La scuola, in quanto scuola, è un dispositivo autoritario, violento e incredibilmente menzognero. I meccanismi organici di cui si compone e attraverso i quali garantisce la sua perpetuazione possono anche infischiarsene di ciò che si dice in classe, questi meccanismi fanno in ogni caso il lavoro per cui sono stati progettati. E lo fanno benissimo, infallibilmente, da che scuola è scuola, riforma dopo riforma. Il dispositivo procede quindi nella sua direzione e raggiunge tutti i suoi obiettivi a prescindere da quel che un docente, ancorché animato dei più bei propositi, ripete e fa ripetere ai suoi allievi. Quello che imparano veramente gli allievi, in una scuola, è un sistema di comando, come ha ben evidenziato Gilles Deleuze.
Un intero corpo docente di una scuola potrebbe occupare tutte le ore di lezione, di tutto l'anno e di tutti gli anni dell'obbligo formativo, recitando e facendo recitare decaloghi moralizzanti, raccontando storie di rivoluzione, elogiando la libertà e la creatività, vituperando le autorità ed il sistema corrotto e corruttore, parlando di come sia ingiusto lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, esortando al rispetto dell'ambiente e di ogni essere vivente, invitando ad essere buoni, onesti, altruisti, solidali, ma anche combattivi e disubbidienti per difendere i propri diritti, eccetera, ma il risultato finale sarebbe sempre lo stesso in termini di (dis)valori acquisiti: si avrà sempre un bravo cittadino massificato e autoritario, conformista e ubbidiente, rassegnato e deresponsabilizzato, forte con i deboli e debole con i forti. Questo perché in campo educativo la teoria non ha mai la forza necessaria per vincere sulla pratica, è sempre quest'ultima ad avere la meglio. Si sa: si impara con l'esperienza diretta molto meglio che con le parole. E la pratica di una scuola è fatta di azioni tutte autoritarie e menzognere, a cominciare dal concetto di obbligatorietà, un concetto mistificato dalla parola 'offerta'. Che beffa!
Il dispositivo autoritario scolastico si compone di strategie, di metodologie, di ricerche unidirezionali, di azioni e percorsi obbligati da fare (e da far fare), di impostazioni gerarchizzanti, addestranti, di integrazioni forzate al sistema, di progettazioni, classificazioni e valutazioni obbligatorie, di una sorveglianza continua, di rapporti sempre asimmetrici, di tutta una serie di obblighi e ricatti che non permettono ad alcuna bella parola di forare il gigantesco muro della pratica educante. La scuola è un tritatutto, si salvano davvero in pochi, prova ne è il tipo di società in cui 'viviamo' che è figlia della scolarizzazione e dell'insegnamento di tutta la società già scolarizzata e adultocratica.
Questo quadro della situazione è stato già messo in evidenza nella critica alla scuola, una critica non certo recente. Gustavo Esteva per esempio ha, secondo me, riassunto bene in poche frasi il concetto di una scuola che è, nei fatti, un problema proprio in quanto scuola: '...Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'. Queste parole sono tratte dal suo libro 'Senza insegnanti, descolarizzare il mondo' Asterios Editore.
Come dico spesso, non sono i docenti che fanno la scuola, ma è la scuola che fa i docenti, che essi lo vogliano o no. E' la scuola che plasma e annienta, lo fa con i suoi meccanismi, con i suoi passaggi obbligati, con le sue pratiche quotidiane, con tutto ciò che viene ormai considerato pericolosamente una necessità e un'opportunità. Un disastro! E non c'è bella predica che possa resistergli, purtroppo!