Una citazione al giorno

Una citazione al giorno -
Data Rivoluzionaria

Senza titolo

L'altro giorno parlavo con un amico che è anche un collega, e mi sono imbattuto in una sua domanda che mi ha lasciato di stucco. Gli dicevo che ho costituito un gruppo su facebook destinato ad accogliere i genitori dei miei alunni di primo anno, e dato che il mio amico non ha alcuna idea di cosa voglia dire educare poiché anche lui, come gli altri, è calato nel concetto di 'addestramento bipedi', mi ha posto la seguente domanda: 'e se i ragazzini vi scoprono'? Sapete quante implicazioni negative contiene questa domanda? Un'infinità. Dico solo che la domanda è nata dall'effetto della sua paura non rivelata circa un possibile complotto tra me e i genitori contro i ragazzini. Ci vuole proprio una coscienza ben addestrata alla pedagogia tradizionale per associare le figure dei genitori e del docente con un conseguente complotto ordito contro i ragazzi. Cioè, il mio amico ha dato per scontato il fatto che in quel gruppo si deliberino punizioni e si escogitino stratagemmi spiacevoli alle spalle dei ragazzi e contro di loro. Basta, non dico altro, mi pare già tanto.
Invece quel gruppo ha motivo di esistere in funzione di molte cose utili, ad esempio il fatto di rendere partecipi i genitori di ciò che faccio, di come lo faccio, e del perché lo faccio in quel modo. Cosa che, del resto, i ragazzi sanno benissimo perché motivo sempre ogni cosa, e se volessero entrare a far parte di quel gruppo sono i benvenuti, anzi lo auspico, ma non è ancora il momento, devo prima fare in modo che un certo cemento faccia presa tra me e i genitori. Il gruppo è anche un modo per cercare di concretizzare l'idea di una sana educazione, organica, consapevole, per la quale l'intervento dei genitori non può essere bandito, portatori come sono di idee e di esperienze, non è necessario avere un titolo o una patente. Certo, per questo obiettivo pedagogico, il gruppo, essendo virtuale, è in verità molto palliativo, ma è già un passo avanti rispetto alla norma della scuola pubblica, dove i genitori sono ricevuti dai docenti solo in poche occasioni, singolarmente, rarissimamente in gruppo, e solo al fine di ottenere un resoconto dell'attività autoritaria imposta dalla scuola ai loro figli e sul grado di sopportazione degli stessi al metodo scolastico.
Perciò, niente che possa nuocere ai ragazzi, tutt'altro, il gruppo è uno strumento di crescita per tutti, anche per me. L'impresa però non è facile, dal momento che dovrò prima aspettare che questi genitori assimilino la pedagogia libertaria, almeno un po', e dato che le persone adulte hanno più difficoltà a capire i concetti di libertà rispetto ai bambini, dovrò fare appello a un grado elevatissimo di ponderazione e di tatto, per adesso tutto procede bene.

Perché mio figlio è diventato introverso?


 Ci sono bambini timidi o introversi per indole o per influenza genetica, altri invece lo diventano e acuiscono la loro introversione man mano che crescono. Spesso i genitori credono che in tutti questi casi sia la natura a cambiare lo stato caratteriale dei figli, raramente si soffermano sul fatto che il carattere si modifica soprattutto in base al contesto, all'ambiente in cui vivono i bambini. Ancora più raramente questi genitori si pongono il problema riferito al rapporto figlio/scuola, pensando addirittura che la scuola tradizionale aiuti il figlio nelle relazioni e a superare la timidezza e l'introversione. Non esamino i casi dell'introversione come fattore positivo, creativo, abbastanza rari in verità. Ma se la scuola è il luogo dove il bambino cresce insieme agli altri, come mai certi comportamenti dei nostri figli vanno in direzione opposta alla convivialità e alla sicurezza di se stessi? Insomma, se un bambino nasce disinibito e sicuro, come si spiega il fatto che molto spesso, nel giro di pochi anni, diventa triste, introverso, pauroso, timido, remissivo, o scontroso? Domandiamoci anzitutto quale ruolo hanno i genitori in seno alla famiglia, primo nucleo autoritario in cui si trova il neonato. Quando il bambino incontra in famiglia le prime regole con le relative punizioni (parlo di regole che nulla hanno a che fare con l'incolumità fisica del bambino, le sole indispensabili *), è molto facile capire che quelle coercizioni parentali abbiano un'influenza decisiva e negativa sul suo carattere. Quando poi il bambino va a scuola si compie l'ulteriore massacro dell'autodeterminazione e dell'autostima. La paura dello studente, nella scuola tradizionale, diventa il suo pane quotidiano, con tutto quello che la paura comporta (e porta) nella modifica del carattere. E non è una buona modifica. Va da sé che in età adulta si impara persino a convivere con la timidezza, tanto che ogni adulto adotta varie strategie per non farla vedere agli altri, e questa è addirittura un'autocoercizione, come dire: sto male ma mi autoimpongo di non farlo vedere. E così quell'adulto si fa più male.
I bambini a scuola imparano ad aver paura per ogni cosa che fanno. La paura nasce dalla conoscenza di una conseguente punizione o di un voto o di un qualsiasi giudizio esterno. Parliamoci chiaro, i bambini hanno paura della punizione, non del problema da risolvere obbligatoriamente (ammesso che gli esercizi scolastici possano essere definiti problemi da risolvere, e ammesso che l'obbligatorietà sia un metodo educativo allettante per i bambini). Ed è la paura della punizione, del giudizio negativo, la causa principale dell'insicurezza in un bambino nato sicuro di sé. Se i bambini fossero liberi da questo tipo di paura, la loro energia intellettuale e creativa non avrebbe ostacoli e si sprigionerebbe in tutta la sua vitalità nella ricerca di mille soluzioni per un problema. Quando sono liberi i bambini? I bambini sono liberi quando giocano lontani dagli occhi giustizialisti e indagatori degli adulti, ed è quella condizione di libertà, quello scollamento dalla paura della punizione, che fa trovare loro tutte le soluzioni ai problemi. E se nei loro giochi i bambini a volte sbagliano, essi non si pongono alcun problema e ritentano, magari ascoltando le opinioni dei compagni e valutando tutti insieme qual è la soluzione migliore per tutti. Questa libertà non può essere la precondizione alla tristezza, alla timidezza, all'introversione o all'arroganza, tutt'altro.
Errico Malatesta così diceva in merito alla libertà di errore su cui ogni individuo dovrebbe poter contare: 'nessuno può giudicare in modo sicuro chi ha torto e chi ha ragione, chi è più vicino alla verità e quale via conduce meglio al maggior bene per ciascuno e per tutti. La libertà è il solo mezzo per arrivare, mediante l'esperienza, al vero e al meglio; non vi è libertà se non vi è libertà di errore'. Se il bambino viene allenato per anni al ricatto della punizione, da adulto imparerà a concepire la vita secondo questo modello autoritario, lo ripeterà a sua volta, e dipenderà per sempre dai giudizi altrui. Quel bambino non sarà mai un individuo libero, neppure nel pensiero, perciò cercherà sempre qualcuno che gli imporrà dei binari comportamentali, ad esempio un partito, un capo, un referente qualsiasi, un po' per discolparsi in caso di fallimento, un po' per abitudine alla deresponsabilizzazione, un po' per vigliaccheria, un po' per paura della libertà (che non conosce più) e di quella autostima che la scuola gli ha tolto per sempre.

'Le limitazioni alla libertà di un bambino sono giustificate solo quando sono indispensabili per la difesa della sua persona. Altrimenti sono dei veri e propri attentati alla sua persona'. (Marcello Bernardi)

Alexander Inglis: le funzioni del sistema educativo nazionale


Non sono pochi, al di là dei pedagogisti libertari, quegli studiosi e quei filosofi dell'educazione che hanno candidamente ammesso, quindi rivelato, quale sia il vero scopo della scuola. Parole, ammissioni, analisi, che andrebbero divulgate in ogni dove, usate come armi potenti di difesa contro tutti i provvedimenti ministeriali. Ma finché i docenti continueranno a ignorarle e a considerarsi dei portatori sani di verità da inculcare alle nuove generazioni, una pedadogia attenta alle istanze veramente umane e antiautoritarie verrà sempre disattesa, attaccata, e con essa anche una società futura libera e pacifica. Allora vorrei proporre alcune di queste rivelazioni, che stanno anche alla base del pensiero di Ivan Illich circa la necessità e l'urgenza di 'descolarizzare la società'. Perciò, a ben vedere, il 'programma nascosto' di cui proprio Illich parla non è proprio così nascosto, se non fosse per la censura sistematica operata dai media e per il fatto che il 99% dei docenti è completamente ignaro di tutto ciò, quando non avversario. C'è chi ha studiato talmente bene gli obiettivi nefasti della scuola che ha redatto un vero e proprio schema di funzioni in alcuni punti, che qui pubblico, e che mi ricorda, per il suo carattere rivelatore, lo schema/modello di Roman Jakobson sulle funzioni della comunicazione.
Comincio anzitutto con una dichiarazione di Henry Louis Mencken, un colosso della cultura statunitense del Novecento, che così scrive in The American Mercury (1924) in merito a quello che NON E' l'educazione pubblica:

I punti che svelano la funzione della scuola sono stati elaborati da Alexander Inglis nel 1918 e pubblicati nel libro Principles of Secondary Education. Noterete che, a dispetto della data, ma proprio in virtù di quella, tutto è tragicamente rimasto inalterato. Inoltre, noterete l'universalità del modello educativo; infatti, anche se Inglis e il precedente Mencken parlano riferendosi all'educazione americana, la loro analisi non conosce confini, poiché il modello educativo è stato concepito per una omologazione globale.



Newtown, espressione di una precisa cultura

Scrivo di getto, non voglio neanche correggere, oggi non mi interessa, sento l'urgenza di dire la mia su questa strage di Newtown dove hanno perso la vita molti bambini per mano di un ragazzo omicida. Tutte le autorità USA si chiedono oggi il motivo, tutti 'gli esperti' (di che?) cercano il motivo. Il motivo lo conoscono molto bene, ma è un motivo che non può essere rivelato, poiché mette in crisi e svela il loro stesso sistema criminale.
Se a questo riguardo dovessero parlare i sociologi, e se nel loro parlare utilizzassero la verità, emergerebbe il fatto che questo ennesimo omicidio di massa fa capo a un modello culturale preciso. Anzi, fa capo all'unico modello culturale imposto a tutto il mondo, e che affonda le sue radici nella Storia dell'autoritarismo statale. Il sistema statalizzato è statalizzante. Che cosa voglio dire? La cultura delle armi, della violenza, della competizione, del dominio dell'uomo sull'uomo, della discriminazione, genera esattamente le stesse cose. Non può essere altrimenti, e lo sanno anche le triglie. Questo omicidio è la proiezione del sistema violento che il ragazzo omicida portava dentro di sé fin da piccolo. Il sistema vuole che ciò accada, poiché senza crimine ogni Stato non potrebbe ergersi a (falso) tutore dell'ordine. Ma sappiamo bene che l'ordine del sistema è fatto di quelle stesse cose di cui sopra: armi, violenza, competizione, dominio dell'uomo sull'uomo, discriminazione, coercizione, repressione, eccetera. Il sistema non fa altro che guerra e pubblicità alla stessa, in tutte le salse possibili, anche attraverso la diffusione dei videogiochi ('lasciate che i bimbi vengano a me', la dottrina di Stato è sempre pronta). 
Non è un caso che la lobby della armi e i repubblicani individuino come soluzione la violenza che si aggiunge alla violenza (hanno detto che se le maestre avessero avuto un'arma avrebbero sparato in fronte al ragazzo armato, e avrebbero risolto il problema). Questa è la soluzione secondo ogni Stato: coprire la violenza con altra violenza. E' chiaro a tutti che così facendo i problemi non si risolvono mai, qualcosa la Storia dovrebbe insegnare, semmai i problemi si acuiscono, ma è ciò che vuole ogni cultura statalizzata. E non sarà diverso, sicuramente, l'atteggiamento di Obama (ipocritamente in lacrime oggi, ma disinvolto di fronte ai bambini palestinesi o siriani uccisi), poiché non si potrebbe mai immaginare uno Stato che imponga la cultura della solidarietà e della pace, intendo dire a fatti concreti, non a retorica. Cosa mai potrà escogitare Obama quando dice di voler risolvere il problema? Altre coercizioni, altre alienanti oppressioni, è ovvio, che generano devianze psicologiche, come ad esempio -la butto lì- sistemi di ipersorveglianza, sbarre alle finestre, monitoraggio compulsivo sulle presenze scolastiche, poliziotti davanti ad ogni scuola, ecc. Tutti metodi che pescano direttamente dalla cultura della violenza statale, che non eliminano la radice del problema, non vogliono eliminarla, ma tendono a opprimere gli individui, a renderli molto più sensibili ai sentimenti di vendetta.
Il problema va risolto con un netto cambio di direzione della cultura imposta. Non può esistere una civiltà che ponga il possesso delle armi come diritto, perché a forza di questi pseudodiritti si è costruita una non-civiltà, una bolgia di 'criminali di diritto' (il primo criminale di diritto è lo Stato). Costruire società solidali e pacifiche è ciò che ci serve, ma è anche ciò che ogni Stato non può e non vuole fare, pena la sua dismissione (fine dei privilegi, fine della divisione in classi sociali, fine dello sfruttamento del popolo). Purtroppo, nelle società statalizzate tutto è indirizzato nella direzione opposta alla pace. Il circolo vizioso costruito sulla coercizione degli individui che li spinge al crimine e che quindi si inasprisce tutte le volte che si commette un crimine generando altre coercizioni e altri crimini, è aberrante, innaturale, inumano, criminale. Ma sostituire questa cultura della violenza con la cultura della pace (concretamente) significa progettare, pensare, costruire, società non più statalizzate, ma anarchiche. Occorre che siano le persone a fare questa cultura della pace, snobbando il sistema, non facendosi condizionare. Gli esempi di cultura anarchica ci sono, e dànno la misura precisa di come ogni cosa possa ritornare alla sua originaria e pacifica naturalezza.

Non piango solo per quelle vittime innocenti, piango per tutta l'umanità deviata e cieca.

La solidarietà sincera dei bambini (video)

Poiché la natura ha concepito l'Uomo volendolo creatura a carattere sociale, la solidarietà è per ogni individuo l'elemento indispensabile per il suo progresso e per quello del gruppo di cui fa parte. Così in effetti è stato da che l'Uomo è apparso sulla Terra, fino a che, poche migliaia di anni fa, non è intervenuto un elemento disastroso a portare guerra e inganno (vedi). Oggi la solidarietà è stata sostituita dalla competizione, quale deleteria forma educativa e sostitutiva voluta da un sistema di gestione sociale del tutto innaturale, che della competizione si nutre, con essa prospera, a svantaggio dell'individuo e della sua autonomia. Gli effetti disastrosi li tocchiamo con mano ogni giorno, e nonostante l'anarchismo continui a fare appello al modo naturale di gestire le cose, ci sono ancora delle persone che a quell'appello non vogliono dare seguito, per ignoranza, per pregiudizio, per malafede, per abitudine, per paura della libertà. La solidarietà è diventata ormai un elemento puramente mitologico e retorico, buono da tirar fuori per ogni sorta di opportunismo. E poiché la solidarietà ce la portiamo comunque tutti dentro, ancorché soffocata e nascosta nel profondo, ecco che chiunque opportunisticamente la tiri in ballo dall'alto di una presunta posizione autoritaria, essa tocca le nostre corde emotive e ci spinge ad agire di conseguenza. Tipici sono gli appelli alla solidarietà lanciati dai politici o da qualche organizzazione ad essi collegata, per il loro esclusivo tornaconto.
Per vedere oggi un sentimento sincero di solidarietà dobbiamo riferirci ai bambini, quelli non ancora contaminati dalle sovrastrutture degli adulti, quelli non ancora scolarizzati, non ancora indottrinati. Guardando anche il video qui sotto, che è solo un minuscolo esempio, domandiamoci: possiamo ancora permetterci di affermare che gli adulti debbano poter avere il diritto di insegnare la vita ai bambini?

 
La solidarietà innata dei bambini from Scuola Libertaria on Vimeo.

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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