Una citazione al giorno

Una citazione al giorno -
Data Rivoluzionaria

Vita, morte e latrine

 


L
a scuola è un ambiente mortale, soprattutto per gli studenti. Dentro le celle viene pretesa l'attenzione massima, ora dopo ora, per tutta la mattinata e spesso anche oltre. Anno dopo anno, dentro le scuole, le coscienze si deteriorano e si incattiviscono a causa del continuo disciplinamento. Sei studente? Sei studentessa? Allora devi ubbidire, questo è il vero insegnamento che qualcun altro ha deciso per te! Fin dalla più tenera età devi imparare questo tipo di linguaggio sociale - disciplina, ordini da eseguire, orari da rispettare, autorità a cui inchinarti, automatismi comandati - che è il linguaggio militare, ti servirà per essere bravo e docile al lavoro, sottomesso ai padroni e, alla fine, anche desideroso di essere governato. 
La scuola è un ambiente mortale, dove a poco a poco, ma inesorabilmente, si uccide l'autodeterminazione. Sei studente? Sei studentessa? Ti richiedono massima concentrazione e acquiescenza, niente slanci e colpi di testa. Ti etichettano con un voto: tu sei un 4, tu sei un 8, tu sei un 2... e quindi tu vali in base a dei numeri stabiliti da gente che nemmeno conosci e, soprattutto, che non ti conosce: un gradiente ignobile e divisivo come pochi, i voti o i giudizi, che non scegli tu, ma a cui ti affezioni subito - per te, quei numeri, saranno amore per tutta la vita! 
La tua vita a scuola non esiste, se non nei piccoli furti di spazio e di tempo che ti concedi, momenti clandestini. Li senti quei momenti che respirano? Sono i respiri di una libertà che soffre e che tu vorresti liberare totalmente, ma non puoi, accidenti! Ti concedono solo la ricreazione, pochi minuti, devi abituarti anche a ringraziare quelli che ti concedono questa minuscola gioia, sempre controllata, inguainata, sorvegliata e sofferta comunque dentro un edificio virulento. 
Sei studente? Sei studentessa? Allora sai che la tua vita a scuola viene reclusa, perché la vita è là fuori, nel mondo, e sai pure che la socializzazione che in troppi credono davvero che si svolga a scuola è una chimera, una menzogna colossale! La latrina! ecco l'unico luogo dove tu, studente, puoi socializzare con altri reclusi come te che - wow! - sono pure di un'altra classe che tu, prima d'allora, non avevi nemmeno avuto modo di conoscere. Allora ecco l'occasione da prendere al volo, prima che sparisca forse per sempre: 'ciao, come ti chiami?' chiedi all'inizio, e lì, nei cessi, scambiate le vostre idee, le vostre sensazioni, i vostri hobby, le vostre promesse, i vostri affetti, la vostra vita. La latrina! Che prospettiva! Occorre fin da subito imparare che in questa società, se vuoi un po' di libertà, devi vivere ai suoi margini. Ne parlo nel mio libro, tra le altre cose, ma all'estero ne hanno scritto in maniera proprio esclusiva, tutt'un libro sui cessi della scuola, chi conosce il francese potrà apprezzare. 
A scuola tutto è consacrato all'obbedienza, all'osservanza delle regole calate dall'alto. E' questo che insegna veramente la scuola, lo fa con la pratica, altro che teoria libresca! Non c'è come la pratica per imparare davvero! Caro studente, cara studentessa, ti devi abituare fin da quando sei in fasce. Cos'è questa libertà di cui vai cianciando? Fa male, sai? Lascia perdere! Dovrai invece diventare anche tu un ingranaggio di questa società, e finirai per essere talmente ingranaggio e talmente ben oleato, così ben intruppato di dottrina utilitaristica, che aggredirai tutti coloro che osano parlare male proprio di quel dispositivo disciplinante che è la scuola, che ti ha fatto diventare così impeccabilmente parte del problema, il nemico numero uno della Causa umana, orgogliosamente maturo e diplomato!

E' uscito il libro 'Perché dobbiamo abolire la scuola'

 


Penso sia il caso di dire qualche parola in merito. Sorvolo volentieri sugli aspetti anche grotteschi che il libro ha dovuto incontrare nella ricerca di un'edizione che fosse rispettosa del suo contenuto, del suo senso; certo, mi rendo conto che un testo del genere possa - e debba! - far tremare i polsi anche anche ai più scafati di rivoluzione intellettuale, ma da qui a voler tentare di manipolare il testo per stravolgerne il senso - come stava per succedere - è un'operazione che non so nemmeno definire per quanto è subdola. Ma tutto bene, alla fine il testo è qui, sano e salvo, grazie all'intelligenza di un editore che, seppur non affine al pensiero libertario - o almeno così credo - si è dimostrato più anarchico e meno ingolfato di ideologie del primo. 
E' un libro che si snoda in 18 capitoli, con in più un breviario etimologico, in cui vengono anzitutto demoliti tutti i luoghi comuni sulla scuola e, capitolo dopo capitolo, analizzati gli aspetti deleteri dovuti a un vero e proprio disciplinamento quotidiano obbligatorio per bambini e ragazzi, un disciplinamento che va persino oltre il tempo-scuola strettamente inteso, come ben sanno gli studenti, vittime innocenti di un progetto pedagogico di Stato calato dall'alto. 
Non si tratta di una critica fine a se stessa - ancorché utile se lo fosse - ma una presa di coscienza totale, un invito al ragionamento che apre nuove porte, nuove visioni, nuovi orizzonti possibili. Il lettore si trasforma così, spero, in un esploratore intelligente, acuto, attivo, soprattutto liberato dalle catene che lo legano a una visione unica del mondo e del processo di apprendimento. 
E' un testo eretico e scomodo, come del resto scomoda e terrificante è, spesso, la stessa realtà quando viene osservata senza filtri ideologici o ideazioni dogmatiche, come avviene sempre quando il soggetto da osservare è la scuola. Qui non ci sono retoriche da sciorinare - che anzi combatto - né ideologie da far valere, è tutta realtà. I capitoli sono i seguenti: 

- - Breviario etimologico - -
1) Mitologia scolastica. 
2) Altre scuse. 
3) Genesi del processo di classificazione nella scuola e origini della scuola moderna. 
4) Diventare come il padrone. 
5) Docenti. 
6) La scuola chiesa. 
7) Sull'ignoranza. 
8) La cultura. 
9) Tutto il potere alla scuola. 
10) Partecipazione affettiva. 
11) Il bambino. 
12) I libri. 
13) La valutazione. 
14) Apatici utili. 
15) Emorragie. 
16) Al bando le scuole alternative! 
17) Vie d'uscita. 
18) Conclusioni. 

Quarta di copertina: 
Un saggio che non risparmia critiche alla scuola e nel quale si svelano, attraverso lo smantellamento della retorica e dei luoghi comuni, i meccanismi e le logiche autoritarie nascoste e aberranti di questa istituzione e le ragioni per cui è necessario liberarsene. Ma è anche un grande atto d'amore nei confronti della Conoscenza, della vita vissuta all'insegna del vero e libero apprendimento. In queste pagine si attualizzano le analisi svolte da pedagogisti come Ivan Illich, Paul Goodman, John Holt e altri, e si trattano gli aspetti e le dinamiche che maggiormente concorrono a fare della scuola non ciò che essa fa credere di essere, ma una palestra di disciplinamento, dove ogni studente è vittima inconsapevole di un ingranaggio pedagogico che lo trasformerà in un docile schiavo produttivo, prevedibile e facilmente governabile.

Buona lettura. 





La scuola del futuro non è che lo sviluppo dell'attuale e aberrante sistema educativo

scuola del futuro

Prigione di Justiz Vollsugs Anstalt (Dusseldorf), realizzata dall'artista Markus Linnenbrink

I pedagoghi di stato vogliono fare della scuola una caserma permanente per l'infanzia. Una caserma o una prigione - a seconda di come si vuole intendere l'azione pedagogica, se come 'educazione' o 'rieducazione' - ma mistificata, colorata, agile, luminosa, accessoriata, tecnologica.

Da moltissimi anni la scuola è posta sotto la critica dilagante dell'opinione pubblica e dei suoi stessi operatori, questo perché, com'è ovvio, la scuola restituisce risultati perfettamente opposti a ciò che essa promette. Non dobbiamo illuderci o stupirci, chi ha progettato la scuola ha proprio voluto che fosse così! La nostra è una scuola veramente antica, con lezioni frontali e gli studenti perennemente passivi e timorosi di dover sbagliare un ordine ricevuto. E non può essere diversamente finché la scuola rimane quel luogo progettato espressamente a questo scopo, e cioè una enorme caserma o palestra d'obbedienza che fornisce al sistema orde di docili produttori, schiavi asserviti al padrone e alle autorità, incapaci di autodeterminazione e di pensare alla vita come gioia di libertà. Gli stessi operatori della scuola, gli stessi pedagoghi di stato, sospinti dalle nuove esigenze del Capitale e dai capitani d'industria, vogliono dunque correre ai ripari e togliere di mezzo una scuola vecchia. Ciò non significa, però, togliere di mezzo gli obiettivi occulti della scuola stessa, ma solo raggiungerli in modo diverso, più 'moderno'. Vediamo.

Questi specialisti (attenzione sempre agli specialisti!) ormai ammettono che questo tipo di scuola non va bene, hanno anche 'scoperto' (non è vero, sapevano benissimo anche prima) che l'apprendimento avviene meglio attraverso il gioco e la curiosità innata, attraverso l'incidentalità, la libertà, l'autonomia del bambino (per esigenze di sintesi non vi parlerò, qui, degli esperimenti che sono stati fatti in questo senso). Lo sanno bene, ma allora cosa pensano di fare? Non certo quello che sarebbe logico fare, e cioè lasciare davvero liberi i bambini di imparare, visto che sanno farlo così bene da sorprendere tutti! Lasciarli liberi sarebbe la vera rivoluzione! Pensate che lo stato lasci fare in questa direzione?  Dicono invece: 'ok, facciamo giocare questi bambini, che diano pure sfogo alla loro curiosità, ma che lo facciano nelle nostre scuole, appositamente concepite, attraverso i materiali che NOI forniamo loro e con i risultati che NOI vogliamo che essi raggiungano!' Questo dicono. E questo è l'obiettivo di tutte le scuole alternative che, non a caso, vengono sostenute dallo stato, come avviene già all'estero. La scuola del futuro? E' tutta una mistificazione, un enorme inganno, più di quello attuale che, almeno, è ancora in qualche modo visibile per chi lo vuol vedere.

Tutti questi esperti di pedagogia, di puericultura, di pediatria, di neuroscienze applicate all'infanzia e persino sociologi, psicologi, antropologi... naturalmente tutti al servizio del sistema e conformati all'identico modello culturale, guardano i bambini, osservano come essi imparano spontaneamente nella vita, si stupiscono di come apprendano facilmente da soli, senza maestri o adulti, ma non li lasciano in pace, non li vogliono vedere nella vita! E cosa vogliono fare? Quella vita la vogliono costruire dentro una scuola, e va da sé che la vita non può entrare in una scuola, non solo per via delle dimensioni, ma perché è un controsenso di per sé! A scuola non può che esistere, al massimo, per bene che vada, una piccolissima porzione di pseudovita, e peraltro surrogata. Ma perché gli specialisti vogliono imprigionare i bambini? E' ovvio: nella vita, nei contesti più diversi, nelle relazioni più spontanee e varie, un bambino libero impara la libertà, impara a non aver paura di voti e rimproveri, apprende ciò che più gli interessa, sviluppa davvero il suo senso critico e l'autodeterminazione, impara ad autogestirsi e a prendersi delle responsabilità; invece un bambino a scuola, per quanto colorata, tecnologica, aperta e solo apparentemente libera, non farà altro che prendere ordini, agire secondo un modello imposto, in base a obiettivi predisposti dall'educatore al servizio del sistema, e si allenerà a diventare lo stesso schiavo produttore, ma lo farà giocando, divertendosi, e illudendosi più di oggi che quella sia davvero la vita. Il progetto delle scuole future è estremamente furbo, aberrante, cinico e malefico al tempo stesso. 

Nella foto: Prigione di Justiz Vollsugs Anstalt (Dusseldorf), realizzata dall'artista Markus Linnenbrink

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Quando lo 'specialista' parla di bullismo

bullismo

Ascolto alla radio nazionale interventi di un ospite 'specialista' sul tema del bullismo. Quando si parla di bullismo, quasi sempre si pensa alla dimensione-ragazzino, cioè a quel tipo di persona che nell'immaginario collettivo, a causa dell'invenzione della categoria 'infanzia', necessita in modo perentorio e assoluto di educazione, ma non di un'educazione qualsiasi, bensì quella della scuola. In questo genere di società non devono esistere altri tipi di educazione! Il giornalista formula la domanda all'ospite: 'ci dica, da dove nasce il bullismo'? Ed è qui che succede sempre quello che non dovrebbe succedere. Sì perché la risposta di questi specialisti che si affacciano alla finestra dei media di regime segue normalmente una precisa direzione, per tappe. 
Prima tappa, o del luogo comune: 'il ragazzo che bullizza è già predisposto, c'è una parte della biologia umana predisposta a bullizzare' (è bizzarro, cotanta specializzazione ostentata, cotanti libri scritti, ma l'ospite intervistato rimane sempre allo stadio pseudoscientifico lombrosiano, incurante di Fromm e di altri studiosi che, in questi casi, ci hanno insegnato che la biologia non c'entra proprio niente! C'è o ci fa?). 
Seconda tappa, o della contraddizione: 'sì, però non si tratta di natura umana, ma di educazione e di ambiente' (ah, bene, ci siamo arrivati, quindi la biologia non c'entra, ora speriamo che l'ospite proceda nel verso giusto). 
Terza tappa, o della mistificazione: 'se il problema è l'ambiente, l'educazione, allora bisogna guardare alla famiglia, ai genitori'. 

Certo, i genitori svolgono anche loro il ruolo di educatori, ma la scuola dov'è in tutto questo discorso? Non c'è! In questi casi, infatti, la scuola non è più l'alveo indispensabile in cui 'maturano e si educano gli individui, i cittadini di domani' (sto ripetendo alcuni luoghi comuni sulla scuola), tutto è devoluto alla famiglia (comunque scolarizzata) e magari al quartiere in cui il ragazzo vive, cosa che fa di questi 'specialisti' dei veri campioni di razzismo, tra le altre cose! La famiglia? Il quartiere? Ma il ragazzo passa migliaia di ore della sua vita a scuola, ne vogliamo parlare? Pensiamo forse che anni e anni di reclusione scolastica, di cultura scolastica, non influiscano sulle persone? No? Allora a cosa servono? Ma no, in questi casi la scuola è espressamente lasciata fuori dal discorso, non conviene parlarne, altrimenti la si sporcherebbe, si comprometterebbe tutta la narrazione retorica che fa della scuola la panacea per tutti i mali!
Ma no, aspetta, ecco che l'ospite specialista parla finalmente di scuola, parla di professori. Sì, ma in che termini? Ascolto: '...importante è dunque il ruolo dei professori che...'. E ti pareva, me l'aspettavo! Ecco che si vuol dare alla scuola, attraverso l'azione dei docenti, quel ruolo di salvatrice dell'umanità, come se la scuola non fosse mai esistita, come se non fosse mai stata responsabile nell'educazione, nel fornire una precisa forma mentale e una precisa cultura di competizione! Prosegue l'intervista e l'ospite specialista dice: 'il bullismo nasce in quegli ambienti familiari (e che siano ambienti familiari viene ribadito ancora, non sia mai che qualcuno possa pensare ad altri ambienti, cioè quelli scolastici) dove vige una rigida non-democrazia, un rapporto tra le parti asimmetrico'. Capito? Come se la scuola fosse avulsa dall'autoritarismo, come se fosse un ambiente egualitario, totalmente estraneo alla società scolarizzata, dove i rapporti sono finalmente simmetrici. Insomma, per questi specialisti gli ambienti asimmetrici e autoritari si vivono soltanto in certe famiglie, ignorando del tutto che questa società è totalmente fondata sull'asimmetria, sull'autoritarismo e la gerarchizzazione. Ignorando quindi che questa società, con tutti i suoi mali e i suoi bulli, è generata proprio dalla scuola!
Ma secondo questi 'specialisti' - rido per non piangere - a scuola sì che il ragazzo impara l'eguaglianza, il rispetto verso i più deboli e le minoranze, a non essere bullo... In fondo, la cultura della competizione, della classificazione, del superiore e dell'inferiore, del 'mors tua vita mea' - anche solo per un miserevole voto in più - tutti gli studenti non possono certo acquisirla a scuola! Si taccia questa verità!

P.S. In questo blog ho già scritto di bullismo, più di una volta, e ho dimostrato, anche con esempi vissuti personalmente, che è proprio la scuola a generare la cultura del bullo. Chi lo desidera, può dare uno sguardo a questi articoli, cliccando qui. Il bullismo è un fenomeno che appartiene a tutto il mondo cosiddetto civilizzato, quindi scolarizzato, e la scuola ne è il suo principale crogiuolo.

L'invenzione dei problemi per continuare a esistere, malgrado.


E
rrico Malatesta scriveva, tra l'altro, qualcosa di molto vero a proposito di un parallelismo tra le forze dell'ordine e la legge, e cioè che l'organo e la sua funzione non possono essere disgiunti: se la funzione svanisce, l'organo muore. Sicché, proseguiva, per fare in modo che l'organo possa rimanere in vita, gli occorre un pretesto, un problema da inventare anche di sana pianta. Il parallelismo con i birri (organo) si svolgeva in virtù dei reati che, dunque, dovevano essere continuamente scoperti o, in loro mancanza, inventati. In poche parole, la polizia esiste finché avrà qualcuno da ingabbiare e, se non lo trova, deve inventarsi un reato e di conseguenza il reo da punire. 
Come ogni organo, anche la scuola ha la sua funzione, nel caso di specie direi meglio le sue funzioni, di cui alcune non immediatamente visibili o addirittura nascoste, come quella di addomesticare ogni singolo individuo e renderlo docile alla catena di produzione e adatto a questa società di oppressi e oppressori. In questo, la scuola è meravigliosamente efficiente. Il problema però le arriva sempre puntuale quando i fatti, cioè la realtà, contraddicono totalmente ciò che essa dice di voler fare. Infatti, se da un lato la scuola, con la sua retorica, con i suoi obiettivi edificanti, con i lustrini e le paillettes narrative, ostenta al pubblico la sua bella facciata, dall'altro lato questi obiettivi si scontrano violentemente con la realtà, che li smentisce tutti. Infatti la scuola non sviluppa pensieri critici, non elimina le disuguaglianze, non rende il mondo un posto migliore, non fa delle persone degli esempi di solidarietà... E lei lo sa bene. 
Come fa dunque la scuola a mascherare questo fallimento inevitabile (voluto) agli occhi della gente che, magnificamente illusa, pensa sempre a essa come al sacro luogo deputato per la salvazione universale? Semplice, ricorre al suddetto concetto di organo/funzione e si inventa dei problemi, anche dall'oggi al domani, dicendo di farsene carico, ma senza ovviamente risolvere mai nulla, al contrario, creando ulteriori problemi, catene mentali, pregiudizi, divisioni... 
Problemi inventàti di sana pianta per dare alla scuola il pretesto di farsi credere necessaria ce ne sono a bizzeffe. La scuola è già di per sé un'illusione di massa! Al suo interno, nel corso degli anni, si sono accumulate funzioni inventate a non finire, ad esempio si sono inventati i B.E.S., i D.S.A. e tutte le mille altre sigle e siglette che servono sostanzialmente a classificare, a dividere il popolo studente (e presto anche quello docente), per disciplinarlo e irreggimentarlo meglio, ancora, di più, ma il pretesto ufficiale è sempre relazionato alla presunta salvazione universale che la scuola garantirebbe alla nostra specie.
La scuola si è inventata anche il fantomatico problema dell'inclusione, come quello della cosiddetta 'povertà educativa' (a questo scopo il ministero si è costruito - a nostre spese, e che spese! - qualche istituto-carrozzone che avalla qualsiasi cosa serva a dimostrare a parole che la scuola è necessaria e svolge un ruolo di redentrice del mondo; poi si scoprì che anche i dati forniti da questi carrozzoni atti a giustificare l'intervento salvifico della scuola erano artefatti). Si è inventata il problema della formazione quando, onestamente, nessuno ne ha mai sentito il bisogno, e chi lo ha sentito è stato perfettamente in grado di aggiornarsi autonomamente, in base a ciò che sapeva essere indispensabile per sé e le sue classi. Si è inventata una sfilza infinita di pretesti veramente assurdi per far credere alla gente che l'organo-scuola è necessario, indispensabile come l'aria, pretesti indimostrati e indimostrabili nei fatti! 
La cosa peggiore, purtroppo, è che tutti gli operatori della scuola che, ripeto, per ragioni oggettive, di questi pretesti non ne ha mai sentito il bisogno, nel momento in cui l'autorità parla di presunte necessità in chiave di problemi reali, questi operatori, dicevo, credono anche loro all'esistenza di quei problemi, quindi alle presunte necessità collegate, anche se quei problemi nei fatti non esistono! E non si prendono nemmeno la briga di verificare: l'autorità è un dio a cui si crede per un atto di fede! I docenti hanno finito per credere veramente, ad esempio, di aver bisogno di stupidissimi corsi e corsetti di aggiornamento, gestiti da gente che non è mai entrata in una classe, corsi e corsetti che devono pagarsi anche al di fuori dell'orario di lavoro, di cui giustamente non hanno mai sentito l'esigenza, prima che un'autorità (che non conosce le singole realtà scolastiche e men che meno i singoli docenti), dicesse loro che ne avevano bisogno! 
Questo, alla fine, è il vero dramma di questa società: il credere ciecamente a tutto ciò che le autorità e le loro istituzioni raccontano. E questo credere ciecamente non è altro che un atteggiamento dogmatico, acritico e fondamentalista, frutto di una specifica istruzione di massa, guarda il caso!

Immagine: murale di Felice Pignataro. Napoli.

L'inganno del liceo senza voti


Qual è il problema, il numero in sé o la classificazione che questo numero impone agli studenti? La domanda sta alla base di tutto. Se pensate che il problema non sia rappresentato dal numero in sé, ma dal senso che esso ha nella scuola, allora vi invito a leggere il resto.

Da qualche giorno gira la notizia di un liceo romano che non mette i voti agli studenti. E naturalmente questo ha riscosso un grande interesse presso tutti i riformisti, non tanto per via dell'abolizione dei voti in sé, quanto perché a farlo è un liceo di Stato. Infatti sono più di cento anni che nelle scuole libertarie non esistono voti, ma siccome sono scuole libertarie alla gente questo non interessa e non piace a prescindere, per pregiudizio. Senonché, persino nelle scuole libertarie il non mettere voti non significa affatto eliminare la valutazione e la classificazione che rappresentano la vera funzione del voto numerico. 

Far sparire il voto non significa affatto far sparire l'ingiustizia della discriminazione legalizzata, tutt'altro! E infatti il liceo romano in questione supplisce al voto numerico con i giudizi che, anche se non vengono scritti, sono comunque calati dall'alto (questo si tende sempre a non volerlo capire: la scuola insegna ai giovani a dipendere dall'autorità e dalla sua morale!). I voti, in quel liceo, compaiono lo stesso sulla pagella finale, e tanto basterebbe a far capire che l'operazione è tutt'altro che libertaria. I ragazzi vengono sempre giudicati, valutati, questa è la scuola fintanto che è tale! E non potrebbe essere altrimenti. Non c'è nessuno differenza tra un voto che dice in modo sintetico a un allievo che 'deve fare meglio', e una chiacchierata con il docente che gli dice ugualmente 'devi fare meglio'. L'unica differenza sta nel fatto che con il voto si risparmia tempo, mentre la chiacchierata sa anche di ipocrisia, di mascherata. Tanto vale il voto secco, è più sincero.

Inoltre, in questo liceo, succede qualcosa che io personalmente facevo fare ai ragazzi già 20 anni fa: l'autovalutazione. Cosa che poi ho capito essere qualcosa di atroce e l'ho abolita. Infatti è incredibilmente crudele far decidere agli stessi ragazzi in che misura si devono classificare o punire, in quale ghetto concettuale devono inserirsi con le proprie mani. Insomma, l'idea di una scuola senza voti non è certo qualcosa di libertario e liberatorio, se il numero viene sostituito da qualcos'altro. L'oppressione con altri mezzi è sempre il solito vomitevole riformismo, che fa bene soltanto al sistema, e che non a caso proprio il sistema promuove. Non fidatevi. Mai.

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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