Una citazione al giorno

Una citazione al giorno -
Data Rivoluzionaria

Luigi (11 anni) e il suo disegno sulla libertà.

Quando un bambino impara qualcosa che lo appassiona veramente, il modo di dimostrare il suo entusiasmo è quello di ri-produrre la cosa che ha imparato. Questo processo di 'mimesis' fa bene al bambino, è un suo modo per dire 'mi piace questa cosa, io sono questa cosa, fa ormai parte di me e voglio dimostrare quanto mi piace'. I 'miei' bambini continuano a regalarmi disegni, mi fanno mille gradite sorprese, e sono tutte azioni di mimesi di quello che sto insegnando loro. Ecco il disegno di Luigi (11 anni) che ha realizzato in classe, liberamente, a mia insaputa.

Potrebbe essere l'assunto di un giovanissimo Bakunin (per Bakunin la vera libertà esiste solo quando tutti sono liberi). Il valore del disegno non è tanto l'elaborato in sé e la didascalia a margine, ma il fatto che la realizzazione è stata spontanea, libera, non imposta. Luigi sta dicendo 'mi riconosco veramente in questa cosa'.
Rimane perciò la questione di base, cioè su cosa sia meglio insegnare ai bambini per costruire un futuro migliore. Se ai bambini viene insegnato il rispetto e l'obbedienza verso le autorità (cosa che avviene in tutte le scuole), allora la società è destinata a perpetuarsi nei suoi modelli sperequativi, gerarchici e profondamente autoritari. Se invece ai bambini viene insegnato il rispetto reciproco, l'uguaglianza, la libertà, la cooperazione, l'umanità, allora avremo una società più giusta. Ma questi valori così alti non possono essere solo predicati, bisogna attuarli veramente, e che siano anzitutto la scuola e gli insegnanti a farlo. Insegnare vuol dire dimostrare praticamente. Inutile predicare che abbiamo tutti gli stessi diritti quando proprio la scuola è una fucina di ingiustizie e disuguaglianze. La discrepanza tra il dire e il fare viene subito intercettata dai bambini, i quali non capiscono per quale motivo - ad esempio - i professori dicono che siamo tutti uguali quando i loro voti, i premi, le punizioni e la divisione in classi... stanno lì a dimostrare esattamente il contrario. Non capiscono per quale motivo i professori parlano di libertà mentre bisogna chiedere il permesso per fare tutto, persino per bere, e si è costretti a studiare quelle precise cose in quelle precise ore (imposte da altri). Non capiscono per quale motivo i professori spiegano la solidarietà mentre sono loro i primi a farsi la guerra (i bambini vedono tutto) e mettono in competizione costante i ragazzi, costruiscono gerarchie e capiclasse.
Non è così che funziona. Il metodo fascista perdura nella scuola e, semmai, quel tipo di scuola tradizionale (pubblica o privata) è funzionale solo allo Stato quale sistema di controllo coercitivo, profondamente ingiusto e violento nei confronti di una società che, come questi bambini, vorrebbe solo essere libera e fraterna con tutti.

P.S.
Luigi è il bambino che aveva dato questa risposta alla sua compagna di banco.

S.C.U.O.L.A.

L'altro giorno sono entrato in classe e mi sono accorto che i ragazzi mi avevano fatto una bella sorpresa. Avevano riempito la lavagna con scritte e disegni di tutti i tipi. Ogni frase esprimeva in estrema sintesi uno dei concetti di libertà spiegati nelle lezioni precedenti. Così si potevano leggere frasi che suonavano come slogan: 'viva la libertà', 'la scuola è una prigione', 'vogliamo vivere in una società di uguali', 'viva gilania', ecc. C'era anche l'acronimo S.C.U.O.L.A. secondo la loro interpretazione. Ed è stata questa la vera sorpresa per me.
Peccato non aver avuto una macchina fotografica per immortalare quelle espressioni (verbali e non) di entusiasmo. Ho chiesto ad un alunno di scrivere per me su un pezzo di carta quell'acronimo. L'immagine accanto è la scannerizzazione del biglietto. Lo trovo geniale per dei ragazzini di 11 anni.

Collettivismo artistico

Oggi abbiamo iniziato subito con un'assemblea chiesta a gran voce dai ragazzi. Non avevano un tema su cui discutere, non avevano un vero motivo per fare assembela, ma si vede che l'esperienza della prima assemblea fatta qualche giorno fa era piaciuta e oggi l'hanno voluta riproporre. Questo fatto è un buon indice di maturità da parte loro. Ricordo a tutti i lettori, ai miei colleghi, che questi ragazzi (di questa classe) hanno in media 11 anni. Così ci siamo avvicinati, creando complicità, ci siamo seduti sui banchi, ed io ho potuto informarli dell'attività che avremmo svolto da lì a poco. Ci siamo organizzati bene, ho detto loro che avevo portato da casa un foglio gigante sul quale fare tutti insieme un disegno.
Il valore del disegno collettivo è molto alto, se svolto in serenità, poiché la libertà espressiva di ognuno viene condivisa con quella degli altri senza percepire sensi di fastidio. E' un'intimità compartecipata, ognuno secondo le sue proprie preferenze e disponibilità, per un obiettivo comune. Questa compartecipazione di sentimenti diversi, operanti su un unico obiettivo non imposto, ha in sé una carica molto forte, poiché viene amplificato il senso di comunione non solo dei beni, ma anche delle coscienze e degli intenti, base necessaria per sentirsi -in futuro- davvero un popolo unito e solidale.
Ho detto loro che esistono tre possibilità di scelta: paesaggio, natura morta, ritratto. Hanno scelto il paesaggio, decidendo poi da soli come farlo, quali elementi inserire, come colorarli, ecc. Siamo usciti dall'aula in maniera decisa, ma silenziosi perché nelle altre classi stavano studiando (questa è responsabilità, nella libertà). Ho steso il foglio sul pavimento del corridoio, poi i ragazzi hanno appoggiato sul foglio la loro art-box comune, i loro strumenti condivisi. Hanno esitato, nessuno aveva il coraggio di tuffarsi, di fare il primo segno (un foglio bianco e per giunta grande può causare perplessità). Li ho osservati un po', e vedendo che continuavano ad esitare ho deciso di intervenire. Ho disegnato soltanto il profilo di qualche montagna e subito i ragazzi hanno iniziato l'opera. Dobbiamo ancora finirla, un'ora non basta, ma già un meraviglioso sole comincia a scaldare i cuori, insieme a qualche altro elemento.


Ma cos'è successo quando dal corridoio son passati gli studenti di altre classi per andare in bagno? Vediamolo.
Non ho perso certo l'occasione per dimostrare ai ragazzi quanto 'gli altri' siano incatenati, considerando la loro prigionia una normalità. Perciò, il primo ragazzo che è passato (aria incuriosita e stupita nel vederci così, per terra, uniti a cooperare per un megadisegno) l'ho chiamato e gli ho chiesto se volesse darci una mano per fare gli alberi. Per tutta risposta, il 'prigioniero inconsapevole' ha detto: 'non posso, devo fare matematica, devo andare in bagno e poi tornare subito in classe, sennò la prof si arrabbia'. A quel punto, mentre 'i miei ragazzi' avevano già capito tutto e sghignazzavano di nascosto, ho chiesto al ragazzo: scusami tanto, ma a te piacerebbe adesso fare il disegno con noi? 'Sì, ma non posso', ha risposto. Non potevo non coinvolgerlo comunque, sarebbe stato questione di un minuto, gli ho detto: senti, per favore, ci serve anche il TUO albero, disegnalo anche velocemente, come ti viene. Il ragazzo si è fiondato a terra con una matita e ha disegnato il suo albero, che ora però serve a tutti. Quest'azione di coinvolgimento mi servirà in futuro per spiegare ai ragazzi cosa voglia dire non aver paura dello straniero, cosa voglia dire davvero intercultura, accoglienza, fratellanza, solidarietà attiva.
Chissà perché, ma dopo la comparsa in scena di quel ragazzo, dalla sua classe sono usciti altri ragazzi, uno ad uno, per andare in bagno, ma con quell'aria un po' sorridente di chi aveva già saputo. Ma questa volta non sono stato io a coinvolgere 'gli stranieri', bensì spontaneamente 'i miei' ragazzi, ed ogni volta abbiamo riscontrato prigioni, catene, timori.
Adesso siamo curiosi di vedere in che modo la notizia di questo esercizio di libertà (esteso ai 'prigionieri stranieri') si sia diffusa in tutto l'istituto.

Caterina e i suoi di-segni di libertà.

Anche in questa classe, oggi, abbiamo realizzato l'A-carta d'identità che ha avuto un bel successo.
P
oi succede che alla fine dell'ora, inaspettatamente, Caterina (11 anni) mi fa dono di questi suoi elaborati.








Il disegno qui in basso che raffigura la classe con l'insegnante che ordina ai ragazzi di stare zitti (e questi ultimi che obbediscono dicendo 'sì prof'), come vedete, è barrato. Campeggia anche un bel NO in cima, sopra la lavagna.



Certo, l'ingenuità è evidente, in molti casi il silenzio è necessario, vitale, umano, e devo proprio dire che nelle ore in cui io sto con questi ragazzi il silenzio nella classe non manca, solo che non è ordinato, obbligato, essi avvertono spontaneamente la necessità di stare sereni (anarchia non è caos, ma ordine-altro, umano). Ma con questo disegno Caterina ha voluto esprimere il suo NO ad un comando autoritario, quello che per lei è l'ordine che forse sente ripetere più spesso dai miei colleghi (state zitti!). E in questa ingenuità c'è già una forte presa di coscienza, tanto che mi ha pure ringraziato a nome di tutta la classe. Ma grazie a tutti voi. E complimenti anche per i disegni, Caterina.

La scatola dei colori

Altro esercizio di libertà, di cooperazione, di comunione dei beni, cioè di anarchia applicata.
Abbiamo realizzato questa scatola piena di matite colorate. Servirà a tutti. Non esisterà più lo studente che, con aria triste e impaurita, dice: 'prof, ho dimenticato i colori a casa'. Ma al di là del lato strettamente pratico, avrete capito che il significato della scatola è molto più importante. Ognuno è intervenuto con il proprio materiale, per il bene di tutti. Chi ha dato una matita, chi ne ha date dieci, non importa. Adesso tutti hanno tutte le matite. Non esiste più il concetto di 'mio' e di 'tuo', ma c'è il valore applicato del 'nostro'. Questo principio non ha tolto nulla a nessuno, ha dato tanto a tutti.

'La proprietà è un furto'. I bambini lo hanno capito.

La risposta di Luigi ( 11 anni) alla sua compagna di banco

Oggi in classe è successo qualcosa che merita di essere registrata. Devo necessariamente dire che le poche lezioni svolte fino ad oggi nella classe in oggetto stanno già dando buoni frutti. Giorgia, 11 anni (prima media), stava ascoltando un mio ragionamento sul concetto di democrazia: cosa vuol dire letteralmente democrazia, quando è nata, perché la democrazia diretta non si è mai realizzata, ecc. E' straordinario notare, per inciso, come i bambini capiscano al volo il concetto di 'dittatura della maggioranza' che impone le sue decisioni su una minoranza.
Giorgia, a un certo punto, mi ha domandato qualcosa, ma io non sono riuscito a sentirla molto bene, capita ogni tanto. Ma chi ha sentito bene è stato il suo compagno di banco, Luigi (11 anni), il quale si è premurato di risponderle per me. Le parole di Luigi sono state:
'te la spacciano per scelta, ma veramente ti fanno scegliere solo un padrone che ti comanda'.
Non occorre aggiungere altro.

(L'immagine non si riferisce alle persone citate nell'articolo).

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

Lettori fissi