Una citazione al giorno

Una citazione al giorno -
Data Rivoluzionaria

'Intelligenza artificiale' ed etica. Quale etica? Chi la decide?


C'
è un modus operandi caratteristico di questo sistema che tende sempre al potenziamento dell'autoritarismo strutturale della nostra società. Questo modus si può riassumere con la formula 'se ci sarà da aggiustare lo vedremo, ma intanto lasciateci fare'. Ecco un inganno proprio di chi gestisce il potere e l'immenso apparato distopico amministrativo destinato ai nostri rapporti ormai disumanizzati. Lo scopo è raggiungere un obiettivo nefasto dicendo 'intanto facciamolo, poi faremo delle leggi specifiche che regolamenteranno il problema'. 
Ora, quelli che scrivono le leggi sventolano sempre ai quattro venti che la legge (soltanto la loro) si basa su dei valori etici o morali, invitandoci di conseguenza a stare tranquilli, perché - dicono sempre i governanti e i giuristi - la legge ha come sua base dei valori giusti e attenti (li chiamano 'valori democratici'). L'esperienza però ci racconta che a forza di fidarci delle loro 'leggi democratiche' o della loro etica siamo arrivati a un altissimo grado di disumanità e ingiustizia. Com'è sto fatto? Il fatto invece è che se la nostra società volesse fondarsi su valori veramente etici o morali, l'idea stessa di 'governo' sarebbe messa al bando ancora prima di pensare di realizzarla. Non c'è niente di meno etico o morale di un governo, già solo come concetto, figuriamoci le sue leggi! 
Vogliono quindi realizzare progetti che racchiudono dei pericoli per noi tutti catastrofici, distopici al massimo (ad esempio la cosiddetta 'Intelligenza Artificiale' - 'AI') e come sempre ci dicono: 'sì, ci possono essere dei problemi, ma voi lasciateci fare, poi scriveremo delle leggi a regolamentare il problema etico'. Ecco un nuovo inganno che si concretizzerà attraverso il solito vecchio modus operandi. Ci racconteranno ad esempio, come al solito, che l'AI è necessaria per la nostra sicurezza, lo stanno già dicendo, ma anche questa è una storia vecchia, un pretesto antico che non funziona quasi più. Da questo punto di vista la gente sembra più accorta di un tempo.
Ma una vera etica - dicasi vera e umana, libertaria - quindi messa veramente a difesa di tutti, se non venisse come sempre criminalizzata, avrebbe già dovuto imporsi, avrebbe già dovuto sovrintendere e orientare da molto tempo in quelle direzioni che, soltanto e sicuramente, non costituiscono pericoli per l'umanità. Ad esempio, si potrebbe benissimo usare l'AI soltanto per la tutela della nostra salute fisica e per poche altre cose davvero indispensabili, se poi ce ne sono, se non sono le solite velleità e capricci di autorità e ricercatori a caccia soltanto di primati e medagliette. Ma fare questo non conviene al potere e, come al solito, il progetto distopico dell'AI abbraccerà purtroppo ogni ambito del sistema (soprattutto quello relativo al controllo sociale e alla repressione) e ci travolgerà in malo modo, forse definitivamente, anche e soprattutto per colpa delle loro leggi democratiche. Abbiamo una grande esperienza, ormai. 
Ribadiamo il concetto in modo ancora più semplice: una vera etica o una morale integra e onesta rivolte all'essere umano e che agiscano a monte, come dovrebbero fare, non permetterebbero per nessun motivo al mondo l'esistenza di governi e di leggi calate dall'alto, nemmeno come idea, figuriamoci l'esistenza di un'AI in mano a polizie, eserciti e potentati burocratico-finanziari. L'AI sarà un'altra arma micidiale in mano alla violenza legalizzata che organizza guerre e genocidi, ma ci faranno credere che lavorano per il nostro bene e che il problema dell'umanità è il solito ladruncolo di quartiere.

Basaglia e la scuola come istituzione violenta


F
ranco Basaglia, nel corso della sua vita, ha avuto modo di esprimere pienamente il suo pensiero anche in merito alla nostra società, al concetto di potere, alle istituzioni dello stato che egli definiva senza mezzi termini istituzioni violente: violente per loro stessa natura. Fra queste istituzioni Basaglia annoverava la scuola, con i suoi meccanismi interni distopici, spesso occulti, e con i suoi tecnici (i docenti) che, diceva, hanno un ruolo mistificante, perché, come gli altri tecnici delle altre istituzioni 'non fanno che consentire, con la loro azione tecnica apparentemente riparatrice e non violenta, il perpetuarsi della violenza globale. Il loro compito - che viene definito terapeutico-orientativo - è quello di adattare gli individui [nel nostro caso gli studenti, ndr] ad accettare la loro condizione di «oggetti di violenza», dando per scontato che l’essere oggetto di violenza sia l’unica realtà loro concessa, al di là delle diverse modalità di adattamento che potranno adottare'. La presa di posizione basagliana sulla scuola, però, come sappiamo, non è stata al centro delle sue battaglie. Tuttavia parlarne gli è servito per raggiungere il suo obiettivo. 
E' interessante notare come in quegli anni, tra i Sessanta e i Settanta del secolo scorso, vi sia stata una concentrazione di intellettuali e professionisti che rilanciavano le medesime questioni, ognuno analizzando la società dal suo punto di vista e arrivando però tutti alle medesime conclusioni: questo sistema nasce dalla violenza e attraverso questa si esprime per ottenere la perpetuazione del suo tipo di ordine fatto di pochi oppressori e molti oppressi. Così, ad esempio, troviamo un Michel Foucault che ci parla della scuola come al modello usato per concepire le prigioni moderne, ma anche di come il vero potere, quello concreto e palpabile, consista non tanto nell'antico concetto del vertice di una piramide, ma nella rete operosa di funzioni svolte alla base dagli stessi oppressi, laddove le istituzioni che sembrano le più filantropiche sono invece quelle che ci sono più deleterie. Ma c'è anche un Ivan Illich che, anziché di tecnici come li chiama Basaglia, parla spessissimo di specialisti, quindi della loro dittatura che ha finito per inglobarci tutti nella convinzione che non si possa più fare nulla senza di loro, in primo luogo istruirsi.
Quando recentemente, dopo aver letto il mio libro, una persona mi ha definito 'il Basaglia della scuola', mi sono sentito lusingato da una parte, ma demoralizzato dall'altra, perché la storia della 'legge 180' - voglio dire, i suoi sviluppi storici - non sono poi quelli che Basaglia aveva sognato. E se quella libertà degli internati sognata da Basaglia si è solo trasformata in una prigionìa diversa, in una riforma del male, mi rendo conto che parlare di descolarizzazione oggi, soprattutto oggi, non solo risulta qualcosa di fortemente eretico e assurdo, ma anche qualcosa di molto ostico da comprendere, quando non impossibile. Basaglia, quanto meno, aveva il supporto morale di una società allora fortemente e fortunatamente critica, fatta di giovani sessantottini che lo capivano e ne appoggiavano il pensiero e gli obiettivi. E anche Illich, negli stessi anni di Basaglia, godeva del supporto morale di una larga parte di società. Erano davvero anni meravigliosi dal punto di vista del pensiero critico giovanile, dell'apertura mentale, e delle lotte sociali. Ma oggi parlare di descolarizzazione è condannarsi a una solitudine che rende minuscoli e impotenti dentro un'immensa galassia fatta di stelle ormai devitalizzate, normalizzate, morte. Lo dico con amarezza: mi sento una voce nel deserto.
Mi auguro solo, come storia insegna, che da questo silenzio siderale sulla descolarizzazione nasca presto un movimento di liberazione dei bambini così forte, così grande, così potente, da riuscire a cambiare definitivamente le sorti infauste di questo mondo disumanizzato e colonizzato dall'istruzione di stato. In direzione ostinata e contraria.

Non esiste alcun problema di abbandono scolastico


La scuola è utile soltanto all'autopoiesi di questo genere di società, e ci riesce benissimo. La classe dominante, interessata a perpetuare l'ordine statuale e il suo privilegio, gestisce la sua scuola in funzione di quell'obiettivo autopoietico, perciò essa rimane sempre oggetto di grande interesse dei vari governi. Secondo il volere e l'esigenza del Capitale pubblico e privato, nessuno studente (futuro schiavo ubbidiente e educato produttore/consumatore/contribuente) dovrebbe sfuggire alle maglie della scuola, perché l'addestramento delle nuove generazioni a questo sistema deve essere totale e capillare. 
A questo scopo, gli uffici della propaganda di stato fanno credere che i nostri problemi sono causati da coloro che lasciano la scuola. Quindi li vediamo, questi propagandisti del terrore sociale, che organizzano campagne pubbliche e corsi vari di aggiornamento sul modo in cui evitare che anche un solo studente abbandoni la scuola. 
Ma in realtà non esistono studenti che abbandonano la scuola, dal momento che l'istruzione è obbligatoria. Fino all'età di 16 anni tutti i giovani devono andare a scuola con le buone o con le cattive. Dopo i 16 anni, terminato dunque l'obbligo, nessuno studente che decida di lasciare la scuola può diventare oggetto di stigma e di caccia da parte dell'istituzione. Non è un caso che l'Istat, nei suoi computi statistici sul presunto problema dell''abbandono scolastico', inizi a computare a partire dall'età di 18 anni, fino ai 24. Ma a cosa serve saperlo se l'obbligo di istruzione è fissato a 16 anni? Ripeto, non può diventare uno stigma il fatto di uscire legittimamente dalla scuola una volta compiuti i 16 anni! Eppure, sembra che anche questa libertà costituisca un grave problema degno di segnalazione e allarme nazionale! 
Ma vediamoli questi giovani che si liberano dall'addestramento scolastico (comunque già abbondantemente ricevuto). Quanti sono? Secondo l'Istat, nel 2020 gli studenti dai 18 ai 24 anni che hanno abbandonato legittimamente la scuola sono in totale 543. Ora, per dirla terra terra e in modo chiaro, senza entrare nel merito della vita di questi giovani che, per quanto mi riguarda, potrebbero anche essere felici, ma se pensiamo che i problemi dell'Italia siano causati da loro, che sono appena 543, significa che non abbiamo neppure capito dove stiamo di casa. Io mi preoccuperei piuttosto dei 606 membri del Parlamento, augurandomi che siano loro - come altri al posto loro - a non dover mai più abitare quel luogo.

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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