Una citazione al giorno

Una citazione al giorno -
Data Rivoluzionaria

L'autodeterminazione uccisa dalla scuola

Non di rado nei testi anarchici si trova scritta la parola 'autodeterminazione'. Si tratta di una parola che sta a fondamento del concetto stesso di libertà individuale. Ma che cos'è l'autodeterminazione? E perché uno degli obiettivi non dichiarati della scuola, quindi dello Stato e della Chiesa, è quello di annichilirla?
L'autodeterminazione, dice la Treccani, è quell'atto con cui l’uomo si determina secondo la propria legge. La definizione trova riscontro anche nel Garzanti ('atto con cui l’individuo si determina liberamente e autonomamente'). In sostanza, autodeterminarsi vuol dire semplicemente esprimere se stessi nel modo e nei tempi in cui ognuno sente e decide di farlo, in piena autonomia e libertà. In piena autonomia e libertà significa che nessun altro, all'infuori del soggetto, può arrogarsi il diritto di intervenire dall'esterno con codici, giudizi, valutazioni, ed altri mezzi verbali e non verbali, fisici o psicologici, coercitivi o suadenti, con lo scopo palese o occulto di modificare l'intenzione e la decisione del soggetto che si autodetermina.
A cosa serve l'autodeterminazione? Ad essere degli individui consapevoli e responsabili, cioè coscienti di se stessi e di ciò che si vuole. E poiché ogni individuo autodeterminato è responsabile di se stesso, non può che esserlo anche nei confronti del circostante con cui l’individuo si determina liberamente e autonomamente, un circostante che è fatto di altri esseri viventi, umani e non umani, è fatto di elementi vari che formano il contesto variegato in cui tutti viviamo e con cui ci relazioniamo di continuo, anche se non ce ne accorgiamo. Insomma, l'autodeterminazione serve per affermare la nostra libera e responsabile volontà di essere ciò che vogliamo essere, in relazione al contesto.
Noi tutti, poiché siamo figli della natura, nasciamo autodeterminati, o meglio, nasciamo con questa predisposizione ad autodeterminarci ogni istante della nostra vita. E' una questione biologica, innata, registrata nel DNA. La natura ci ha istruiti per questo scopo. Ma è un'istruzione che l'educazione imposta dal sistema soffoca e sostituisce con un'altra istruzione che va nella direzione esattamente opposta a quella naturale. Perché uccidere l'autodeterminazione? Se io per varie ragioni, soprattutto economiche, voglio governare una persona, devo prima di tutto annichilire la sua autodeterminazione, devo fare in modo che questa persona senta il desiderio di cercare qualcuno che, dall'esterno, gli dica come deve essere, come e quando deve agire, cosa può e cosa non può fare, ecc. Una persona autodeterminata non sa cosa farsene di un governo esterno, cioè di qualcuno che gli dica cosa fare, cosa pensare, quando farlo, come farlo, e soprattutto non sa che farsene di una linea di vita omologata e imposta a suon di ricatti che si concretizzano nelle punizioni a norma di legge o nelle adulazioni e ricompense. Una persona autodeterminata, dunque, non accetterebbe mai di diventare schiavo di qualcun altro, contro la propria volontà. Ecco perché il sistema deve intervenire già sui bambini con un tipo di istruzione/educazione in grado di uccidere l'autodeterminazione e di formare i futuri schiavi produttivi, remissivi e, come diceva George Carlin, 'lavoratori ubbidienti, gente abbastanza brava da far funzionare le macchine e fare il lavoro d'ufficio e stupidi abbastanza da accettare passivamente tutto questo'.
Purtroppo la gestione del sistema è affidata a pedagogisti occulti che sanno benissimo quello che fanno e quello che dovranno fare, sanno benissimo le reazioni conseguenti della società (modellata come hanno voluto loro), sanno ingannare molto bene le masse. E riguardo alla scuola, questi pedagogisti del sistema hanno saputo fornire (già nel Rinascimento) dei pretesti molto accattivanti, anche se falsi, al fine di farla frequentare. All'inizio del Seicento, ad esempio, Comenio, considerato non a caso il padre della scuola moderna, illudeva le masse col mito dell'istruzione dicendo loro che se volevano diventare superintelligenti dovevano frequentare la sua scuola, organizzata in passaggi magici progressivi (donde le classi moderne), dove il sortilegio alchemico sarebbe intervenuto sui cervelli a renderli magnifici ed eruditi. Purtroppo ancora oggi moltissime persone confondono la scuola con la conoscenza e l'erudizione, l'educazione con l'assennatezza, l'istruzione scolastica con l'intelligenza, e pensano che una società senza edifici scolastici e senza specialisti dell'istruzione porti l'umanità allo sfacelo, cosa che invece sta avvenendo proprio con queste cose, cioè per mezzo e nel bel mezzo di una scolarizzazione massiccia, obbligatoria e capillare, che è andata aumentando progressivamente in ragione delle sempre più feroci esigenze del capitale, che ormai coincidono con le esigenze di questo tipo di società: competizione, efficienza, denaro, ambizione di potere... Ancora oggi le masse sono intrappolate nella vecchia convinzione secondo cui la scuola rappresenta la via per l'emancipazione e la conquista del potere, cosa che, come vediamo, non soltanto è falsa, ma anche autoritaria come obiettivo, perché il potere non è da raggiungere, ma da eliminare, dato che è la causa di ogni male sociale. Una persona a cui vien tolta l'autodeterminazione sarà ancora più avida di potere, oltre che ad essere acquiescente con chi il potere ce l'ha già, e questo è esattamente quello che ha voluto il sistema e che la scuola, sua servitrice, ha prodotto e produce.
Il processo di scolarizzazione non è purtroppo finito, perché ahimè non c'è limite alle richieste della produzione, e perciò i futuri schiavi non devono più essere soltanto obbedienti e remissivi (e aggressivi tra loro), ma devono essere superefficienti e autoregolamentati, cioè saranno gli stessi lavoratori che, nella loro schiavitù, e con efficienza meccanica, si autosorveglieranno, si autogiudicheranno, si autopuniranno. Dall'autodeterminazione siamo giunti all'autodeterminismo (passatemi il termine). Il capitale potrà fare a meno dei suoi sorveglianti nei vari Panopticon, perché saranno gli stessi detenuti sociali e produttivi ad autoimprigionarsi e a farlo con desiderio. La scuola, col suo programma occulto, sta andando proprio in questa direzione, e la società di logica conseguenza. E' un progetto preciso, voluto, attuato dalle riforme dei vari governi, in nome del capitale e avallato da chi, privato dell'autodeterminazione, non può e non vuole fare altro che consegnare la propria vita e quella degli altri a un governo esterno. E i bambini alla scuola! A ognuno la propria illusione!
Un giorno l'umanità la farà finita con tutti quelli che, in nome del 'nostro bene' e di una presunta 'sicurezza', si dipingono come specialisti certificati di qualcosa per farci fare, o non farci fare, qualcosa deciso da altri! Ma non possiamo aspettare che quel giorno arrivi da sé, perché non arriverà mai se non smantelliamo prima le sovrastrutture dovute all'educazione, e l'educazione stessa intesa come atto impositivo e per giunta obbligatorio indorato da qualche pretesto accattivante e rassicurante. Basta con la mitologia! Risuonano sempre le parole di Proudhon: 'chiunque metta la mano su di me per governarmi è un usurpatore e un tiranno. Io lo dichiaro mio nemico'.

'Col suo marchio speciale di speciale disperazione'

Quando decisi di aprire questo blog, sei anni fa, il panorama virtuale era un po' desolante e vuoto sui temi inerenti alla pedagogia libertaria. Anche quel motivo mi spinse ad aprire questo blog e, poco dopo, anche una pagina facebook che molti di voi già conoscono e seguono. Come vedete, qui nella colonna del blog, non ho certamente risparmiato informazioni e letture specifiche, con lo scopo preciso di far conoscere le cose che a me sembrano basilari sulla pedagogia libertaria. Non mi sono risparmiato neppure nella divulgazione di varie pubblicazioni in pdf. Continuerò a farlo.
Grazie a tutti i lettori, io oggi noto che vi è certamente più consapevolezza riguardo all'esistenza di una pedagogia libertaria, delle scuole libertarie in genere, tanto è vero che ho visto e continuo a vedere scuole libertarie che vengono inaugurate anche in Italia, come anche pagine facebook dedicate al nostro tema, o anche singole persone che, da insegnanti quali sono, si fregiano dell'aggettivo (o appellativo) 'libertario/a', e via discorrendo. In questi anni ho visto dunque cambiare le cose, alcune cose. Ma sempre in meglio? 
Dopo aver metabolizzato questi cambiamenti, dopo averli analizzati, forse oggi dovrei dire che non mi esaltano più di tanto, ma questa è soltanto una mia sensazione. A parte qualche eccezione, non di rado ho visto purtroppo quella che qualcuno potrebbe definire un'appropriazione indebita del termine 'libertaria' o 'libertario', ma anche 'anarchico' o 'anarchica', con la scusante sempre pronta all'uso che recita 'nessuno stabilisce chi e che cosa è anarchico'. In verità questa appare più come una falsa giustificazione che - e questo è vero - aiuta purtroppo soltanto alcune persone a veicolare altri scopi non propriamente anarchici, là dove invece l'anarchia è qualcosa di ben preciso pur nella sua galassia variopinta di declinazioni (declinazioni, e non interpretazioni funzionali a una direzione diversa), la sua intenzione è chiarissima, talmente chiara e netta che qualsiasi direzione diversa da quella anarchica par che mi salti agli occhi come un pomodoro maturo sulla neve.
Cosicché mi accorgo, e non di rado ormai, che la seppur cauta proliferazione di scuole libertarie, almeno in Italia, può anche celare o svelare qualcosa che poco o niente ha a che fare con questo tipo di scuole e con l'anarchia, sia nei metodi usati, sia nelle finalità. Le due cose sono sempre strettamente legate insieme. Il mio è soltanto un invito a saper discernere. La coerenza tra mezzi e fini viene spesso disattesa, ed è relativamente facile scoprire questa discordanza dal modo in cui una scuola o un gruppo si presenta al mondo... reale o virtuale che sia: prima o poi il velo della disonestà o della non coerenza cade: più si è consapevoli di cosa siano la scuola libertaria e la descolarizzazione, e più repentina sarà la caduta del velo dell'impostura, volontaria o involontaria che sia.
Perciò io credo che, insieme alla gioia nel vedere sì tanti gruppi di educazione libertaria, dovrebbe sempre accompagnarci anche una sana e costante pratica d'analisi critica, fondata sulla consapevolezza ferrea di cosa voglia dire veramente 'anarchia' o 'scuola libertaria', lungi dalla facile retorica o dai luoghi comuni, perché noi tutti e tutte stiamo vivendo tempi in cui l'ambiguità delle identità politiche e l'ipocrisia delle ideologie e delle strumentazioni sembrano impazzare più del solito, come pure gli opportunismi, le furberie in genere, a tutto svantaggio di un'idea schietta di libertà che, per sua natura, non può avere direzioni diverse da quell'unica, 'ostinata e contraria', considerata perciò eretica e assurda dalla maggioranza delle persone, odiata e combattuta dalla massa. Gli eretici perciò vengono spesso marchiati, sono delle 'anime salve', anime solitarie, che non possono avere il conforto della maggioranza, ammesso che vogliano averlo.
Questo blog continuerà ad informare in assoluta autonomia come fa dal 2011, senza naturalmente avere alcuna pretesa se non quella di informare, mantenendo la sua coerenza ben salda e ben lungi da qualsivoglia condizionamento esterno, classificazione, o assorbimento in circuiti e organizzazioni varie rigonfie di vuota retorica (anche anarchica) che serve soltanto da richiamo venatorio.

'Un uomo solo non mi ha mai fatto paura, l'uomo organizzato mi ha sempre fatto molta paura'. (Fabrizio De Andrè).

Critica sociopedagogica al film 'La classe degli asini' (Raiuno)

Un'amica pedagogista si sofferma su alcune fasi salienti del film 'La classe degli asini', e ne svela alcuni punti critici responsabili della visione distorta che la società ha rispetto alla scuola, alla funzione 'salvifica' che tutti le attribuiscono, e alla costruzione della società stessa fondata sulla e dall'educazione di massa obbligatoria.

Costruire automi ed essere convinti che siano individui

William Torrey Harris non è stato un anarchico statunitense, ma al contrario, per tutta la vita, non ha fatto altro che servire la causa schiavista del sistema statuale; è stato insegnante, sovrintendente delle scuole, commissario della pubblica istruzione, ha scritto libri sul metodo scolastico, sulla filosofia della pubblica istruzione, sulla psicologia che regge l'intero sistema educativo scolastico e sociale... Insomma, Harris era uno con le mani bene in pasta, pappa e ciccia con i governi che si sono succeduti in USA negli ultimi decenni dell'Ottocento, e ovviamente era anche amico di industriali guerrafondai e magnati dell'economia liberista. Tra i crimini da lui progettati, spacciati per azioni filantropiche a cui la gente normalmente crede acriticamente, per fede, c'è stato quello di normalizzare e omologare, attraverso la scolarizzazione, i figli dei nativi americani (gli incivili, come dicevano gli scolarizzati all'epoca a proposito degli 'indiani'), in modo da ridurre anche loro come gli altri civilizzati, cioè degli schiavi produttori, acquiescenti, obbedienti e incattiviti, timorosi dell'autorità, insomma: dei perfetti cittadini deresponsabilizzati, adattati, e soprattutto aventi anche loro l'idea che la scuola fosse necessaria. 
Questa breve introduzione biografica serve a farci capire che di istruzione, Harris, ne capiva molto, dove per 'istruzione' dovremmo intendere quello che veramente il termine indica: intervento esterno e inserimento di elementi programmatici atti a far funzionare una macchina nel modo prestabilito. Harris di queste pratiche istruttivo-educative, oggi fortemente in atto, era molto esperto, ed è perciò che le sue parole in merito agli scopi occulti della scuola non possono che essere veritiere. Non è perciò un Marcello Bernardi, o un Ivan Illich, o un Franciso Ferrer, o un Colin Ward ad affermare quanto segue, ma è Harris, un efficientissimo servitore dello Stato, promosso da quest'ultimo esperto di educazione nazionale e pedagogo. Ecco quanto ha affermato con orgoglio: 'Novantanove studenti su cento sono degli automi, attenti a camminare nei percorsi prescritti, attenti a seguire la morale prescritta. Non è un caso, ma è il risultato di una sostanziale educazione che, scientificamente definita, è la sussunzione dell'individuo' (citazione tratta da Wikipedia).
Constatati quindi gli effetti della scolarizzazione, ne consegue il fatto che per Harris, e perciò anche per i pedagogisti del sistema che ci vuole formati e istruiti nel modo da lui prescritto, l'individuo si identifica e si concretizza nel suo essere automa, l'individuo deve essere un automa (ossimoro), e che per far precipitare e disciogliere l'essere umano nella dimensione dell'automa occorre un'educazione specifica che solo la scuola, come pure la caserma e una società ampiamente scolarizzata, può garantire. Questi obiettivi nascosti della scuola sono stati il tema principale di molte analisi svolte da Ivan Illich, un pensatore che non a caso compare sempre nelle bibliografie relative allo studio della pedagogia anarchica e dell'apprendimento incidentale.
Quando noi vediamo, dunque, certi effetti, quello che succede intorno a noi, nel mondo come nella nostra città o nella famiglia tradizionale, e ce ne rattristiamo o indignamo, possiamo dire con certezza quale ne sia la causa, e conseguentemente porvi un rimedio, un freno, un limite, o anche soltanto un'attenzione come state facendo adesso, leggendomi. Possiamo di conseguenza fare un'altra società, di autentici individui e non di automi, disobbedendo anzitutto alle nostre convinzioni che ci sono state inserite dall'esterno, e soprattutto non facendo diventare automi sociali anche i nostri figli.

Anche la formazione dei docenti, se è obbligatoria, nasconde secondi fini


C
omincerei col dire che, a tutt'oggi, data di redazione di questo articolo, non esiste alcuna obbligatorietà in merito, quindi nessun dirigente scolastico può imporre ai docenti questi corsi. Mancano ancora i decreti attuativi.
All'interno dei contesti autoritari, com'è lo Stato, dove tutto viene indirizzato e finalizzato alla creazione continua del profitto per alcuni, e al mantenimento di un ordine sperequativo coercitivo e di addestramento all'obbedienza, ogni provvedimento studiato dall'autorità viene presentato al popolo come positivissima necessità per la 'crescita del Paese'. In realtà l'esperienza storica ci dimostra il contrario, cioè che tutti i provvedimenti concepiti dai manager dello Stato e imposti dai governi vanno a confermare e a rafforzare l'assetto autoritario dello Stato stesso. Un rafforzamento che ha purtroppo delle logiche conseguenze: maggiore sfruttamento delle masse, maggiore sorveglianza, maggiore divisione sociale, maggiore competizione, maggiore burocratizzazione, maggiore pedagogizzazione. 
La politica o l'idea dell'efficienza o del merito, dentro questi contesti autoritari, non può far altro che condurci sempre al peggio, come già succede. Per questo motivo ritengo un pericolo assoluto il nuovo assetto scolastico, chiamato beffardamente 'buona scuola'. Uno dei punti cardine di questa legge, cioè il 'piano per la formazione obbligatoria dei docenti', presentata come qualcosa di indispensabile e positivo per 'la crescita', una crescita dettata da quelle mai chiarite 'esigenze internazionali', nonché condita da una quantità sbalorditiva di vuota retorica aziendale, e ancora unita ad un controllo ormai quasi diretto sulla vita dei docenti, oberati di idiota burocrazia, non è altro che un sistema ben calcolato di annichilimento di ogni facoltà umana, di ogni idea di comprensione e solidarietà, di tutto ciò che è sano e libertario e davvero positivo per la società. 
Se 50 anni fa ci si lamentava dell'autoritarismo della scuola (come sempre, del resto), stiamone certi che adesso quella scuola la faranno persino rimpiangere, molti oseranno dire che era anche umana. Al di là del fatto che la scuola, di per sé, in quanto luogo di coercizione, non può mai essere umana, io credo che non si dovrebbe fare il confronto tra due mali per rimpiangerne uno, semmai bisognerebbe urgentemente indirizzarsi in una visione altra della società, libertaria e sana, una società che, ripeto con Illich fino allo sfinimento, va descolarizzata
Usciamo perciò da questa logica autoritaria (servo-padrone / gerarchie / competizioni / efficientismo / nazionalismo / antropocentrismo / classificazioni / scuola...), che sembra ogni volta una soluzione ai problemi (perché così ce la presentano e in molti ancora abboccano), ma, come ci urla l'esperienza storica, è una trappola colossale, poiché quella autoritaria è soltanto la logica del mostro capitalista che ha inventato lo Stato, è la logica della creazione dei nostri problemi, del loro mantenimento e inasprimento!


Non al denaro

Quando la maggioranza delle persone non pensa che al profitto e ai modi anche più immorali per ottenerlo, io, quando se ne presenta l'occasione, mi concedo il lusso di illustrare il mio punto di vista sull'argomento. Talvolta può essere sufficiente una sola battuta, com'è avvenuto oggi. Ma facendo questo, cioè illustrando il mio punto di vista sulle cose del mondo, inevitabilmente finisco per ferire dolorosamente il mio interlocutore, perché quello che dico scuote dal di dentro, schiaffeggia le coscienze deformate e abituate a dei valori che non mi appartengono, in quanto anarchico, umano, libero pensatore. Oggi una collega che mi ha chiesto qualcosa sul mio orario scolastico, dopo aver ascoltato quello che le ho risposto, ha dimostrato tutta la sua vulnerabilità in qualità di vittima  del pensiero unico autoritario, si è sentita colpita nel profondo e ha reagito come adesso dirò.
L'argomento, quindi, era l'orario scolastico, ed io non ho esitato a dimostrare tutta la mia soddisfazione nei riguardi del part-time, una scelta autonoma, ragionata, ma anche istintiva per motivi di naturale strategia di sopravvivenza. A quel punto la mia collega, come pure le altre che stavano lì ad ascoltare, non ha avuto che un solo pensiero, espresso in questo modo: 'ma col part-time, poi, non avrai una pensione misera'? Questa, posso garantire, è la domanda che sempre ricevo da chi mi chiede lumi sul part-time. Il pensiero è dunque solo per il denaro, non c'è spazio per nient'altro nella coscienza. Se poi penso a due anni fa, quando mi sono sentito dire da un'altra collega: 'ma allora tu sei ricco'!... Avrei dovuto dirle di sì, ma ricco di ben altri valori. Ma questo è un altro capitolo. Continuiamo.
Io alla mia collega di oggi le ho semplicemente risposto, con una battuta lapidaria, che sicuramente col part-time perderò dei soldi, come li perdo già adesso, ma ci straguadagno in vita e salute. Stop! E venne giù il mondo! La maschera della mia collega è crollata di colpo, allorché la sua reazione repentina è stata quella dell'animale ferito a morte. Come se io, con la mia etica della vita felice, l'avessi messa di fronte alle sue responsabilità di individuo che razzola male, o come se l'avessi obbligata a scegliere tra il valore della vita felice qui e ora e quella del profitto, la sua reazione non è stata quella della persona riconoscente o riflessiva, ma quella di chi vuole cercare a tutti i costi un giustificativo per sé, per salvare i valori in cui crede e pulirsi la coscienza. Infatti, al mio 'straguadagno in vita e salute', lei mi ha risposto scocciata in questo preciso modo: 'ma io non posso mica fare il part-time'! Ma chi le aveva imposto niente? Non le avevo di certo puntato una pistola alla tempia costringendola a fare il part-time! E' stata piuttosto la sua coscienza, lei sì, che le ha urlato di farlo! 
La sua reazione mi ha fatto riflettere, perché è comune alla massa. E' stata proprio una reazione sintomatica, indicativa, paradigmatica di una condizione ormai disumana, dove il valore della vita-felice-qui-ed-ora viene soffocato, automaticamente dimenticato, per essere sostituito dalla logica del profitto, dal guadagno monetario, dalla sofferenza permanente (esaltata dalla religione) concepita come valore positivo dalla morale comune: la morale degli schiavi sofferenti e remissivi, una morale scritta per loro dai padroni e dal clero, cioè da quelli che progettano il sistema con i suoi apparati coercitivi ricattatori che osano chiamare persino 'educativi'.

Chiamata diretta dei docenti e corruzione

Mi giunge una notizia che riguarda l'allarme dell'Anac (l'Autorità nazionale anti corruzione) circa la potenzialità corruttiva della chiamata diretta dei docenti da parte dei dirigenti scolastici.
Che l'operazione della chiamata diretta sia a rischio corruzione (più che rischio, direi la via maestra) non c'era alcun dubbio fin dall'inizio (e parlo di anni fa), ma adesso è anche un'istituzione dello Stato, l'Anac, a illustrarne la pericolosità. Un'istituzione dello Stato che allerta sulla pericolosità dei provvedimenti dello Stato? Molti potrebbero dunque pensare, ripetendo a pappagallo la retorica di regime, che lo Stato stesso adopera contrappesi e misure di contrasto all'ingiustizia. Ma chi crea l'ingiustizia? Farei perciò notare che la necessità di istituire dei 'contrappesi' o delle 'misure di prevenzione' denuncia in sé il fatto che lo Stato stesso opera attraverso le proprie ingiustizie legalizzate. Infatti, un'operazione di contrasto, un contrappeso, una misura di prevenzione, chiamiamola come vogliamo, non elimina assolutamente il problema, semmai lo conferma, gli dà persino un senso legale. E quali sarebbero le 'misure di prevenzione' alla corruzione secondo l'Anac? Tutta una serie di criteri da stabilire e da pubblicare sui singoli siti delle scuole, affinché la corruzione alla fine si possa svolgere lo stesso, come ci insegna l'esperienza, ma secondo principi 'democratici' decisi e avallati dai docenti stessi, o meglio, da una maggioranza di essi (le minoranze in democrazia non contano e, di fatto, vengono poste sotto i piedi) o, come credo, da quel numero ristrettissimo di docenti che costituiscono lo scodazzo servile del dirigente e che questi 'proporrà' al collegio dei docenti senza ricevere obiezioni dalla platea dormiente e acquiescente (parlo in base alla mia esperienza svolta ad oggi in una decina di istituti). Il giochetto dei criteri, della trasparenza, decisi da ministero oppure dal basso, non elimina per niente l'ingiustizia! E se non la elimina vuol solo dire che la conferma, nelle forme democratiche.
Questo dei criteri e della trasparenza è lo stesso discorso adottato dai sindacati di regime, i quali naturalmente non sono lì per abbattere il sistema, anzi. Capiamo allora, ma è ovvio, che il problema non è quello di voler eliminare la legge, cioè l'ingiustizia alla radice, ma fare in modo che questa rimanga, solo con certe regole (i criteri) che le vittime di questa ingiustizia dovranno stabilirsi da sole.

Qui l'allarme lanciato dall'Anac, all'interno trovate il pdf con gli eventi a rischio, e le relative misure di prevenzione. Poi si può anche vedere fino a che punto si può arrivare.

Voglio ripetermi: un sistema che ha bisogno di continue misure di prevenzione è un sistema corrotto in sé, è un sistema che non può eliminare la violenza perché è esso stesso violenza. Di fronte a un problema, l'unica soluzione è quella di eliminarlo alla radice, eliminare soprattutto la causa che genera il problema, e non invece trovare dei modi democratici affinché il problema continui ad esistere. Per quanto mi riguarda, una vera misura di prevenzione adottata dal popolo contro le ingiustizie che esso subisce (e produce) consiste soltanto nell'impedire che lo Stato e la Chiesa, attraverso i suoi ministri adorati dalle folle, continuino a opprimere, sfruttare, ingannare miliardi di persone.

Bonus premiale? Propongo solidarietà e ricevo silenzio

I docenti galoppano verso l'autoflagellazione, ad attenderli è una guerra fra poveri tanto meschina quanto violenta. Tutto legale, è la legge 107. La loro legge, beninteso. In tutte le scuole si istituzionalizzano i cosiddetti 'Comitati di valutazione', cioè docenti che dovranno giudicare i colleghi e le colleghe. E poiché appare di fatto molto difficile stabilire dei criteri per punire e premiare, il governo se ne lava le mani, non stabilisce alcun criterio, e delega ai singoli istituti lo svolgimento di tale ingrato compito.
Così ogni dirigente ordina, e tutti gli altri obbediscono, come cultura autoritaria insegna. Nessuno si pone la questione del principio criminale in sé, della violenza insita in questa volontà discriminatoria, la stessa violenza che si commette quando si traccia una linea verticale su un foglio e qualcuno, investito da una sempre supposta autorità, si arroga il diritto di decidere chi sono i buoni e i cattivi, i promossi e i bocciati, gli onesti e i disonesti, i notevoli e gli insignificanti... Sulla base di queste operazioni discriminatorie, col pretesto di queste classificazioni, si sono sempre compiute le più grandi atrocità della Storia. Ma la Storia ci racconta anche che quelle decisioni erano poi tutte delle fantasiose arbitrarietà, violenza di Stato, pretesti e capricci delle classi dirigenti, ordini della legge del Profitto, come lo sono oggi; ma della verità storica cosa importa alla gente?
Così, messa vigliaccamente da parte la questione fondamentale, cioè a dire la brutalità violenta del provvedimento legale in sé, tutti si affannano a cercare dei criteri 'che non diano troppo fastidio': ecco la immancabile e tristissima ricerca del male minore. E' il sistema. E' la schiavitù. E' lo Stato con la sua cultura. La massa educatissima ci è abituata a questa sofferenza, quando sono i governi a crearla. Qualcuno ha persino messo in giro il detto che recita: 'siamo nati per soffrire'. Che assurdità! Che ignobile pretesto viene insegnato ai bambini! E invece nessuno pensa che, in qualità di esseri viventi, dovremmo cercarci costantemente la gioia maggiore, cercarcela qui e ora (e non soffrire per avere una vita felice dopo la morte, in un ipotetico paradiso, come certe istituzioni criminali fanno credere ai bambini).
La cosa inquietante è anche vedere come colleghi e colleghe, e parlo di quelli con cui ho a che fare, facciano finta di essere disperate, dispiaciute, arrabbiate, ma poi, stringendo stringendo, arrivando al sodo e al nocciolo della questione, se ne infischiano e abbracciano totalmente la mozione calata dall'alto mostrando le loro schiene piegate. Eppure, a mio parere, qualcosa si può fare per aggirare questa legge! Avevo proposto una cosa molto semplice da fare, la cosa più umana e logica che mi era venuta in mente dopo la disobbedienza (ma la scuola insegna a obbedire, figuriamoci!). E quindi, dato che nessuno voleva disobbedire a questa violenza istituzionale, men che meno i singoli dirigenti delle singole scuole, e dato che mi sembrava facesse dispiacere a tutti il fatto che ci dovranno essere per legge docenti meno pagati di altri, più schiavizzati di altri, con una situazione generale sempre più incline alla cattiveria e al conflitto, ho proposto la mia soluzione: quelli che tra tutti saranno scelti per avere in saccoccia qualche spicciolo in più, potrebbero, una volta intascato l'ammontare, distribuirlo equamente agli altri. Ufficialmente l'operazione legale-commerciale-amministrativa risulterà andata a buon fine, ma nella realtà dei fatti avremo aggirato l'ostacolo e raggirato la legge. Ho detto ai colleghi che io farei così senza alcuna esitazione, che lo farei con vera gioia. Ma il risultato, purtroppo, è stato un rumorosissimo silenzio, un silenzio che ora grava pesantemente sulle loro coscienze. Con che faccia parleranno domani, i miei colleghi e le mie colleghe, di solidarietà? E' proprio questo silenzio il sigillo della massa servile, complice e ipocrita. E tuttavia...
Voglio dire qualcosa di altrettanto importante: tra questi colleghi e colleghe molti sono davvero dispiaciuti e arrabbiati per questa ulteriore discriminazione legalizzata. Ma non riescono a opporsi ad essa neppure adottando la soluzione che ho proposto. E allora la mia riflessione, al di là delle parole che ho scritto, si dirige piuttosto verso la mia volontà di capire i meccanismi psicologico-educativi che fanno delle persone dei perfetti schiavi volontari, sempre più incapaci di disobbedire all'autorità. Per la mia riflessione potrei anche partire dal famoso esperimento Milgram (qui), ma so già che la questione, dovendo inevitabilmente scavare a fondo per capirla, rimane sempre quella legata al concetto di infanzia-da-educare, educarla al rispetto cieco nei confronti della legge e dell'autorità, educarla all'obbedienza concepita come virtù, educarla al patriottismo, al militarismo, al timore costante di qualche punizione (terrena o ultraterrena), e alla condanna ferocissima di tutto ciò che deraglia da questo tipo di educazione funzionale soltanto allo status quo. E quest'ultima cosa è purtroppo consequenziale all'assimilazione del dogma educativo, cosa che avviene a scuola e nelle famiglie scolarizzate.

P.S. Per chi fosse interessato al referendum per l'abrogazione di alcuni passi della legge 107, nei municipi d'Italia si stanno raccogliendo le firme, ma anche in giro sui banchetti predisposti. Ad oggi hanno firmato ben 300.000 persone, maggiori informazioni le trovate in rete, ecco un esempio QUI.

Altra cosa: vorrei far notare che il governo non ha potuto stabilire i criteri per discriminare i docenti, come dicevo prima, ma questo fatto merita una riflessione più profonda, magari partendo dal concetto secondo cui prima il governo fa la legge per punire qualcuno, ma solo dopo si devono individuare i criteri per farlo. Ciò dimostra una cosa precisa: che la legge sulla 'buona scuola' è davvero una legge statale, cioè dal carattere eminentemente punitivo. Come dire, non importa in che maniera i docenti cercheranno i modi con i quali dovranno autopunirsi, qui importa soltanto che vi sia una legge a imporglielo! Sorvegliare e punire! Che genere di essere umano è l'acquiescente devoto che, osservando la legge, va anche contro i propri interessi? O quello che obbedisce soltanto perché viene minacciato e costretto brutalmente? E che genere di legge è quella che ha sempre bisogno della minaccia e della forza brutale per farsi rispettare? Siamo fuori da qualsiasi concetto di umanità e giustizia, oltre che ovviamente fuori da qualsiasi vera idea di libertà! Siamo nello Stato!

Una scuola viva, pulsante, buona più che mai

Quando ero bambino, gli adulti della mia famiglia mi minacciavano dicendomi che se non avessi fatto il bravo a scuola mi avrebbero mandato al riformatorio, facendomi peraltro capire con l'espressione della voce ed un gesto della mano eloquente che là, al riformatorio, le avrei buscate di santa ragione finché non avrei imparato a stare finalmente ed educatamente in una scuola. Anche da ciò si capisce che la natura della scuola non è benigna. L'istituzione dei riformatori, ritenuti necessari affinché gli spiriti più creativi e liberi venissero sedati e ricondotti a forza sul percorso dell'obbedienza remissiva, dimostra chiaramente che ciò che la scuola vuole è soltanto vederti rassegnato, indebolito, incattivito, e ben disposto ad accettare ogni tipo di coercizione e addestramento da parte dell'autorità. Il pretesto degli adulti è rimasto inalterato nel tempo: 'lo facciamo per il tuo bene, per la tua sicurezza, per il tuo futuro, obbedisci e un giorno ci ringrazierai'.  
Vorrei dirlo apertamente senza troppi giri di parole: se nel mio modo di essere c'è forse qualcosa di buono, come alcuni sostengono, dove per 'buono' si intende un carattere incline al senso di giustizia e al rifiuto categorico dei valori autoritari, questo non lo devo certamente all'educazione scolastica, né alla convinzione degli adulti che mi hanno mandato a scuola, ma lo devo a qualcosa che, da essere umano, mi porto dentro dalla nascita, come un istinto; ma lo devo anche alla mia autonoma capacità di riflessione e di analisi evolutasi nel tempo nonostante la scuola e a dispetto della società adultocratica.
C'è stato un tempo, a dire il vero, in cui anche io ho creduto alla teoria della scuola come strumento di emancipazione personale e collettiva. Ero giovane e ingenuo, e anche presuntuoso: guai a chi osava mettere in discussione le mie convinzioni granitiche sulla scuola. Oggi non posso più credere che la scuola sia uno strumento di emancipazione, anche alla luce degli effetti visibili prodotti dalla scuola su questa società, per questa società specifica, che è sempre più vittima della propria pedagogizzazione obbligatoria di massa. Emancipazione da che cosa, poi? Dal sistema oppressivo che non ci rende liberi? Bene, ma un giorno mi son dovuto chiedere: com'è possibile che la scuola, che è uno strumento del sistema, voluto dal sistema, possa servire a liberarci dal sistema? Da lì, poi, la riflessione ha seguito la via più logica ed evidente nel definire la scuola come mero strumento di perpetuazione del sistema. Forgiare servi affinché questi si creino i padroni. Et voilà!
Niente da fare, con me la scuola ha fallito totalmente, non ha saputo raggiungere uno dei suoi obiettivi più nascosti e pervasivi: farsi percepire come indispensabile, come luogo massimo e unico del sapere, come un dogma ineludibile. Ciò che la scuola predica per propagandare se stessa, poi, non ha alcun riscontro nella realtà, perché, come ho avuto modo di ripetere più volte, un conto è predicare bene, un altro conto è agire esattamente per come si predica. E la scuola, come la società che da essa scaturisce, è fatta in modo tale che ogni azione dei singoli, nonostante le loro buone intenzioni, vada nel verso opposto alle cose che si predicano, va cioè nel verso opposto alla solidarietà, all'armonia, alla giustizia, alla libertà. Le eccezioni rimangono tali, confermano la norma, e puntualmente vengono pure criminalizzate.
Io credo che le voci assolutamente critiche sulla scuola e sui suoi obiettivi nascosti, sui suoi metodi coercitivi e ricattatori, voci che hanno ormai radici profonde nella storia e che ci esortano ad abbandonare il dogma scolastico, debbano essere non soltanto ascoltate, ma tradotte urgentemente in pratica per un fine davvero umano e universale, autenticamente emancipatore, perché, come diceva anche H. D. Thoreau, la scuola non può mai essere un edificio in cui i bambini vengono rinchiusi escludendoli dalle infinite relazioni quotidiane, escludendoli dai veri e gioiosi insegnamenti che la vita ci dona; la nostra scuola, diceva Thoreau, deve essere il mondo intero! La maggior parte delle cose che sappiamo le abbiamo imparate fuori dalla scuola, dalla gente più diversa e dall'esperienza diretta, e con la gioia di farlo, senza strumenti premiali e punitivi, senza ricatti e voti sul registro, senza orari prestabiliti e cultura competitiva. Apprendimento incidentale, gioco come naturale strumento di conoscenza, rovesciamento della cultura attuale e dei dogmi educativi, pensare a una società liberata dalla scuola... di questo si dovrebbe parlare, e questo dovremmo fare dopo due secoli di critica alla scuola istituzionale, e non parlare di competenze (dei futuri automi produttivi) o di merito (come e quanto si è diventati automi). Forse un giorno racconterò di un ragazzo che non è mai andato a scuola, potrebbe aiutare qualcuno a togliersi dalla testa la necessità di tale nefasta istituzione, qualora ci fosse ancora bisogno di dimostrare qualcosa oltre ai già eloquenti dati di fatto.
Nel tempo in cui le caratteristiche autoritarie della scuola si stanno inasprendo e i suoi strumenti violenti si stanno potenziando, arrivando persino all'istituzione di classifiche di merito (leggi demerito) per i docenti, classifiche deliberate dagli stessi docenti (c'è qualcosa di più aberrante?) che ora dovranno lottare miserevolmente tra loro per un tozzo di pane in più tolto dalla bocca del collega, io non credo che la scuola stia morendo o che sia già morta, come si potrebbe pensare.  Dico invece che la scuola non è mai stata così viva, purtroppo, a tutto vantaggio di un programma capitalista molto preciso e raffinato, occulto, che fino ad oggi non ha mai sbagliato un colpo, perché conosce fin troppo bene la materia sulla quale opera, una materia che proprio il capitale ha creato per sé e forgiato a proprio vantaggio, proprio per mezzo della scuola, e non ha ancora finito. Le nuove esigenze del capitale, sempre più voraci, non possono essere concretizzate se non passando attraverso un'educazione di massa obbligatoria e istituzionalizzata tesa a far accettare di buon grado, anzi, persino con grande approvazione delle masse appositamente istruite, le nuove istanze del sistema produttivo. La scuola intesa nel senso etimologico del termine (scholé = tempo libero), se mai ne è esistita una veramente, si perde nella notte dei tempi, ormai non esiste più da molti secoli. Quella sì che è morta, ma è morta soprattutto nella mente istruita delle persone, che ormai non sanno più immaginarsi una società del tempo libero, senza scuola e senza autorità, senza competizioni e senza gerarchie, senza prigioni e senza polizie.
Non ci serve una nuova scuola, bensì la sua abolizione, ci serve la descolarizzazione del mondo. E' vero che facciamo tutti molta fatica ad abbandonare i dogmi, le credenze storicizzate e i pregiudizi, ma a un certo punto bisogna pur guardare in faccia noi stessi, i nostri secoli di storia e il tipo dis-umano che la scuola ha creato progressivamente nei secoli. Parlare di emancipazione mi sembra persino offensivo nei confronti dell'intelligenza, oltre che del buon senso. D'altra parte, so bene che è facile cadere nella trappola del riformismo, come se il disastro in atto non fosse dovuto a tutte le riforme ministeriali, ma oltre ad essere, il riformismo, una cosa comoda e vigliacca, utile solo al capitale, dobbiamo domandarci con chi avesse mai parlato Ivan Illich quando nel 1971 scriveva 'Descolarizzare la società', o quando John Holt respingeva categoricamente l'educazione con la quale - diceva - bisogna assolutamente farla finita. Due esempi tra gli altri, s'intende.
Anche le scuole libertarie, beninteso, se fanno di loro stesse il fine ultimo e non il mezzo, se cioè non riescono ad essere degli archi tesi attraverso cui gli individui prendono uno slancio vitale e si scagliano autonomi verso il proprio modo di sentirsi e costruirsi, diventano come quelle scuole democratiche, apparentemente libere, ma aventi sempre un controllo a monte, come le istituzioni che hanno come scopo finale se stesse, la loro perpetuazione. Quale dovrebbe essere, dunque, secondo il mio parere, il fine ultimo di una scuola libertaria? Mi sto occupando di questo argomento in altre sedi, forse un giorno vi dirò quello che penso in merito a questo argomento. Intanto grazie dell'attenzione, come sempre.

Corollario

'Negli anni ‘60, quando la mia prima figlia doveva iniziare il percorso scolastico, mi sono guardato intorno alla ricerca di una buona scuola, pubblica o privata, a cui affidare la mia amata bambina. Non sono riuscito a trovarne una in tutta Città del Messico. Alcuni amici si trovavano nella stessa difficile situazione. Allora ci siamo inventati la nostra scuola. Abbiamo fatto un meraviglioso cocktail, mescolando alla nostra creatività una grossa dose di Freinet, un po’ di Montessori, un po’ di Steiner e delle scuole Waldorf, un po’ di Summerhill, ecc. Era molto bello. Ogni anno aggiungevamo una classe, perché mia figlia potesse continuare gli studi. L’esperienza le piaceva. Ma quando lei ha finito le medie, abbiamo chiuso la scuola. A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo). Siamo dunque stati costretti a cercare percorsi alternativi'.
(Gustavo Esteva, da 'Senza insegnanti, descolarizzare il mondo' - Asterios Editore)

Il 'merito' della scuola

La pedagogia del merito, o della competenza, o dell'efficienza, cioè la scuola come viene disegnata dallo Stato riforma dopo riforma, è un progetto molto inquietante che appartiene alla classe capitalista e che prende avvio a partire da un obiettivo preciso da raggiungere: formare coscienze e cervelli dediti esclusivamente alla costruzione di una società sempre più lontana dalla sua stessa libertà, dalla pace, dalla giustizia, dalla solidarietà, da tutto ciò che è (rimasto) umano. 
La continuità logica e strutturale tra tutte le riforme della scuola è sotto gli occhi di tutti, ormai. Un grande e nefasto obiettivo lo si raggiunge soltanto a piccoli passettini e grandi inganni, e queste sono le riforme! I nostri figli stanno attraversando una fase di addestramento scolastico particolare, che dall'Uomo Utile al sistema (ma forse ancora con qualche remora) conduce all'Uomo Utile al sistema che si autocontrolla e si autopunisce allorché devia dall'obiettivo. In una logica di meccanizzazione esasperata dell'essere ormai disumanizzato, dove l'alienazione ottocentesca viene superata da una più moderna e inquietante fidelizzazione all'estraneamento di sé, si viene a formare una società finalmente - questa sì! - hobbesiana, ma dove la brutalità conseguita sarà paradossalmente trasformata in etica, ed è questo il lavoro sporco che la pedagogia del merito sta facendo. La competizione non porta ad altro. 
Siamo purtroppo ben oltre il concetto di burattini comandati, si va verso la 'burattinizzazione' autocomandata e autocontrollata dagli stessi burattini. E' evidente che, in questa prospettiva, la scuola non potrà più dare spazio alle Arti, seppur in modo limitato, controllato e circoscritto come è adesso. Infatti in molti istituti superiori l'Arte semplicemente non è mai esistita, mentre, negli altri istituti, due ore settimanali sembrano già essere fuori luogo, qualcosa che toglie spazio alle 'materie più importanti', se non addirittura qualcosa di pericoloso. E pericolosa, l'Arte, lo è davvero per il sistema che è conservatore in sé! Perché parlare di creatività, di fantasia, cioè di 'altro', di qualcosa di diverso dal consueto (diverso anche dal terribile consueto che dovrà essere nel prossimo futuro) è diventato ormai nella scuola qualcosa di molto sconveniente per i docenti, soprattutto quelli più profondi che non si accontentano delle informazioni 'offerte' dai libri istituzionali, già totalmente ammansiti e censurati dell'elemento proprio dell'Arte: l'aspetto rivoluzionario, radicale, anarchico.
Ci stiamo avviando verso la costruzione di un futuro di sfruttamento molto scuro e triste, ancora più tragico di questo presente, siamo in piena rotta, e come in questo nostro presente io penso che la moltitudine di persone, domani, sarà persino fiera di vedere la sua propria efficienza disumana. Tutto 'merito' della scuola istituzionale, obbligatoria, di massa o, per essere più corretti, tutto 'merito' dei soldatini preaddestrati che già oggi, in qualche modo non ancora codificato (ma manca pochissimo), si autocontrollano e si autopuniscono con ferocia e, nell'addestrare i bambini ad obbedire alle autorità e alla morale comune, quindi al sistema, credono persino di svolgere il lavoro più bello del mondo.

Questa cultura uccide la gioia!

Tutto ciò che è libertà è stato chiuso, cancellato, vilipeso, vietato, distrutto, attaccato, criminalizzato, in modo tale che un antico progetto antilibertario chiamato Stato potesse dichiararsi vittorioso, l'unico possibile. Ma a me duole di più constatare il fatto che l'immane e costante lavoro svolto da alcune menti interessate al progetto capitalista antilibertario sia riuscito a trasformare le vittime di questo progetto in premurosi ed efficientissimi artefici della loro stessa schiavitù. Ho parlato a volte di autopoiesi del sistema, il cui motore autoriproduttivo dei vari meccanismi autoritari è da ricercare nell'insieme dei valori e di conoscenze di cui questa nostra società è rimasta vittima, conoscenze spesso distorte, sicuramente parziali, settoriali e funzionali alla perpetuazione della società statuale. E' un'ingiustizia che si rifà continuamente, un ciclo vizioso che non troverà una fine finché le masse continueranno ad agire come tali, cioè in base a quell'unica visione del mondo calata dall'alto, data loro in pasto ogni giorno fin dalla tenerissima età: cultura autoritaria-militare-mercantile. Il riformismo non serve proprio a niente, anzi, fa il gioco della macchina del Dominio, è un travestimento gattopardesco buono solo per illudere le masse: abbiamo accumulato abbastanza Storia (troppa!) per poterlo affermare con veemenza. 
Anche l'educazione è diventata una parola troppo idolatrata, una di quelle parole che si tiran fuori quando si vuol ricevere un'approvazione conformista. Parola da troppo tempo svuotata del suo vero significato, retorica, solo stupida retorica che nasconde una tragedia immensa, quella dei tanti popoli soggiogati che si autocostruiscono le catene e se le difendono, per convinzione dogmatica: di quest'autocostruzione qualsiasi potere si giova, qualsiasi! Così, se ormai la libertà fa purtroppo paura ai moltissimi, se addirittura non si riesce più a concepire una vita senza padroni e bastoni, io vorrei dire che questa è una società di morti! e che no, per quanto mi riguarda, la libertà di vivere senza autorizzazione non mi fa paura, e come potrebbe? anzi, è la mia personale ricerca della 'joie de vivre'. Ma la mia libertà può compiersi soltanto quando anche gli altri sono liberi, non finisce affatto dove inizia quella degli altri, ma vi si compenetra in un'amplificazione reciproca che moltiplica l'estro vitale di tutte le parti in causa. In qualche parte del mio passato ho vissuto direttamente questo fenomeno umanissimo, dove la libertà è stata amabilmente condivisa, non limitata. Lo so, sembra assurdo ragionare in questi termini in una società autoritaria che si addestra ormai da sola all'autocostruzione dei recinti e all'amore per essi. Per me invece è assurdo pensare di essere liberi quando non lo si è affatto! Vorrei chiudere dicendo che queste parole non sono altro che rigurgiti casuali di momenti effimeri passati davanti a un computer. Non ho nessuna morale per alcuno. Solo saluti.

Spesso il male degli esperti ho incontrato

Proviamo a immaginare una situazione dove vige una certa serenità, o comunque una non-necessità di modificare le cose. Nonappena si istituisce un esperto o uno specialista di quella data situazione, immediatamente compaiono i problemi da dover risolvere, e anche in fretta, pena sicuramente qualche cosa! emerge cioè il bisogno di riformare quella data situazione, anche se nessuno prima sentiva effettivamente la necessità di farlo. Guardiamo ad esempio il nostro pc, il tavolo dove è poggiato (il primo esempio che mi viene in mente adesso, ma il paradigma si applica ormai a tutto ciò che è società istituzionalizzata), tuttosommato il nostro tavolo ci piace, gli oggetti intorno sono disposti in modo forse casuale ma perfettamente funzionale ai nostri effettivi bisogni, al nostro gusto estetico, rispondono ad esigenze assolutamente personali, pratiche, e siccome siamo ormai adulti, non più dei bambini in perenne stato coercitivo, del nostro caos sul tavolo non ne dobbiamo rispondere a nessuno. Certo, sul mio tavolo-da-pc adesso c'è della polvere, anche il pc è impolverato, e la cosa non dico che mi faccia esultare di gioia, ma questa polvere posso ben toglierla da solo, quando voglio io, se lo voglio, anche perché non dà fastidio a nessun altro. Ma ora istituiamo un 'esperto di tavoli-da-pc', diamogli anche una laurea in modo tale da riconoscerlo tutti come 'esperto di', e vedremo immediatamente che costui o costei, riguardo al nostro tavolo, dovrà trovarci per forza qualcosa da modificare, dicendoci che altrimenti, se dovesse rimanere così com'è, unico e libero, sarebbe un problema per qualcuno o un pericolo per qualcosa.
Paradossalmente e inevitabilmente, come ha ben evidenziato quella mente gigante di Ivan Illich nelle sue pregevolissime analisi sociali, là dove si istituisce un 'esperto-di-qualcosa' nascono purtroppo i problemi. Se l'esperto non inventa o non trova qualche problema 'di sua esclusiva competenza', questo esperto non avrebbe alcun motivo di esistere. Ergo... E se prima tu stavi tanto bene col tuo personalissimo tavolo-da-pc, adesso, poiché riconosci l'esperto come tale, ti convinci di aver bisogno di risolvere urgentemente quel dato problema fatto emergere dall'esperto. Non si scherza, quell'esperto è un laureato, e quindi sa bene cosa serve alla nostra vita davanti al pc! L'istituzione provvederà, se non lo ha già fatto in precedenza in previsione di creare a bella posta l'esperto dei tavoli-da-pc, a scrivere una legge specifica che punisce i trasgressori o i dissidenti dei tavoli-da-pc. (La legge calata dall'alto non è tale se non punisce o terrorizza chi la deve rispettare. Che volete farci? noi non abbiamo una coscienza o un'etica, nemmeno una volontà nostra, ci servono altre persone come noi a guidarci col terrore e la forza. E siamo sempre e solo noi a dare a un pugno di persone il diritto di esercitare la forza su di noi. Incredibile, no?). Allora, dicevo, la legge unificherà, omologherà tutti i tavoli-da-pc, ne deciderà persino la dimensione e il colore, il numero massimo di oggetti che possono stare sul piano, la loro disposizione... la legge ti imporrà quindi, per la tua sicurezza e il tuo bene (dice), un ordine ben preciso deciso da qualcuno che non sei tu, che non può avere le tue stesse esigenze, un ordine che non risponde più ai tuoi bisogni effettivi, e tu, da quel momento, potrai fare solo due cose: adattarti alla legge e all'omologazione sociale, rinunciando alle tue vere esigenze e alla tua stessa personalità, unica al mondo, e trasformandoti presto anche tu - ahimé - in un 'agente dell'ingiustizia'* che denuncia il suo vicino di casa per il suo tavolo fuori legge, e gli farai persino la guerra in nome della legalità e dell'educazione, oppure sarai fiero di essere etichettato come dissidente, rivoluzionario, eretico, sovversivo, criminale, sabotatore, disertore... Mi auguro che la metafora sia chiara, come la morale.
Mi ricordo gli scritti di Errico Malatesta quando parlava del rapporto indissolubile tra organo e funzione in riferimento agli esperti della violenza istituzionale: 'Organo e funzione sono termini inseparabili. Levate ad un organo la sua funzione, o l'organo muore o la funzione si ricostituisce. Mettete un esercito in un paese in cui non ci siano né ragioni né paure di guerra interna o esterna, ed esso provocherà la guerra, o, se non ci riesce, si disfarà. Una polizia dove non ci siano delitti da scoprire e delinquenti da arrestare, inventerà i delitti e delinquenti, o cesserà di esistere'.
Con ciò non sto disconoscendo le competenze di qualcuno o di qualche categoria di professionisti, sia chiaro, dico solo, come dice Illich, che l'istituzionalizzazione anche delle competenze specifiche è sempre nefasta nei suoi scopi reconditi e funzionali soltanto alla società capitalista. Viva dunque tutte le competenze, ma libere da qualsiasi obbligo sociale e legale! Niente imposizioni! Se nei paraggi si trova adesso qualche esperto di tavoli-da-pc, sappia che lo interpellerò soltanto quando ne sentirò davvero l'esigenza. Per ora sto benissimo così: nessun problema sul mio tavolo. E di ciò che mi riguarda da vicino, che è la mia stessa vita, sono io il più esperto tra tutti i sedicenti esperti, siano essi laureati o no. Spero sia chiaro anche questo concetto.

* A causa del rispetto della legge, perfino le persone oneste sono quotidianamente trasformate in agenti dell'ingiustizia' (Henry David Thoreau)
 

Unioni gay, adozioni, famiglia, morale cattolica... ma quante storie!

Per quanto mi riguarda, la questione delle unioni gay e della relativa adozione di figli è soltanto una falsa questione, una di quelle diatribe che tengono acceso il dibattito, le luci del teatrino mediatico, ma anche la distrazione dal punto cruciale ed essenziale, quello dell'autorità familiare, di qualsiasi genere essa sia. Mi fa innervosire l'ardore con cui la folla si addensa di fronte alle due opzioni messe in campo e di conseguenza, come sempre, perde di vista o ignora completamente il contesto o il punto nevralgico della questione. Non sarà che esiste un punto di vista diverso, almeno uno diverso, ragionato e sicuramente più autonomo, da quello imposto da chi sta creando questo - a mio avviso - inutile dibattito mediatico? Io ad esempio, sul tema che in questi giorni sta facendo scaldare le folle, ho un parere diverso. Riguardo alle coppie gay (se fosse per me eliminerei anche l'etichetta 'gay') mi sembra che nel dibattito venga tralasciato proprio quell'aspetto del potere interno alla famiglia, del Dominio, di cui vittime predestinate sono, ahimé, sempre i figli. E il guaio è che qualcuno, nel suo dibattere, dice anche di sapere quale sia il bene dei bambini e di volerlo preservare! Ma andiamo avanti. 
Nessuno può dimostrare che una coppia gay non si predisponga in maniera egualmente gerarchica autoritaria, proprio come una famiglia tradizionale, nei confronti di se stessa e dei figli. Tutt'altro, io so che l'educazione, il tipo di cultura che ci viene inculcata obbligatoriamente attraverso la scuola e gli altri media conduce tutti ('maschi, femmine e cantanti') alla stessa concezione autoritaria della famiglia e di qualsiasi altro elemento sociale istituzionalizzato e organizzato legalmente. Voglio dire che in questo tipo specifico di società non facciamo altro che costruire piramidi in ogni dove, con qualsiasi tipo o genere di materiale. Capiamo la metafora.
Per quanto mi riguarda, penso perciò che di fronte all'esercizio del potere dato sempre come fatto culturale pedagogizzante formativo, nulla cambia se una coppia è omosessuale o etero, o se la famiglia è di tipo tradizionale o progressista, stretta, allargata, comunitaria, o come-caspita-volete-voi. Laddove vi è autorità e gerarchia, cioè Dominio, cioè qualcuno che comanda e qualcun altro che deve obbedire contro i propri interessi, non può mai esserci libertà e umanità, con tutto ciò che questo comporta e che ormai abbiamo imparato a conoscere. Per cui, detta papale papale, a me non importa il modo in cui ognuno concepisce la propria famiglia, è invece auspicabile che non vi sia alcuna istituzionalizzazione delle unioni decise liberamente da chicchessia, e che dentro ogni tipo di contesto affettivo nessuno abbia a comandare e nessun altro debba obbedire e subire le decisioni prese dal vertice. Il potere è sempre distruttivo e immorale, generatore di violenza e ingiustizia, a prescindere da chi lo esercita, perciò semmai per me la questione centrale è solo questa, non certo il 'come deve essere quello/a che dovrà indossare i pantaloni'. Chi dibatte su adozioni gay sì e adozioni gay no, è esattamente come quello che si dispone a destra o a sinistra, in spazi ideologici calati dall'alto, senza capire che il vero problema è il potere in sé, non la parte politica che lo eserciterà.
Fin qui le mie parole, ma cosa dice ad esempio uno che per tutta la vita si è occupato professionalmente di famiglia, figli, educazione, pedagogia, salute psicofisica dei bambini? Parlo di Marcello Bernardi. Forse può essere utile leggere anche il suo punto di vista. Trovo queste sue parole, e le trascrivo di seguito, non sono esaustive, beninteso. Un motivo per riflettere intimamente su altri punti di vista, se ci va di farlo.
'...L'importante, mi pare, è non lasciarsi sopraffare dall'imposizione di modelli dati come ineluttabili. Per esempio dal modello della famiglia nucleare. Questo modello è in crisi, l'abbiamo sentito dire infinite volte e da infinite parti, ma non si riesce a superarlo. Il che vuol dire che ogni persona lo deve superare in proprio. Non è il caso di aspettare che i soliti Esperti ci suggeriscano la soluzione. Non è il caso di stare a vedere che cosa succederà nella cosiddetta 'famiglia aperta', se mai si riuscirà a realizzarla. E' il caso di aprire subito la propria famiglia, e se stessi, secondo linee e scelte che non possono essere che personali. Posso dire solo questo: che i disturbi del carattere e della socializzazione, che come pediatra vedo quotidianamente in un numero crescente di bambini, mi spingono a pensare che sia urgente uno sforzo comune, di ciascuno e di tutti insieme, per andare oltre gli schemi che ci sono stati imposti. E che ci sono imposti ancora, nonostante tutte le più clamorose dimostrazioni del loro fallimento. Sia la figura materna che la famiglia possono sottrarsi, anche senza riforme, alla istituzionalizzazione, e quindi recuperare la loro qualità affettiva. Possono respingere le tentazioni dell'appropriazione, della iperprotezione, della chiusura, dell'isolamento. Meglio farlo subito, perché nel frattempo la fabbrica dei nevrotici seguita a funzionare'.

Immagine: Paul Gauguin, 'Da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo' (particolare).

Normalità criminale

La realtà, voglio dire questo tipo di realtà, la quale non salta fuori dal nulla ma da una precisa intenzione progettuale, un preciso disegno pedagogico-culturale che sottrae forza e persino valore a quello naturale, non ha che l'oscurantismo come strumento ideologico effettuale di perpetuazione. Ma non è poco! E tu, lettore o lettrice, puoi anche sfogliare un qualsiasi vocabolario per leggerci dentro la definizione di oscurantismo, se lo desideri, ma io adesso avrei solo desiderio di dire che questa realtà, così com'è, come pare voglia rimanere per chissà quanto altro tempo, si riassume nel ricordo di uno scambio di battute che ho avuto qualche tempo fa con una bambina di soli 11 anni - sottolineo questa giovane età - la quale, un giorno, con aria irritata di sfida nei miei confronti, non ha esitato nemmeno un secondo a tirarmi addosso le seguenti parole: 'se tu non credi in dio, allora io e te non siamo più amici'. Naturalmente la bambina si riferiva al suo dio o, direi forse meglio, a quell'astrazione dogmatica esclusiva (che esclude, appunto) inventata dagli esseri umani che ogni istituzione religiosa pretende essere universale e unica e giusta al mondo, e che la bambina si è ritrovata suo malgrado a dover accettare in questa specifica regione del mondo statalizzata, non più libera. Non era certo lei, la bambina, a parlare in quel modo; erano i suoi genitori, era il parroco, erano i suoi professori, era la cultura borghese, era tutta questa società istituzionalizzata, era chi volete voi, ma di certo non era lei.
Ecco che, per effetto della cultura imposta e assunta fin dalla tenera età come normalità da difendere e perpetuare, a 11 anni di età non si è già più soggetti, individui autodeterminati, ma massa, oggetti sottoposti alla biopolitica, elementi passivi e aderenti a una società di conformisti, teste acritiche che pensano e agiscono sulla base di ciò che qualcun altro ha deciso dall'alto, braccia che difendono chi, dall'alto, stabilisce per loro che cosa sia giusto o sbagliato, vizio o virtù, normale o deviato, vero o falso, buono o cattivo. Personalmente ne ho abbastanza di queste arbitrarietà culturali, se non altro per una questione di età, non certo per una coscienza storica alla quale non credo gran che, anzi, direi che se in circa 5 mila anni di sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo siamo ancora a questo stadio di oscurantismo e sfruttamento, dove si ripetono i medesimi errori del passato senza neanche avere la minima intenzione di capire alcunché dalla Storia per invertire finalmente la direzione, vuol proprio dire che la coscienza storica è solo una favoletta. Mitologia.
 Dividi i popoli in squadre e partiti politici, fabbrica ruoli, miti di efficienza competitiva in nome di un illusorio progresso, inventa dèi e religioni, confini e bandiere, decreta chi sono i buoni e i cattivi, coltiva dunque in questo modo attriti d'ogni sorta, odio, violenze, e quando i popoli si vedranno così abbrutiti a tal punto da sgozzarsi in guerra a vicenda, portando una divisa addosso che è giunta a rivestire il corpo solo dopo aver rivestito prima il cervello, dando assurdamente la colpa a se stessi e persino alla biologia, allora ti chiameranno a gran voce per essere governati, proprio tu, che sei esattamente come loro, voglio dire con umane membra, e che da uno scranno mediatico prometti sicurezza e prosperità. Quando nessuno o quasi sa più immaginarsi la libertà, pensandola addirittura come un pericolo, allora succede tutto questo.. Lo vediamo, purtroppo.

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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