adulti debbano poter avere il diritto di insegnare la vita ai bambini?

 
La solidarietà innata dei bambini from Scuola Libertaria on Vimeo.

Francesco e le società gilaniche

La questione delle società gilaniche, e della loro sistematica censura è assolutamente centrale nella comprensione della cultura umana e del regresso morale che l'Uomo ha subìto a causa dell'imposizione dello Stato come organizzazione sociale alternativa apparsa stabilmente in Europa circa 3000 anni or sono. In effetti, la convinzione comune secondo cui è lo Stato ad aver portato la 'civiltà' nasce perché si suole banalmente pensare che prima dello Stato l'umanità fosse rozza, bestiale, malvagia, sanguinaria, primitiva (nell'accezione più negativa del termine), incapace di gestire la propria esistenza, senza alcuna morale, e cose di questo genere che non hanno alcun riscontro storico-antropologico, ma anche solo logico. E' gioco-forza pensare in questi termini finché ci sarà una propaganda di sistema volta in questo senso e finché le società gilaniche continueranno ad essere censurate, e con esse anche la dimostrazione del fatto che l'essere umano, prima dello Stato, non soltanto era pacifico e cooperativo, ma ovviamente anche libero (quindi propenso alla convivialità) e disinteressato al modello gerarchico autoritario. Questo lo Stato non vuol proprio farlo sapere, perché gli conviene diffondere il dubbio o la convinzione secondo cui: 'eh sì, ma senza Stato saremmo tutti dei barbari e ci scanneremmo'. 'Senza Stato', nel pensiero comune, banale e massificato, starebbe per 'senza legge', che è un ossimoro clamoroso (niente in natura è senza legge), come se prima dello Stato non ci fossero leggi, come se lo Stato sia l'inventore di una legge assoluta (niente è assoluto in ciò che vive, perché ogni cosa che vive cambia, ma lo Status no, perciò lo Stato è -per sua indole e per suo stesso nome- qualcosa di statico, di morto, che genera necessariamente cultura della morte) Certamente, allo Stato gli conviene non diffondere la conoscenza delle società gilaniche perché in questo modo le persone si aggrappano all'unica informazione fornita loro come appiglio culturale, di conoscenza, e cioè all'idea che lo Stato sia l'unico metodo di organizzazione sociale possibile, razionale, necessario e financo giusto. Ormai lo Stato viene percepito come una vera religione, liturgie annesse e connesse. Per questo motivo, dicevo, la conoscenza delle società gilaniche rappresenta un punto imprescindibile per la comprensione delle cose. L'ignoranza rispetto a questa realtà sociale conduce persino alcuni anarchici, ancora oggi, a rimanere bloccati di fronte al dubbio in merito all'identità caratteriale umana prima dello Stato, e cadono nell'errore dei massificati, pur avendo argomenti validissimi a difesa dell'umanità post statalizzata.
Data allora la centralità dell'argomento, a scuola ne parlo. Francesco che ha 11 anni ha risposto così a tre domande.


1) Per quale motivo le società gilaniche erano pacifiche?
2) Che tipo di arte avevano sviluppato queste società?
3) Perché si sono estinte, e cosa è cambiato nella civiltà?

1) Le società gilaniche erano pacifiche perché non conoscevano la guerra (le uniche armi che avevano erano per la caccia) e non conoscevano il governo perché le leggi se le facevano loro.
2) Queste società avevano sviluppato l'arte come una preghiera (qui Francesco si è confuso con l'arte rupestre del paleolitico. ndr).
3) Si sono estinte quando è incominciato ad arrivare un notevole cambiamento del clima (parla della zona caucasica, territorio dei Kurgan, poi invasori dell'Europa. ndr), in quel periodo dunque c'era in tutta la zona ghiaccio e dato che i terreni ancora coltivabili erano pochi chi li trovava per primo se li prendeva e per essere sicuri che nessuno glieli portasse via ci metteva dei soldati (figli, mogli, ecc.) con le armi da caccia almeno se qualcuno cercava di prenderli i soldati li uccidevano. Poi migrarono, arrivarono da noi italiani (Europa. ndr) e fecero la guerra (noi prima la guerra non la conoscevamo) i figli però non migrarono ma continuarono la sbagliata opera di continuare a fare la guerra.

Sindacati inutili, anzi dannosi


Per fare in modo che questo sia un blog che parla di pedagogia libertaria, occorre che vi sia anche qualche articolo che tratti (a mo' di eccezione) argomenti inerenti a ciò che gira intorno alla scuola tradizionale autoritaria. Perciò scrivo quanto segue.
Oggi c'è stata un'assemblea sindacale unitaria, presenti i seguenti:
CGIL, CISL, UIL, SNALS
Parliamoci chiaro, se queste corporazioni associate e asservite hanno ancora il coraggio di presentarsi di fronte ad una platea (dopo lo scandalo di quel tristemente famoso accordo con lo Stato secondo cui 'ciascuna azione di sciopero, anche se trattasi di sciopero breve o di sciopero generale, non può superare, per ciascun ordine e grado di scuola i due giorni consecutivi'), vuol dire molto esplicitamente che esiste una platea ancora disposta ad ascoltare questi imbonitori di professione. Io non sono andato all'assemblea, ma so cosa è stato detto, e anche quello che non è stato detto.
L'ordine del giorno, facilmente intuibile, riguardava le disposizioni governative contro i lavoratori della scuola e contro la scuola-azienda. Dopo tanti bla bla, dal tavolo assembleare è partita la sentenza. A una persona intervenuta dalla platea, che chiedeva cosa i sindacati presenti avessero pensato di fare per contrastare questa deriva, la risposta dei cattedrati eletti e baldanzosi è stata la seguente:
'Ognuno di voi, autonomamente, nelle rispettive scuole, provveda a trovare iniziative e ad applicarle'.
Molto bene, ancora una volta il sistema butta giù la maschera. E non a caso parlo di sistema. Infatti questi carrozzoni, e parlo anche di istituzioni in generale, di governi, di fronte a vere questioni di responsabilità, dichiarano ogni volta la loro presa di distanza, dicendo che è compito delle persone provvedere a sé e agli altri, in autonomia, per il bene comune. E le persone lo fanno, salvando persino la faccia a quelle stesse istituzioni che si dicono preposte alla responsabilità di tutti. Evidentemente la responsabilità appartiene solo al popolo, ma invero quest'ultimo si crede sempre incapace di autogestirsi la vita, ha bisogno di delegare, salvo nei casi in cui l'istituzione non gli dica di prendere in mano la situazione, allora si avvia la spontanea solidarietà e tutta la mirabile capacità organizzativa del popolo. Ma dopo, i meriti se li prende sempre lo Stato, l'istituzione o, come in questo caso, il sindacato. Troppo comodo.
Cari colleghi (e colleghe), forse non avete capito che questi irresponsabili vi stanno dicendo di essere anarchici. Siatelo! Smettetela di delegare a destra e a manca, non serve, lo avete capito anche oggi, spero. E siccome questi sindacati, oggi come ieri, se ne lavano beatamente le mani, vi invito a fare la vostra prima azione responsabile: disubbidite all'accordo sindacati-stato del 1999, e scioperiamo insieme a oltranza fino a che non ci riconosceranno quello che ci è dovuto. Paura di perdere qualche centinaio di euro? Abbiatene di più per la perdita di migliaia di euro, una perdita voluta da estranei! Se siamo ridotti così, è per colpa del vostro asservimento a questi sindacati che fanno sempre il gioco dello Stato. Strappate le tessere e vedrete come correranno dal governo a ritrattare quell'accordo scellerato, e anche tutto il resto. Ma forse a quel tempo avremo imparato ad autogestirci senza aver più bisogno di intermediari.

Accordo sindacati-stato, Articolo 4, punto 3, lettera c: (Legge 146/90 e 83/2000)
'ciascuna azione di sciopero, anche se trattasi di sciopero breve o di sciopero generale, non può superare, per ciascun ordine e grado di scuola i due giorni consecutivi. Il primo sciopero, per qualsiasi tipo di vertenza, non può superare, anche nelle strutture complesse ed organizzate per turni, la durata massima di un’intera giornata. Gli scioperi successivi al primo per la medesima vertenza non supereranno i due giorni consecutivi. Nel caso in cui dovessero essere previsti a ridosso dei giorni festivi, la loro durata non potrà comunque superare la giornata'.

Creatività in cortile

Ogni tanto disegno per terra, in cortile, mentre i ragazzi giocano o se la raccontano. Ma tutte le volte che comincio un disegno loro si avvicinano, guardano, partecipano, completano il disegno o ne fanno di nuovi. Questa volta si è andati oltre il 'semplice' partecipare lì per lì, ci siamo lasciati coinvogere in un vero progetto, divenuto tale dopo alcune valutazioni. Avevo inizialmente disegnato solo delle forme, poi ci siamo accorti che quelle forme potevano diventare qualcosa di reale, così abbiamo deciso che il disegno diventerà una scultura da realizzare con materiali eterogenei, riciclati e colorati.


Dato che un disegno fatto all'aperto, col gesso, non può durare a lungo, i ragazzi si sono precipitati a stabilire da soli chi sarebbe stato, tra loro, quello più portato a ricopiare il progetto sulla carta. Praticamente, senza volerlo e giocando, hanno fatto la loro bella autovalutazione delle competenze grafiche di ciascuno, e tutti hanno deciso di attribuire il compito a Luca, il quale ha accettato con gioia. Eccolo all'opera, col sostegno degli altri.


Possiamo certamente trarre buone conclusioni da questa esperienza, e le stesse conclusioni saranno esposte ai ragazzi e alle ragazze. E' importante spiegare il 'cosa è successo davvero' in una qualsiasi esperienza, al di là dell'aspetto ludico e percettivo.

Nina e l'animale assoluto


(Sono stanco, non so riuscirò a scrivere)
Il disegno qui sopra non merita di essere osservato attraverso un medium (in questo caso lo schermo del computer), con approvazione o buona pace di Walter Benjamin che, oltre a quelli positivi, ha pure individuato i lati negativi della riproduzione tecnica delle opere d'arte, come la perdita dell'aura o del 'qui e ora'. Questo disegno necessiterebbe di un'osservazione diretta, non mediata, per poter cogliere tutta la sua forza espressiva e significante. E mi dispiace non aver assistito in maniera estemporanea alla sua realizzazione, in quel momento stavo osservando altri disegni. Ma tant'è, siamo qui, elettronicamente, e cercherò di spiegare il motivo per cui dedico un post a questi 'quattro segni'.
Come vedete, si tratta dell'immagine di un animale, l'ha realizzata Nina che ha 12 anni. Dall'anno scorso, Nina ha capito bene le mie parole quando le dicevo che non importa essere un Leonardo da Vinci, l'importante è invece esprimersi nel modo che si vuole, e che uno 'scarabocchio' è ottimo se viene realizzato con tutte le possibilità che si hanno in quel momento. Perciò Nina si lancia senza avere alcuna paura, sa che non riceverà mai da me giudizi o voti.
Quei segni sul foglio hanno una fortissima valenza iconica. Se notate, non c'è un solo segno che non sia significante nel rapporto con gli altri segni, nulla è superfluo, ogni segno serve agli altri segni. Questo vuol dire che il disegno è compiuto in se stesso, e come tale ha carattere assoluto, classico; infatti non ha tempo, è un'immagine che potrebbe risalire a 40.000 anni fa, ma è anche modernissimo. Nella visione dei bambini il concetto di superfluo non esiste, ogni elemento che essi disegnano è per loro necessario, indispensabile, e non sono pochi i disegni nei quali, a noi adulti, sembra di vedere una sovrabbondanza di elementi, anche ridondanti, ma in questo caso sono stati pensati pochi tratti per esprimere l'idea visiva di un animale. Pochi tratti che non sono stereotipati, sono invece autenticamente personali.
Nina ha voluto disegnare un cane, ma siccome i segni organizzati nel foglio non le permettevano di connotare la figura, ha pensato di scrivere 'cane' tra parentesi, sopra l'immagine. Ho parlato con Nina di questo disegno, mi ha detto che l'immagine poteva inizialmente far pensare a un altro animale diverso dal cane, ma che poi, aggiungendo la lingua, il cane si sarebbe finalmente manifestato.


Il percorso logico di Nina si è snodato in cinque punti-base:
1) voglio disegnare un cane.
2) per far capire che si tratta di un cane devo disegnarlo in maniera realistica, ma non sono Leonardo da Vinci.
3) disegno la mia idea di cane, come posso, con i mezzi che ho.
4) disegno la lingua a penzoloni, tipica dei cani.
5) uso il linguaggio verbale come didascalia. 
E' interessante osservare lo stile, lineare, essenziale, minimale, veloce, sintetizza tutta quanta l'idea di un cane. Eccezionale la coda, che non ha bisogno di essere unita al corpo per far capire che si tratta proprio di una coda. Non c'è ricerca di realismo, ma se sintesi dev'essere, sintesi sia! E' un'opera che basta a se stessa, niente può essere aggiunto senza rovinarne la freschezza. I grandi artisti delle Avanguardie avrebbero dato chissà cosa per riuscire a trovare questa libertà espressiva, questa assenza totale di regole accademiche, quindi questo grado zero da cui può emergere soltanto la vera essenza della visione personale, l'azione autonoma e spontanea dell'artista. Dico la verità, quando ho visto questo disegno ho chiesto immediatamente a Nina se avesse voglia di disegnarne uno uguale, un doppione, tutto per me, lei lo ha disegnato, ma sapevo già che il risultato non sarebbe stato soddisfacente. Il disegno che vedete è proprio quello originale.


Dialogo con una pietra

- Chi gestisce la società, gli adulti o i bambini?

- Che domanda, gli adulti!
- E com'è la società?
- Vedo tanta ingiustizia, violenza, corruzione, inganno, sfruttamento, competizione...
- Quindi sono gli adulti i responsabili di tutto ciò?
- Ovvio!
- Non sono i bambini?
- Ma è evidente che no, i bambini non decidono alcunché, semmai subiscono le decisioni altrui.
- E allora perché gli adulti si arrogano il diritto di insegnare ai bambini il modo in cui costruire la società, se sono proprio gli adulti i primi a costruirla ingiusta e violenta? Con quale diritto gli adulti pretendono di sentirsi 'superiori e saggi' rispetto ai bambini? Non sarà che gli adulti, se vogliono una società giusta, debbano invece re-imparare tutto dai bambini, finché questi sono ancora liberi? Osservali, quei bambini, sono piccolissimi, ma guarda bene come giocano, come si relazionano, con quanta naturalezza si scambiano informazioni e organizzano in modo autonomo i loro giochi (che è la loro vita), non hanno sovrastrutture, stabiliscono insieme -e senza neanche scriversele- regole che poi cambiano e ricambiano, modificano e adattano di continuo; guardali bene quei bimbi, si fermano a guardare il mare o per un soffio di vento, e poi corrono a inventare altri giochi, lasciando ovunque segni e significanti che noi ignoriamo. Osservali bene quei bambini, sono piccoli, ma proprio per questo hanno il sorriso di chi non è ancora adulto e alienato. Sei ancora convinto di avere qualcosa da insegnare loro?

Quella foglia trovata in cortile



E' passato quasi un anno dalla morte di 'Mariomarietto', ma i ragazzi e le ragazze della classe non lo hanno certo dimenticato! La foglia di ficus che vedete ha una storia intima e condivisa allo stesso tempo. L'hanno trovata ieri alcuni studenti tra le aiuole del cortile della scuola. Il messaggio per il piccolo grande Mario dice: 'Ciao Marie<tto! Mi manchi tanto!! Cm stai??? Di sicuro molto bene, avrai già trovato tanti amici!! Baci dalla tua amica Marzia'.
Avevo già parlato del senso del lutto presso i bambini (vedi), essi sanno esorcizzare il dolore condividendolo con gli altri, esternandolo; per istinto naturale i bambini esprimono i sentimenti legati alla morte in un rito catartico collettivo. Il messaggio scritto su una foglia, rispetto ai messaggi scritti sul banco, ha un valore aggiunto; la foglia è il medium che lega l'emozione personale al ciclo della natura, un ciclo di vita nel suo continuo svolgersi. Marzia questo lo sa, ne avevamo discusso in varie occasioni parlando di armonia degli elementi naturali di cui l'essere umano fa parte. La condivisione, stavolta, non è solo con i compagni della classe, ma con tutti. In cortile ci vanno tutte le classi. E questo fattore di 'allargamento' del rito dimostra che l'affetto nei confronti di Mario vuole espandersi: Marzia ha semplicemente avuto bisogno di un teatro più grande, perché più grande è il suo pensiero d'affetto. 
Sul retro della foglia c'è un altro messaggio, lo ha scritto Alessia: 'Ma.rietto T.V.B. e mi manchi molto. By Ale'.


I bambini: quando li crediamo estranei alle cose, in realtà possono sorprenderci. Non sono io che devo insegnare qualcosa ai bambini, io posso solo ammirare la loro saggezza e imparare da loro il senso della vita, dell'amore e della libertà.

Utopie?

Utopie, intese comunemente come sogni o luoghi da realizzare o, nel migliore dei casi, da ritrovare. Qualcuno diceva (cito a memoria) che quando a sognare è una sola persona, quello è soltanto un sogno, ma quando a sognare sono tante persone, allora è l'nizio di una realtà. Anni fa, parlare di scuole libertarie era considerato un sogno o, per i benpensanti normalizzati, addirittura un'eresia, esattamente come avviene per l'anarchia che è la base necessaria per una educazione che pone al centro le esigenze della persona e le sue attitudini.
Oggi le scuole libertarie sono una realtà, non giacciono più nella dimensione utopica, le persone che hanno avuto quello stesso tipo di sogno lo stanno realizzando, e con successo. Le scuole libertarie stanno crescendo, fanno parlare di sé, dànno fastidio ai sostenitori della tradizione, urtano la coscienza dei cultori del 'si è sempre fatto così, quindi è giusto così'. Anche a Milano si aprirà una scuola libertaria a breve, e altri sogni sono in progettazione per la loro realizzazione in Italia, come a Modena (vedi); mi preme sottolineare questo aspetto del sogno (non a caso oggetto del pensiero creativo dei surrealisti) che soltanto in una dimensione progettuale e collettiva può diventare realtà, mentre è sempre bistrattato dai superficiali, dai conservatori abitudinari, da tutti quelli che non credono in se stessi  (figuriamoci negli altri, ed è colpa della scuola) e pre-giudicano in base alle supposizioni personali o alle banali apparenze.
Credere in un sogno appartiene ad ogni ribelle del consueto, a quelli che, oltre a dubitare e a criticare l'esistente, vogliono costruire cose diverse, migliori, umane. Ogni ribelle come me, però, aspetta sempre qualcuno con cui condividere il sogno, perciò ringrazio tutti quelli che hanno fatto del loro sogno un progetto comune di utopia realizzata, ma ringrazio anche tutti quelli che quell'utopia la vogliono realizzare e che per adesso stanno ancora sognando. Si distruggano per loro tutte le sveglie! 
Naturalmente un grazie anche a voi che mi leggete.

Scuola libertaria va in radio

Grazie a Marzia Coronati per aver trattato il tema delle scuole libertarie su AMISnet, l'agenzia multimediale di informazione sociale, nella trasmissione radiofonica 'Terranave'. L'audio può essere ascoltato aprendo QUESTO LINK che vi manda alla pagina di presentazione della puntata. La redazione si è occupata nello specifico della scuola Genio Selvatico, vicino Gubbio, e ha intervistato alcuni dei suoi componenti, compresi genitori e studenti. L'equipaggio di Terranave ha poi continuato il suo viaggio con un mio intervento, approdando infine alla rubrica 'A testa in giù', curata da Lianka Trozzi. Altri spezzoni del mio intervento, compresi quelli inseriti in trasmissione, possono essere ascoltati sul player in fondo al blog, oppure CLICCANDO QUI

Le tre istanze di Godwin sui danni della scuola

I danni di un sistema di istruzione pubblica [1] derivano, in prima istanza, dal fatto che tutte le istituzioni dello Stato includono in sé l'idea di conservazione... l'educazione pubblica ha sempre speso energie nel sostegno del pregiudizio; insegna non il coraggio morale di portare ogni affermazione alla prova dell'esame, ma l'arte di sostenere princìpi che sono stati casualmente stabiliti in precedenza... Perfino nella insulsa istituzione delle scuole domenicali, i principali insegnamenti sono una venerazione superstiziosa della Chiesa anglicana, e l'inchinarsi a ogni persona che abbia un giubbetto elegante...
In seconda istanza, l'idea di una scuola statale nasce da una scarsa conoscenza della natura della mente umana. Qualsiasi cosa un uomo faccia per se stesso, questo è ben fatto; qualsiasi cosa il suo prossimo o il suo Paese si incaricano di fare per lui, questo è male... Colui che studia perché desidera imparare, presterà attenzione agli insegnamenti che riceve e comprenderà il loro significato. Colui che insegna perché desidera insegnare, assolverà il suo compito con entusiasmo ed energia [2]. Ma quando una istituzione politica si incarica di assegnare a ciascun uomo il suo posto, tutti svolgeranno le loro funzioni con indifferenza e passività...
In terza istanza, il progetto di una scuola statale dovrebbe comunque essere combattuto nella previsione di una sua inevitabile dipendenza dal governo centrale... Il governo non perderà l'occasione di strumentalizzarla per rafforzarsi e perpetuare le sue istituzioni... Il loro scopo come organizzatori di un sistema di istruzione sarà senza dubbio analogo al loro scopo nell'esercizio del potere politico... [3]

William Godwin, 1793

[1] Alla fine del XVIII secolo il concetto di istruzione pubblica era riferito all'ipotesi di un'istruzione di massa capace di raccogliere anche quell'utenza dedita all'istruzione parentale e contadina. Oggi nell'istruzione di massa dobbiamo includere anche la scuola privata nelle sue varie declinazioni, ma sempre sottostanti alle leggi dello Stato e alle riforme ministeriali, il che non genera alcuna differenza sostanziale tra pubblico e privato.
[2] Nella scuola contemporanea tradizionale, quelli che insegnano con entusiasmo ed energia esistono, e sono tanti, ma ahimé la loro energia è indirizzata esclusivamente e inconsapevolmente in un insegnamento strumentale solo alle istituzioni.
[3] Il testo trascritto è tratto da 'Enquiry Concerning Political Justice' di William Godwin (1793) ed è inserito anche nel libro 'Anarchia come organizzazione' di Colin Ward, capitolo IX - Descolarizzazione.

Cronaca di un'ora in 2^ E

Ricopio qui ciò che ho scritto questa mattina in classe.
Classe nuova, pochi incontri fino ad oggi, ma l'intesa è avvenuta. Invito i ragazzi e le ragazze ad auto organizzarsi il loro tempo. Li sto osservando. Ho solo un'ora, è proprio niente, loro invece hanno già subìto quattro ore di lezione, sicuramente sono stanchi e non hanno voglia di 'fare niente', questo mi aiuterà a capire le dinamiche, i caratteri, le loro attitudini. Lascio fare. Tutto comincia ad animarsi, a prendere vita in modo naturale. Ci si muove, si comincia a ridere, c'è chi riesce finalmente a bere, gli occhi si illuminano, qualcuno mi guarda tra l'intimorito e lo stupito, vorrebbe chiedermi 'ma davvero possiamo'? Capisco e gli rispondo ad alta voce: è un vostro diritto, utilizzate tutta la vostra responsabilità nelle decisioni che prendete.
Osservo l'angolo in fondo a destra, ci sono due ragazze che parlano, stanno una di fronte all'altra, si tengono le mani, poi si scambiano affettuosità, carezze, hanno la pace dentro. Un ragazzo preferisce fare degli esercizi di matematica, ma siccome non riesce bene chiede aiuto a una compagna che prontamente gli dà una mano. Tre ragazzi stanno facendo un disegno, stanno colorando insieme una specie di sole viola. Per adesso non c'è neanche molto rumore, anzi. Anche una ragazza fa un disegno libero, però preferisce farlo da sola. Vedo poi due ragazze che passeggiano nell'aula, si raccontano qualcosa con aria complice, sembrano molto affiatate. Una ragazza vuole stare vicino a me, mi chiede: 'hai figli'? La domanda è molto importante. C'è un gruppetto in fondo, sono in tre, giocano a carte. Tutto cambia velocemente, i gruppi si fanno e si disfano, le due ragazze dell'angolo adesso disegnano alla lavagna e attirano altri compagni. C'è una sana interdipendenza tra tutti, non ci sono divisioni, i gruppi sono estremamente aperti, tutta la classe è un unico gruppo eterogeneo e interattivo, dinamico, solidale.
Sulla base di queste prime osservazioni affido a me stesso il compito di non interferire in alcun modo in queste dinamiche, né di intralciarle, né di limitarne le naturali potenzialità ed evoluzioni. Tutte le informazioni che circoleranno durante l'anno scolastico saranno poste al centro e sviscerate, analizzate da tutti i punti di vista, e saranno strumento di lavoro creativo, collettivo e/o individuale. Senza porre limiti o coercizioni, né scadenze preordinate.

Thomas e l'accademia della violenza

Solitamente, nei primi giorni di scuola, il mio approccio alle classi prime (11 anni) si imbastisce sul discorso dell'abitudine alla non-libertà. E' vero, i ragazzi al primo giorno sono un po' spaesati di fronte al nuovo ambiente, ma sanno benissimo cosa troveranno in termini di paura, di normalizzazione, di 'educazione'. Queste persone arrivano dalle elementari già erudite in questo senso, quindi sono prontissime ad accettare qualsiasi coercizione, soprattutto i primi giorni. A governarle è la paura e -peggio- l'abitudine alla stessa. E' cosa terribilmente normale per loro, già a quella età, essere considerati sudditi (senza sapere di esserlo) e idioti (ahimé, credendo davvero di esserlo, molto intimamante).
Così mi è sufficiente stimolare il loro senso di libertà; mostro loro il verso libertario della vita, cioé quello che dovrebbe essere, di contro a quello autoritario, cioé quello che purtroppo è. E tutte le volte si apre un varco di luce negli occhi di questi ragazzi, capiscono al volo. Non è sorprendente, quindi, trovarsi tra le mani un bigliettino del genere, alla fine dell'ora. Lo ha scritto Thomas, che ha elaborato i ragionamenti fatti in classe e li ha sintetizzati in questa frase.


Il fatto che io non avessi mai pronunciato la parola 'accademia' durante tutta l'ora, dimostra che questa persona possiede un proprio vocabolario, e sa gestirlo in maniera personale e in funzione di ciò che vuole esprimere. E' anche una buona prova del fatto che il messaggio è stato ben recepito e metabolizzato. Inoltre, il fatto che l'azione di Thomas sia stata spontanea (da me inattesa), è espressione di empatia nei riguardi del tema trattato.

Piccolo pensiero

Non mi sorprende sapere che la persona più autoritaria della scuola si dichiari poi anche comunista, ma in fondo di questo m'importa in modo relativo, mi sorprende invece vedere come quella stessa persona, che si autoproclama intelligente e aperta, pur riconoscendo il proprio autoritarismo e stimando quel po' di pedagogia libertaria che son riuscito a farle vedere, continui imperterrita a voler innestare con cognizione scientifica atroci paure e ordini tassativi agli studenti. Dico questo a mo' di esempio, perché sono ancora molte le persone riluttanti ad abbandonare gli scettri e la loro voglia di dominare i più deboli (evidente segno di frustrazione). Quelle persone non sanno che un rapporto paritario e libero con tutti/e è fonte di grande soddisfazione e di umano appagamento. Le persone che traggono soddisfazione personale nel compiere atti autoritari sui più deboli sono anzitutto vigliacche, non conoscono la vera gioia di vivere, né la libertà, e sono fondamentalmente alienate.

Lo Stato si imbelletta col modello libertario

Forse la domanda che più di tutte mi viene rivolta è la seguente: 'ma come fai ad applicare una pedagogia anarchica in una scuola di Stato'? Questa domanda si traduce più realisticamente in: 'ma il dirigente scolastico non ti ammonisce'? E scommetto che questa domanda tende a sua volta a soddisfare una sadica voglia di sapere quali atroci torture io abbia subìto dall'autorità.
Chi ha già letto il mio blog sa che io opero in clandestinità, purtroppo, mio malgrado, e con tutti i rischi del caso. Eppure, non sono pochi gli appigli attraverso i quali poter argomentare un'educazione veramente democratica, anarchica, libertaria, umana, all'interno di una scuola statale, quindi autoritaria. E questi appigli li fornisce non soltanto la conoscenza della pedagogia libertaria, ma lo Stato stesso con la sua legge. Paradossale? Lo Stato è impazzito? No, semplicemente lo Stato compie le sue scelte propagandistiche di 'bella apparenza' perché confida nell'ignoranza (in questo caso pedagogica) dei suoi 'educatori'. Già l'anno scorso, ad esempio, nel poscritto di un articolo (***) facevo notare come un testo di legge del 2004 contemplasse la 'centralità della persona' con il corollario di meravigliose parole quali 'allievo protagonista delle proprie scelte', 'valorizzazione della dimensione umana', ecc. Parole e formule però assolutamente disattese dal modello educativo nazionale tradizionale, ma che sono un valido sostegno per l'autodifesa.
Quest'anno c'è addirittura molto più materiale statale su cui contare per difendersi e per operare con più incisività. Questo materiale arriva direttamente dal ministero, e si trova nelle ormai famose (per i docenti) 'indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo d'istruzione' (scarica pdf), un testo che spiega le finalità della scuola e delle singole materie, tracciandone gli obiettivi. E' ovvio che lo Stato, per fare bella figura, non potrà mai scrivere che la scuola mira da sempre ad addestrare sudditi e a promuovere la società gerarchizzata, scriverà invece tutta una serie di formule dal carattere umano e libertario che si allineano alla pedagogia anarchica e all'anarchismo in generale. Non stupitevi, molti politici adottano i princìpi anarchici per farsi applaudire e poi eleggere (proprio oggi Obama, alla Convention, ha parlato persino di 'autogoverno del popolo', facendo però un guazzabuglio aggiungendo nazionalismo e militarismo, e punteggiando il discorso con quella pessima parola (speranza) che sta lì a dimostrare che non v'è certezza alcuna di libertà finché ci saranno presidenti e governi. A confermare ciò è anche la Storia.
Insomma, riguardo ai princìpi libertari presenti nelle indicazioni per il curricolo, voglio fare alcuni esempi concreti. Si amplia la parte dedicata alla centralità della persona:


Ciò vuol dire che la scuola di Stato, come quella parificata, devono venire incontro a quelle finalità didattiche che soddisfano finalmente le esigenze individuali dello studente, a partire da esse, e che tali finalità possono essere definite solo nel suo divenire. Nessuna programmazione a porte chiuse? L'inclinazione data dal ministero è quella, ma certamente i docenti, ignari, appoggiati dai dirigenti autoritari per definizione, continueranno a stilare programmi sulla base del 'come si è sempre fatto', senza tener conto degli studenti che si troveranno tutto già preconfezionato e calato dall'alto. Senza fiatare! Cosa importa poi se...


Nel testo ministeriale si esorta a


Anche oggi, in questo testo, viene promossa la pratica dell'uguaglianza nella convivenza tra individualità diverse con diverse necessità, cosa che però la Scuola tradizionale non potrà mai applicare fintanto che la discriminazione e la competizione saranno portate avanti anche attraverso i voti e/o i giudizi, i premi e le punizioni, il buono e il cattivo, la chiusura in classi (fisiche e anagrafiche), il 'più' e il 'meno', i primi in qualcosa e gli ultimi nella stessa cosa, ecc.
L'inghippo c'è, ovviamente, e non è soltanto quello al quale mi riferivo prima, cioè all'ignoranza dei docenti in merito alla pedagogia, segnatamente libertaria, c'è anche l'inghippo dell'autoreferenzialità dello Stato. Nel testo, infatti, tutto questo (e molto altro) viene fatto passare come un obiettivo che solo lo Stato può raggiungere, e allora i docenti autoritari si aggrapperanno al conservatorismo statale e si compiaceranno del loro 'si è fatto sempre così'. Quindi ecco la contraddizione di fondo: come può uno Stato che, in quanto tale, promuove da sempre l'esistente, la competizione, la discriminazione, la paura, generando sperequazioni sociali e crimini, parlare anche in termini di cooperazione e solidarietà, di uguaglianza nella diversità, di autonomia di pensiero e di scelta degli studenti, di responsabilità degli stessi? La risposta l'ho già data: è molto facile predicare bene per mostrare una faccia splendente e farsi ammirare, molto pericoloso è voler applicare (e far applicare) quanto viene predicato da sempre.
La scuola continuerà a disattendere le sue stesse parole, io no, e adesso sapete anche come mi difendo, al di là del sussidio pedagogico libertario.

Storia della funzione della scuola in poche righe

Prima che i tiranni prendessero il monopolio di tutto, quando l'armonia e la cooperazione tra i popoli erano garanzia di progresso e di pace, oltre che di vita, i bambini avevano un buon modo per imparare le cose del mondo, quel modo consisteva nel gioco, cioé nel trascorrere in libertà il proprio tempo. Osservazione e innata curiosità erano magnifici maestri. 'Tempo libero' è infatti la traduzione di scholè, dal greco antico, ma ciò non vuol dire che gli antichi greci professassero il gioco per i ragazzi da istruire, tutt'altro, semplicemente la parola scholè affondava ancora le radici etimologiche negli antichi terreni di libertà (Creta, molto vicina alla Grecia, fu una gilania fino al 1500 a.C. circa). Assai presto i despoti si resero conto che i giovani agiati, come anche i propri figli, dovevano possedere conoscenze specifiche in materia di guerra, di armi e di disciplina, sì che i virgulti potessero rendersi subito pronti a governare, ma anche a esercitare funzioni istituzionali. I bambini poveri possedevano ancora la libertà del gioco, questo fino a tempi relativamente recenti, soprattutto nelle zone rurali. Purtroppo la progressione della tirannia statale non si arresta, e la scuola, ormai non più intesa come tempo libero, ma come luogo di indottrinamento forzato alle 'discipline', venne resa obbligatoria esattamente come il servizio militare di leva. Durante la 'repubblica' (che tale non è, finchè c'è gerarchia e proprietà privata) tutte le riforme ministeriali della scuola non hanno fatto altro che porre severi controlli su tutto, aumentandoli, anche e soprattutto sui testi scolastici e universitari, e oggi lo Stato si appresta a controllare anche i docenti (attraverso i dirigenti scolastici, a loro volta monitorati), e le previsioni in merito a quel che potrà diventare la scuola da qui a qualche anno sono tutte nefaste. A fronte e per conseguenza di ciò, nascono ovunque nel mondo le scuole libertarie, che rimettono davvero al centro la persona (non solo a parole come fanno le leggi di Stato), rispettano le esigenze individuali, rispettano ed esaltano le attitudini di ognuno, e si riappropriano del gioco quale strumento di crescita e di autoapprendimento. Da Godwin a Bernardi, la pedagogia anarchica non soltanto si pone come l'orizzonte più fulgido da raggiungere per ogni essere umano (che non è distante nello spazio e nel tempo, è già dentro di noi), ma ci dice anche che è tempo di abbandonare ogni parametro acquisito, mettere in discussione ogni cosa precostituita e data per scontata, se vogliamo tornare ad essere persone.

Menomale, non siamo a norma

I mali sociali non sono da imputare alla Natura, ma alla cultura imposta, al tipo di conoscenza acquisita, alla pratica quotidiana che si assorbe fin da bambini. Da troppo tempo ci siamo lasciati dietro la Natura e ciò che essa ci suggerisce di fare e abbiamo idealizzato -portandoli avanti- forme e contenuti di quel che le élites vogliono farci conoscere, affinché si possa agire e pensare come vogliono loro, nei termini che esse hanno prestabilito, per i loro profitti. Perciò viviamo contronatura, in contraddizione, con una perenne e intima guerra tra ciò che dovrebbe essere e ciò che è. E' devastante se pensiamo che un buon numero di malattie prendono avvio da questo contrasto esistenziale. Se dovessimo tutti insieme decidere di ripercorrere la strada naturale, alla fine ci stupiremmo anche della sola idea di Stato e di come abbiamo potuto sopportare -accettandola- una simile aberrazione.
Tutti noi possiamo compiere però delle scelte nel senso dettato dal 'come dovrebbe essere', e non dal 'come è'. Le mode imposte, ad esempio, possono essere largamente disattese. E tra le mode includo anche il pensiero stereotipato e borghese, imprigionato, preconfezionato, divenuto anch'esso un inerte, tanto che non si bada neanche più al vero significato dei termini usati. Anche scegliere un prodotto alimentare piuttosto che un altro è utile. Spesso ai bambini suggerisco acquisti alternativi a quelli imposti dai diktat televisivi, e quando qualche ragazzino mi dice che 'tanto non serve a niente se lo facciamo solo noi', rispondo che è importante farlo anzitutto per se stessi, per un fatto di coerenza personale, per non auto-mentirsi, per non cadere in quella contraddizione tra il come dovrebbe essere e il come è. La scuola, poi, è abilissima a perpetuare l'esistente, praticamente non fa altro.
Anche l'adozione dei libri di testo sembra ormai una moda sclerotizzata più che una vera necessità, senza contare che i contenuti di quel genere di libri sono sempre gli stessi, quelli voluti dai gestori/diffusori della 'conoscenza'. Questo 'calar dall'alto', questo 'già deciso da altri', dovrebbe bastare per farsi venire qualche dubbio in merito al concetto di 'conoscenza'. La lotta che ho compiuto per abolire il libro (vedi), ha già cominciato a prendere valore economico nei portafogli dei genitori, ma comincerà a prendere valore morale nel momento in cui i ragazzi non se lo ritroveranno più sui banchi e negli zaini, e quello sarà un buon momento anche per fare questo discorso (con la semplificazione del caso) e per dire loro che io non mi sono posto il problema di essere l'unico a scuola ad aver abolito il libro (o uno dei pochissimi in Italia nella scuola tradizionale, per ora), anzi ne ho tratto orgoglio personale, l'ho fatto perché non voglio cadere in quella contraddizione, l'ho fatto perché non voglio mentire a me stesso, voglio essere coerente con le mie idee.
Perciò scelgo di essere fuori norma, fuori da quell'inquadramento culturale obbligato con cui il sistema si perpetua e ci pone forzatamente sui suoi binari, mi porto sulla strada di 'un'antica speranza' -come dice Gaber- la strada dell'esigenza naturale che parla di cooperazione, di creatività, di vitalità, di umanità. Insieme ai ragazzi, in armonia dinamica, in direzione ostinata e contraria, e sempre senza padroni.


Vomito in libreria

Che cos'è la 'normalità' per questo tipo di società che si trascina nel suo fallimento? Ogni pensiero, ogni azione, e logicamente anche ogni intenzione sono ormai fondati sull'autoritarismo. Fin dalla culla i bambini assorbono autoritarismo, ma i genitori (e pure i docenti) non se ne accorgono, poiché anch'essi sono stati allevati all'autorità, con l'autorità, per l'autorità. Quindi è questo il 'giusto', il 'normale' secondo la massa, una pratica continua e inconsapevole di autorità che si perpetua da molte centinaia di anni, direi più correttamente da millenni, qualcosa che va al di fuori di ogni logica naturale, fuori dal respiro umano che vorrebbe solidarietà tra gli individui, ma che molti di essi pensano ormai di non essere più in grado di attuare, né di concepire.
Perciò appare del tutto normale e giusto, ad esempio, entrare in una libreria e trovare libri di pedagogia che somigliano a veri e propri manuali di addestramento per animali. Non è uno scherzo, è la tragica normalità. Sorvolo sul fatto che su questi tre scaffali dedicati alla pedagogia ho trovato di tutto, anche un corso di yoga, salvo che i maestri della pedagogia (un nome italiano per tutti, Marcello Bernardi), ma tra i vari titoli che mi hanno fatto riflettere su quanto sto scrivendo mi ha colpito soprattutto 'L'autorità', e ne ho voluto leggere la quarta di copertina che riporta una serie di domande per i genitori. Mi sono trascritto tutto e ve lo riporterò adesso, pari pari.
Ma prima di chiudere il post con quella quarta di copertina e lasciarvi con le vostre riflessioni, vorrei ricordarvi che uno dei perni fondamentali su cui una sana pedagogia dovrebbe fondarsi è quello riassunto dalle parole di Sébastien Faure: 'dovete scegliere se educare bambini o addestrare animali'.
Ecco cosa viene orgogliosamente pubblicato ed esposto sotto la voce 'pedagogia'. E se una società non si accorge neppure della tragicità delle righe sottostanti, e anzi ritiene giusto impartire questo tipo di 'educazione', non dobbiamo stupirci se siamo in questo stato.

Manca solo 'come fargli accettare la museruola', non è vero?

No alla conoscenza preconfezionata. Abolito il libro di testo

Da tempo immemorabile mi pongo alcune domande:
  1. perché ci fanno studiare sempre le stesse cose?
  2. perché ci nascondono una montagna di informazioni?
  3. perché i libri di scuola evitano come la peste la filosofia anarchica?
  4. i libri scolastici dicono tutta la verità?
  5. perché i libri scolastici sono spesso scritti utilizzando la funzione conativa?
Oggi conosco le risposte e, perciò, reagisco di conseguenza.
Non è cosa facile trovare in una scuola tradizionale docenti disposti ad abolire totalmente il 'loro' libro; e neanche che una scuola di Stato accetti benevolmente questa eventuale decisione dell'insegnante (ma non c'era la 'libertà di insegnamento'?). Ho dovuto lottare due anni per vedere finalmente esaudita questa che si è sempre prefigurata come una necessità e che, a ben vedere, non è soltanto una necessità mia o dei ragazzi, ma anche quella dei genitori, quantomeno sollevati da una questione meramente economica. Eppure di resistenze ne ho avute, solo e sempre dall'autorità, è ovvio. In verità ho sempre fatto a meno del libro, ho sempre invitato i ragazzi a lasciarlo a casa o tutt'al più in classe. Come abbiamo fatto fino ad ora? mi si chiederà. Noi i libri ce li siamo sempre autoprodotti da soli, in classe, continueremo a farlo.
La notizia degna di nota, quindi, non è tanto quella dell'abolizione del libro, ma l'accettazione di questa scelta da parte dell'autorità. Si tratta di una conquista di libertà, di uno spazio entro cui agire e pensare con autonomia e, adesso, con più serenità.
I libri scolastici sono vincoli a causa della loro forma (struttura, impaginazione, capitolazione) e anche del contenuto. E se questi vincoli giungono da un vaglio statale va da sé che gli elementi inseriti al loro interno non fanno altro che sovrastrutturare il pensiero di chi li studia, sì da mantenere nel tempo l'esistente, senza alcuna possibilità di far pensare ad altro: altre soluzioni, altri pensieri, altre informazioni. Inutile esortare gli studenti al pensiero critico e costruttivo se gli elementi dati sono sempre quelli e aventi lo stesso fine, sarebbe come spronare un eschimese a pensare alle lasagne. Chi costruisce il proprio libro ha invece l'opportunità di scegliersi tutto, dalla forma ai contenuti, e di aggiungere opinioni, pensieri, disegni, collages. Ecco che dall'assorbire passivamente un libro, si passa direttamente a viverlo, a farlo crescere, a farselo proprio e a proprio gusto; il libro autoprodotto è sempre qualcosa di prezioso a cui ci si affeziona. Spesso i miei ex studenti mi dicono che i loro libri sono stati un buon aiuto anche durante gli studi superiori, e in qualche caso durante gli studi universitari.
Così cambiano i contenuti, non esiste più un indice prestabilito, imposto, non aderente alla verità storica. Come abbiamo sempre fatto, se il libro è di Arte, gli artisti e i movimenti verranno scelti liberamente, e in virtù di ciò faranno la loro comparsa anche quegli artisti censurati perché dichiaratamente anarchici. Non lasceremo la censura neppure su quei nomi altisonanti, certamente anarchici, ma col divieto editoriale di dirlo.
La novità che intendo apportare a settembre riguarderà la conoscenza dell'Arte dei nativi americani, dove largo spazio hanno la spiritualità e la filosofia legate ai concetti di rispetto per l'ambiente, per gli animali, per le persone. I libri autoprodotti avranno allora una sezione espressamente dedicata a questo pensiero artistico, e i ragazzi del terzo anno, in sede d'esame, potranno legarlo a qualsiasi argomento riguardante il Continente americano. E in effetti questa idea mi è venuta a giugno, proprio durante gli esami. A-ho!

La fabbrica del sistema

I censori del sistema non conoscono soste, essi nascondono un'infinità di informazioni preziose ai fini della conoscenza in generale, come ad esempio il pensiero di molti illustri filosofi e studiosi che non faranno mai parte dei programmi scolastici ministeriali e delle 'discipline'. Naturalmente anche la tv tiene in latitanza forzata una parte considerevole di informazioni, e questo succede perché l'effetto emulazione potrebbe mettere in serio pericolo lo status quo, ma anche perché le coscienze dei telespettatori devono essere plasmate attraverso quegli elementi che sono funzionali solo al sistema.
L'emulazione è insita nei bambini, essi copiano in maniera spontanea ciò che vedono e ciò che ascoltano; è anche attraverso l'emulazione che la natura mette in moto i meccanismi di apprendimento dei bambini, e questo processo di apprendimento, gli apparati dello Stato lo conoscono molto bene, perciò i censori hanno il preciso compito di esercitare un ferreo e costante controllo sulle informazioni, decidendo ciò che conviene o non conviene divulgare. Per inciso, gli adulti non sono esclusi dallo stesso processo di apprendimento, ma se ciò che viene appreso in età adulta può essere dimenticato, nel bambino le conoscenze apprese per emulazione (quindi per gioco) si stampano a fuoco nella sua coscienza, condizionando l'intero percorso di vita, i pensieri, le scelte, le azioni.
Ci sono invece cose che lo Stato ritiene assolutamente necessarie e basilari per la formazione dei bambini, cose che i più piccoli devono necessariamente assimilare, copiare, giocando: violenze d'ogni sorta, guerre, competizioni anche sportive, divisioni sociali, storie e favole di re e regine, di principi e principesse, di eroi e super eroi, donne oggetto, banalità edonistiche... cioè tutto il necessario affinché nel fanciullo si installi quel materiale cognitivo preposto alla formazione del futuro cittadino che perpetua, assolve, giustifica, persino ossequia il sistema violento e autoritario, competitivo e mediocre, borghese e capitalista, gerarchico e fascista.
Quando i bambini non sono davanti alla tv, essi si trovano generalmente a scuola, cioè in quel luogo ipercontrollato come un carcere, supernormato, dove vige la disciplina più intransigente giustificata da un presunto 'dovere civico' e da un'ipocrita 'buona morale'. Il fatto però si è che la natura umana tende a cercare comunque la libertà, quindi a sovvertire le norme imposte dall'alto. E' gioco-forza. Ma allora che cosa succederebbe se i bambini a scuola, in questo tipo di scuola autoritaria, venissero lasciati liberi? E' evidente che i piccoli, avendo nella coscienza e nel bagaglio culturale solo elementi autoritari (si conosce per agire e viceversa), in quei brevi momenti di ricreazione, ma anche nei momenti in cui furtivamente riescono a sottrarsi al controllo, non possono far altro che esercitare l'autorità e competere. Perciò si spiegano anche i continui dispetti reciproci e il caos da artiglieria in rotta di battaglia. Una libertà concessa a chi ha assorbito il modello autoritario non potrà mai generare armonia e solidarietà. E' ciò che vuole il sistema per imporre ai cittadini il suo 'ordine' a forza di coercizioni e repressioni.
Così i bambini mettono in pratica tutti i modelli acquisiti: copiano fedelmente l'autorità dell'insegnante (o del genitore più autoritario), aspirano ad una posizione di controllo sugli altri, si organizzano in bande contro alcuni compagni o compagne, si allenano all'obbedienza nei confronti di un capo riconosciuto (nota: un capo è quello che incute più paura degli altri, e questa paura è sempre frutto di un esercizio di violenza reiterata, anche psicologica). Finita la ricreazione, quando si ritorna nei ranghi, i bambini continuano ad esercitarsi con gli elementi autoritari che la scuola fornisce loro: tornano a informarsi sul valore della guerra e sulla potenza di qualche arma per dichiararsi con più fierezza 'appartenente a uno Stato', si identificano con un dittatore qualsiasi, con un generale, con un imperatore, disegnano armi di ogni tipo (in questo la loro creatività non ha limiti, è tutto dire), eccetera. Spesso questi studenti, durante lo studio forzato, evadono con la testa e pensano al successivo momento di svago-guerresco dove mettere in pratica le infinite strategie di supremazia per poter praticare il loro sacrosanto 'diritto' al dominio, la disuguaglianza e la classificazione dei ruoli sociali. E tutto come fosse la cosa più normale e naturale del mondo.
Sotto questa luce i bambini appaiono già come dei piccoli adulti, ma questi ultimi, i genitori, cosa pensano dei loro figli? Solitamente i bambini sono sempre motivo d'orgoglio per ogni genitore che li vede così 'scaltri da non farsi mettere i piedi sulla testa'. E ci sarebbe davvero da esserne fieri se questi bambini imprassero veramente a non farsi mettere i piedi sulla testa, ma non dagli altri bambini (gli eguali-nemici), bensì dall'autorità! Invece i piccoli imparano anche dalla scuola ad essere forti con i deboli e deboli con i forti. Chi sbaglia paga e subisce, ma solo se chi sbaglia è in minoranza o se è più debole. Insomma, così piccoli e già così cittadini, pronti a farsi comandare dal più forte e a comandare a loro volta sul più debole, sempre felici per la promessa di un premio, e sempre terrorizzati di fronte ad una paventata punizione. Schiavi e padroni ad un tempo, ligi kapò e feroci dittatori, imprigionati in questo ciclo di violenza, di abbrutimento, di omologazione e di ingiustizia. Tutto dovuto per 'diritto', tutto voluto dallo Stato.

vignetta di Jossot: 'credo che sia maturo per la caserma'

Riflessioni di fine anno

Scuola finita. E' tempo di riflessioni su ciò che è stato fatto, sul come è stato fatto. E su questa linea riflessiva scrivo. Ho avuto molte difficoltà, molti bastoni tra le ruote, e più l'anno scolastico si avviava al termine, più gli ostacoli si facevano ostili e duri. Gioco-forza: la prevalenza del modello autoritario imposto dal sistema e, seppur inconsapevolmente, dai miei colleghi sulle mie due 'misere' ore settimanali di esercizi libertari ha avuto il suo effetto. Già a partire da marzo avevo notato che gli studenti si stavano lasciando deformare e plasmare dall'autoritarismo, lo stavano assorbendo, lo copiavano, fino a ragionare in termini di sottomissione dovuta, con conseguente senso di rivalsa sui più deboli, e un falso bisogno di ordini calati dall'alto. Però... c'è un però.
Anzitutto rimarco il fatto che, grazie ad una sensibilità più attenta nei confronti del concetto di autonomia/responsabilità, non tutti i ragazzi hanno subìto il plagio autoritario, in secondo luogo questi studenti hanno avuto l'opportunità di conoscere così direttamente la libertà (l'altro modello) che questa loro consapevolezza li ha resi quantomeno più analitici rispetto a ciò che è giusto fare per se stessi e a ciò che non lo è affatto. Pertanto, se da un lato l'ordine autoritario si è manifestato in tutto il suo orrore e in tutta la sua forza distruttrice, dall'altro lato quel seme di libertà che necessita di consapevolezza per germinare è stato comunque innaffiato, nonostante gli ostacoli incontrati. Occorre solo del tempo perché il germoglio diventi un alto albero, ammesso che nessuno spezzi definitivamente il germoglio, e questo rischio c'è sempre in un'età come quella di questi ragazzi.
Le soddisfazioni non sono certo mancate, vedere i ragazzini non competere ma collaborare dà grande gioia, vederli decidere da soli in merito agli argomenti da trattare è stata un'esperienza molto più importante della lezione in sé. Riguardo ai ragazzini di prima (11 anni) questa pratica di autogestione dei saperi è ancora in una prima fase, mentre per gli altri sta diventando un metodo consolidato. Peccato che questo metodo si attui soltanto nelle mie ore, mentre nelle altre collassa sotto il peso del 'lo decido io' dei miei colleghi. Ma, come dicevo, è questa consapevolezza dei due modelli a salvare questi ragazzi.
Perciò posso dire di ritenermi soddisfatto. I ragazzi si sono tutti lamentati per i compiti che i miei colleghi hanno lasciato per le vacanze, e il lamento dei ragazzi non era quello consueto e rassegnato di tutti gli studenti del mondo, ma era chiaramente più consapevole, più critico, si percepiva in modo palese che essi volevano da me un feedback di approvazione del loro lamento, nonché un rincaro della dose critica da parte mia, che ovviamente hanno avuto.
L'osservazione delle dinamiche degli studenti di 11 anni mi ha permesso di stabilire un primo livello di attitudine per ciascuno di loro, ma so che in alcuni casi le attitudini sono apparenti e dovranno cambiare o qualificarsi in modo più preciso, a seconda degli input che riceveranno dall'azione esperenziale con gli altri e con il contesto. Un'apparente introversione può infatti nascondere un dinamismo inaspettato*. Ma già questo primo livello traccia una strada più consapevole da parte mia, e da qui dovrò partire l'anno prossimo per valorizzare le unicità di ogni singolo e farle emergere. Proprio riguardo all'osservazione delle diverse personalità sono stato limitato dalla reclusione forzata in classe, ciò non mi ha permesso di capire altre dinamiche più complesse e in altri contesti: un ambiente libero da muri anche fisici mi avrebbe facilitato lo studio, e a poco è servito in questo senso far evadere gli studenti di prima media due volte dall'edificio, clandestinamente, per due ore complessive.
Perciò, sempre a proposito dei ragazzi e delle ragazze di primo anno, mi aspetto un'evoluzione più cosciente del libero pensiero e delle azioni conseguenti, nonché un percorso di crescita ancora più consapevole e autonoma da parte loro, come lo è stato per quelli che hanno frequentato tutti e tre gli anni, e per i quali non ho avuto bisogno -se non in casi rari- di specificare ancora meglio i principali passaggi cognitivi in merito al pensiero e ai metodi anarchici.
In conclusione, noto con estrema sorpresa l'esuberanza di Céline (13 anni) che è esplosa solo nell'ultimo mese*, manifestando grande passione nei confronti dei discorsi legati all'anarchismo e persino gioia estrema nei miei riguardi. Avendo conosciuto Céline e la sua 'triste apatia' per tre anni, e avendo considerato questa apatia la parte più emergente della sua personalità, non posso far altro che sorprendermi di questo cambiamento repentino. E' bello vederla sorridere e ascoltare da lei un sonoro 'ciao, prof'!

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

Lettori fissi