Una citazione al giorno

Una citazione al giorno -
Data Rivoluzionaria

La setta mondiale degli scolarizzati.

Qualsiasi ateo può giustamente ben dimostrare di non aver bisogno della dottrina della chiesa per sapere che cosa è il bene e che cosa è il male. Ciononostante, i fedeli indottrinati continueranno a diffidare degli atei e a sostenere che la dottrina della loro chiesa è indispensabile per capire le cose del mondo. Possiamo dunque sostenere, a ragion veduta, che la chiesa e la sua dottrina producono divisione, discriminazione, presunzione e conflitto.
Ma allo stesso identico modo si comporta l'altra chiesa, cioè la scuola, che non a caso Ivan Illich definiva la 'nuova chiesa universale'. Infatti qualsiasi analfabeta può giustamente ben dimostrare di non aver bisogno dei libri di scuola per sapere che cosa è il bene e che cosa è il male. Ciononostante, i fedeli scolarizzati continueranno a diffidare degli analfabeti e a sostenere che il programma della loro scuola è indispensabile per capire le cose del mondo. Anche in questo caso, come vediamo, la scuola e il suo programma producono divisione, discriminazione, presunzione e conflitto.
Via via che le riforme si succedono, spero lo abbiate notato, la scuola assume sempre di più il ruolo di chiesa, e in modo sempre più chiaro. A ben vedere, anche l'educazione scolastica è un tipo di dottrina religiosa, e la scuola è un'istituzione dello Stato, e come tutte le istituzioni si caratterizza per la sua tendenza alla conservazione, nonché per la missione indottrinante, colonizzante, delle masse. E' allarmante, per chiunque abbia buon senso e capacità analitica, constatare che l'atteggiamento dello scolarizzato sia oggi così perfettamente aderente, combaciante, identico a quello del bigotto fidelizzato alla chiesa-di-dio. 
A quando le crociate contro quel nuovo tipo di infedele che non sa usare la grammatica, addossandogli per questo tutte le colpe del mondo? Questo è, d'altra parte, il comportamento più usuale delle masse contro chi non si allinea, masse rese appositamente ignoranti e feroci da un percorso autoritario di indottrinamento. Organizzeranno cacce alle streghe e roghi per quelli che non hanno un diploma o che non sanno la tale data o la tabellina del sette? In fondo - dicono gli indottrinati per deresponsabilizzarsi - non è colpa di questi ignoranti se c'è il fascismo? Un pessimo pretesto per pulirsi la coscienza! C'è da un po' aria di criminalizzazione. E poi sarebbero i non scolarizzati gli ignoranti? Ne siamo sicuri? 
Il comportamento fascista, la mentalità fascista, la cultura fascista, sono qualcosa che si acquisisce negli ambienti autoritari, cioè laddove si deve rispettare una gerarchia, delle leggi calate dall'alto decise e scritte dai capi, dove tutto quello che viene stabilito dai capi dev'essere rispettato, onorato, ripetuto. Come a scuola, esatto! E' a scuola che vige un regime fascista. Questo regime si esprime nella sua stessa struttura, nei metodi, negli ingranaggi, nei dispositivi di valutazione e classificazione, nonché di punizione e premiazione. Questo è il fascismo! E a nulla servono 'i bravi docenti', che non sono questi a fare la scuola, perché, al contrario, è la scuola che fa i docenti. Chi non si adatta è out, soccombe!
Mi auguro invece che le persone comincino a tirar fuori un po' di vera intelligenza, di buon senso, di quello stesso pensiero critico che usano di solito nei confronti della chiesa-di-dio e che lo utilizzino per capire in che modo e quanto siano stati ingannati e incattiviti dall'istituzione scolastica, così totalmente responsabile della tragedia dei nostri tempi.

P.S. Le chiese non si riformano, si eliminano.

La liberazione, secondo me.

- Mi scusi, ma per lei che cos'è la liberazione?
- Intende quella politica e sociale?
- Sì, non certo quella del grasso intorno alla vita. Per quanto...
- Per me la liberazione rappresenta qualcosa di molto preciso. Vede, quando un popolo decide di disfarsi delle fondamenta della sua cultura, dei valori e dei simboli in cui ha creduto per secoli e che lo hanno reso prigioniero, schiavo di se stesso, quando decide di disfarsi dell'educazione di massa che rende possibile la perpetuazione di questi valori, delle scuole e di tutte le forme di coercizione-reclusione, delle false morali, delle sterili guerre fra poveri, dei confini, dei governi, delle religioni, in poche parole, quando l'essere umano vorrà capire che l'unico modo che ha di salvarsi, oggi, è quello di lasciare in pace i bambini, lasciarli essere come decidono loro di essere, senza farli cadere vittime della nostra cultura autodistruttiva, allora quella per me è la liberazione.
Vuole una metafora? E' come un palazzo che è stato avvolto da una infinità di travi, ferri, tubi, plastiche, fantasmi, altarini, materiali insulsi ma luccicanti, e smantellare tutte quelle sovrastrutture per liberarlo e farlo respirare, farlo vivere, farlo esprimere, dargli la possibilità di manifestare tutta la sua luce, tutta la sua essenza. Perché sa, se ne sarà accorto anche lei, c'è l'assurda idea che il bambino sia un recipiente vuoto, che non sia nulla, che non porti nulla con sé fin dalla nascita, e che debba perciò essere sottoposto a un progetto culturale da parte di persone esterne a lui, guarda caso persone adulte, anche estranee chiamate 'esperti', le quali sono state a loro volta sottoposte a indottrinamento; capisce che in questo modo il circolo diventa vizioso e viziato del suo stesso vizio.
Ma i bambini - e non mi dica che non lo sa - non sono recipienti vuoti, sono già dei palazzi unici e magnifici, perfetti, irripetibili, sono proprio tutto quello che l'umanità desidera essere, ma che non ha il coraggio di realizzare (che lasci fare ai bambini, allora!).
Ciò che noi adulti facciamo sui bambini è soffocare il loro meraviglioso palazzo, la loro luce, il loro essere, modificarlo, standardizzarlo, uniformarlo, mettergli addosso una divisa, rivestirlo con tutte quelle sovrastrutture che sono credenze, dogmi, convinzioni, idee malsane, conoscenze funzionali al regime sociale... tutte cose che servono a perpetuare questo tipo di società e lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo per il vantaggio di pochi. Se dobbiamo parlare di liberazione, dobbiamo saperci liberare dalla convinzione che il bambino sia un essere da plasmare come piace a noi usando il pretesto della 'conoscenza', che in realtà è dottrina del sistema introdotta a forza, è adattamento, conformismo obbligatorio.
Contro il bambino e il suo mondo di gioia, gli adulti usano anche lo sporco ricatto secondo il quale, se il bambino non diventa come loro, come un 'adulto serio' (sic!), finirà per diventare un essere abominevole e odioso, emarginato, meritevole d'ogni tipo di pena, sia in terra, sia in quel luogo inventato apposta per ricattare chiamato 'inferno'. Lei dirà: 'possiamo insegnare al bambino ad essere anticonformista'. Sbagliato! Anzitutto: perché mai dovremmo prendere il bambino, farlo diventare come noi con anni e anni di tortura educativa modellante, e poi dirgli 'no guarda, adesso è meglio che tu sia come un bambino!', quindi insegnargli a ritornare unico e irripetibile com'era all'inizio? Ammesso poi che sia così facile tornare ad essere bambini dopo l'addestramento scolastico e sociale, ma non le pare una cosa stupida in sé? Non sarebbe allora meglio non avviare mai quell'addestramento?
Inoltre devo affermare che non è affatto il caso di insegnare al bambino l'anticonformismo (ammesso che una società di adattati possa farlo, o accetti che qualche disadattato - gioco forza definito 'strano e pericoloso' -  lo faccia), perché lui, il bambino, lo è già, anticonformista, fin dalla nascita; poi, purtroppo, l'educazione obbligatoria massificata lo rende conformato, un adattato disumano, remissivo e obbediente con i potenti, ma sempre pronto a scaricare la sua frustrazione violenta sui più deboli, con l'aggravante di sentirsi nel giusto e perfino libero, intelligente, saggio e originale. Un 'adulto serio', insomma!
Allora, liberazione per me? Eccola: liberazione è l'atto responsabile e supremo di liberare il bambino da noi adulti, dalla cultura di questa società. Quando arriverà il giorno di questa consapevolezza autonoma e si darà avvio a questa operazione di liberazione (io ho già iniziato), solo allora festeggerò.

25 aprile, la liberazione e la scuola obbligatoria


Del 25 aprile si è detto forse tutto, tranne una cosa: non ha prodotto nulla di quello che la gente si aspettava. Ma quale 'liberazione'?
Se riavvolgessimo il nastro per andare indietro a quell'immediato dopoguerra, scopriremmo che ci furono vari personaggi, intellettuali, professori, scrittori, politici (soprattutto politici) che si affrettarono a indicare la 'strada giusta' al fine di non ritrovarci più tra i piedi il fascismo. Quindi si mise mano a una nuova Carta costituzionale, alla monarchia succedette la repubblica e al popolo venne data la facoltà di scegliersi da solo un circolo di padroni. Eppure quella non era ancora del tutto la 'strada giusta'! Per essere veramente tale doveva aggiungersi una parte preziosissima e fondamentale: la scuola di massa obbligatoria. E in effetti, quella parte, prontamente aggiunta, fu davvero preziosa e fondamentale, il problema era capire per chi lo fosse veramente. Col tempo lo scoprimmo: era ed è fondamentale per le classi dirigenti, era ed è preziosa per tutto l'establishment! Solo che nessuno lo vuole ancora ammettere, ed è questo non volerlo ammettere il segno preciso, netto, chiarissimo del fatto che la scuola sia diventata un credo assoluto, una chiesa intoccabile, da proteggere, malgrado il tragico risultato della sua azione sempre più nefasta e pervasiva nella vita dei giovani, che di vita propria a dire il vero non ne hanno più (altro che liberazione per loro!).
Il tragico risultato però era stato ampiamente profetizzato da chi non ha mai avuto il paraocchi, da chi sapeva fin dal XVIII secolo, da chi non si lasciava imbambolare dalla 'bella narrazione' della scuola. Erano gli anarchici, i quali sapevano - come oggi -  che un'istituzione dello Stato non avrebbe mai al mondo prodotto una redenzione, non avrebbe mai tolto le catene al popolo, non avrebbe mai eliminato lo sfruttamento dell'uomo nei confronti dell'uomo, non avrebbe mai abolito le classi sociali, e che assolutamente inutili, se non funzionali al potere, sarebbero state tutte le sue riforme. Nessuna scuola è concepita per liberare le persone. Il sistema non vuole di certo suicidarsi!
C'è ancora gente, purtroppo, che di fronte all'innegabile fallimento della scuola, ma volendola a tutti i costi difendere, dice che la scuola ha solo bisogno di essere riformata. Questo avviene perché la scuola è riuscita nel suo intento principale e sostanziale, e cioè quello di produrre sudditi convinti di avere sempre bisogno della scuola. E' proprio questo cane che si morde la coda, promosso dall'educazione scolastica, quel meccanismo perverso che oggi, purtroppo, fa ancora riemergere il fascismo.

Il fascismo non odia la cultura e i libri.


Gli errori si pagano. E quelli commessi per superficialità o per presunzione sono errori che lasciano in bocca un amaro insopportabile. Per decenni la sinistra ha fatto leva su una sua presunzione di superiorità culturale nei confronti della destra, una superiorità del tutto fantasiosa, ma alimentata da una sorta di convinzione, altrettanto fantasiosa, secondo la quale il fascista è tale perché è un ignorante. E per ignorante la sinistra intende, ahimé, anche il fatto di non saper scrivere secondo la grammatica canonizzata. 
Va da sé che l'intelligenza non c'entra proprio niente con l'applicazione della grammatica, né con un percorso educativo scolastico, peraltro obbligatorio per tutti, ed il suo indotto mediatico esterno. L'intelligenza è una proprietà intrinseca degli esseri viventi, i vari tipi di intelligenza esistono a prescindere dalle sovrastrutture (a meno che non si creda per davvero che gli esseri viventi, segnatamente i bambini, siano delle pietre inanimate e prive di neuroni, prima del loro accesso nelle aule scolastiche). Ma è proprio questo aspetto che la sinistra non ha mai voluto accettare, lasciandosi invece trasportare dalla semplificazione, dalla banalizzazione dell'idea secondo cui, fatto dunque il dovuto parallelismo, un'operaia analfabeta, un contadino senza titolo di studio, non potranno che essere dei fascisti, mentre uno scolarizzato è sicuramente un comunista. Sappiamo che questa banalizzazione non trova riscontro nella realtà e che, anzi, la scolarizzazione compie un lavoro di fascistizzazione non indifferente. Senza voler difendere partiti e movimenti di alcun tipo e di alcun colore (come potrei?), devo però dire che da questa banalizzazione, chi ci ha guadagnato, come vediamo, è stato proprio il fascismo nero. Gli errori si pagano.

Contestualmente, anche l'assurdità di credere che il fascismo sia nemico dei libri è un errore grossolano, banale, un luogo comune con cui si crogiola ancora quel comunista che, avendo letto un libro negli ultimi due anni, può credersi superiore al fascista che forse di libri ne ha letti di più. Ma non è neppure questione di libri, non è mai stata una questione di libri, a meno che non si specifichi il loro genere (cosa che non si fa mai). Inneggiare al libro tout-court è un errore banale, non ha neppure senso. Cosa vuol dire 'viva il libro'? E cosa vuol dire 'viva la cultura'? Di che genere di libro stiamo parlando? E di che tipo di cultura? Anche il fascismo inneggiava alla cultura e al libro, faceva dei festival annuali, delle esposizioni, istituiva dei concorsi letterari, dei raduni culturali nazionali e regionali, fondava l'Alleanza nazionale del libro con una rassegna di cultura. Ma come possiamo permetterci di dire, così semplicisticamente, che il fascismo è nemico del libro? No, non possiamo dirlo! Ma ripeto, la sinistra non accetta questa realtà, e la rifiuta soltanto per avere un pretesto a proprio vantaggio. Non è denigrando il nemico che lo si sconfigge. Gli errori si pagano.

Detto ciò bisogna anche accettare il fatto evidente che un comunista può certamente anche superare in conoscenze un fascista (come pure il contrario), ma se la cultura di cui il comunista si fa vanto è, come ben sappiamo, quella che si riferisce a questo nostro sistema di valori, alla nostra morale comune, cioè a questo tipo di società, autoritaria, competitiva, fascista,  nazionalista e gerarchizzante, è certo allora che colui che ha accumulato più cultura è più fascista di colui che ne ha accumulato di meno.





E tra gli errori che questa società commette, quello più grande è sicuramente quello di continuare a ignorare e schivare sia l'evidenza, sia un tipo di cultura diversa da questa, diversa da quella che inculchiamo ai bambini, diversa da quella che conosciamo e crediamo migliore, anzi l'unica esistente. Se oggi abbiamo una società fascista non è perché non c'è abbastanza cultura, ma perché ce n'è fin troppa, di un certo tipo, il tipo stabilito e voluto dall'Establishment, e diffuso da tutte le agenzie educative di questa società.

La scuola non elimina le disuguaglianze sociali, ma le giustifica e le accentua.

Riporto di seguito un passo, uno stralcio significativo di un'analisi più lunga e articolata fatta da Félix García Moriyón, scrittore e professore di filosofia a Madrid, militante anarchico, sul ruolo della scuola o, per specificare meglio, su uno degli obiettivi (nascosti e pienamente raggiunti) dell'istruzione di tipo scolastico, quello dell'accentuazione delle disuguaglianze sociali. Come sempre, e non potrebbe essere diversamente, spetta agli anarchici smontare l'apparato dogmatico della 'bella narrazione' che la scuola si è autocostruita al fine di perpetuare l'ordine sociale esistente.
L'istruzione, e quindi il sistema scolastico che doveva diffonderla, si poneva come un mezzo per diminuire e persino eliminare le disuguaglianze sociali. I risultati in questo campo non possono essere più insoddisfacenti e le critiche più generalizzate. Alcuni, soprattutto gli americani, insistono sul fatto che la scuola non influisce quasi per nulla sulla stratificazione sociale né sulla distribuzione dei posti di lavoro tra i più dotati. Da ciò deducono lo scarso rendimento del sistema scolastico, come pure l'inutilità di esso per ottenere un'uguaglianza sociale, che si deve piuttosto raggiungere per altre strade. Altri, soprattutto gli europei, sottolineano il fatto che la scuola non fa altro che selezionare quelli già avvantaggiati per la loro origine sociale; i figli della classe dominante hanno molte più probabilità di eccellere a scuola che i figli delle classi dominate, sia perché l'ambiente familiare e sociale offre loro i codici linguistici che permettono questa supremazia, sia perché mette a loro disposizione un capitale culturale superiore. La scuola, in entrambi i casi, non fa che riprodurre le disuguaglianze esistenti e, cosa più grave, le giustifica ideologicamente cercando di dimostrare che effettivamente arrivano ai posti più alti coloro che se lo meritano per le loro capacità intellettuali. In ogni caso, la scuola permetterebbe di rinnovare parzialmente il blocco dominante, selezionando alcuni membri provenienti dagli strati inferiori della società. Inoltre la scuola sta rendendo effettiva una nuova stratificazione sociale in cui le disuguaglianze sono più accentuate.

Qui in basso, invece, il video di una conferenza tenuta a Genova dove Félix García Moriyón parla di alcuni princìpi dell'anarchia messi in contrapposizione con l'attuale ordinamento statuale democratico. L'intervento è tradotto in italiano da un relatore presente. Buon ascolto.



Un'altra intervista non tradotta (qui).

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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