Gli adulti dovrebbero avere l'interesse di mostrare ai bambini modelli di vita capaci di trasformare questa società in una società migliore, diversa. Il verbo mostrare lo intendo nel senso di agire, fare, operare, praticare. Sono le azioni determinate dalle scelte individuali, e non le sole parole usate a mo' di predica, quelle che costruiscono i modelli e il senso di ogni tipo di società. Nessuno meglio di un bambino sa cogliere l'ipocrisia degli adulti, quella che risiede nel fare esattamente l'opposto di ciò che essi dicono in tema di libertà o di giustizia o di eguaglianza... Se l'adulto, con il suo agire, con le sue scelte, non è in grado di garantire modelli di vera giustizia e umanità, se continua a contraddire se stesso, dovrebbe quantomeno stare lontano mille miglia dai bambini, in ogni caso non arrogarsi nessun diritto su di loro (salvo nei casi in cui è necessaria la difesa della sua persona), men che meno avere la pretesa di conoscere i loro bisogni. Neppure Janusz Korczack* -una vita (e una morte) con e per i bambini- era riuscito a comprendere il mondo delle necessità infantili, perché ogni bambino è naturalmente un mondo a sé, e tale dovrebbe rimanere, ma c'è bisogno di dirlo? Purtroppo sì! Inserire il bambino in percorsi obbligati di normalizzazione è un crimine:
* 'Per me, e credo per ogni educatore, non esistono i ‘bambini’, esistono gli individui, così diversi, così estremamente differenti, ciascuno dei quali reagisce in maniera così diversa e particolare a tutto ciò che lo circonda [...] non trasformerò nessuno dei bambini in qualcosa di diverso da ciò che egli è. Una betulla rimarrà betulla, la quercia quercia...'
Ci si renderà conto, con un minimo di onestà intellettuale, che i modelli per una società migliore esistono già, e che questi modelli espressi dai bambini dovrebbero essere gli adulti a ripescarli, a trarli fuori da quei 'se stessi' che erano ieri, o reimpararli. Io passo molto tempo a osservare i bambini e le loro dinamiche, con i più piccoli uso molta cautela, ho paura -per così dire- di rompere quei cristalli meravigliosi e multicolori. Nel loro essere liberi e autonomi, i bambini sono. Serve altro? Da ciò imparo e insegno, mi indirizzo verso la comprensione e il rispetto di me stesso, oltre che delle diversità che mi vivono intorno. Diceva Lamberto Borghi:
'L’educatore che non si preoccupa di individuare le caratteristiche singolari e irripetibili di ciascuno dei suoi alunni, che invece di concepire e condurre il suo lavoro come un apprendistato perenne e di vivere nella sua scuola e nella sua classe come in un 'laboratorio', adagiandosi invece nella bambagia delle idee generali, si colloca nel chiuso di una provincia pedagogica dove trasmissione di nozioni e di abiti di comportamento omogeneizzante, conformismo, livellamento, sono le forme strumentali, idonee alla conservazione dello stato di cose esistente, al servizio della perpetuazione del dominio, della società adulta'.
Il 'laboratorio' o 'apprendistato perenne' di cui parla Borghi è quel luogo dove avviene l'educazione attuata nel suo autentico senso, l'educazione intesa come autoeducazione permanente, relazione alla pari, o se volete 'educazione incidentale' (cfr. Paul Goodman), dove non può esistere struttura gerarchica o autoritaria, ricatti e paure, ma un libero e spontaneo scambio di informazioni desunte anche e soprattutto da un contesto altrettanto libero e spontaneo, cosa che una scuola tradizionale, 'pubblica' o privata che sia, non potrà mai garantire, dove persino il gioco è organizzato e l'oria d'aria sotto costante vigilanza. Un mondo libero è un mondo che si autoeduca alla libertà, con i fatti.
Gli ingegneri-pedagoghi di questo tipo di società mercantile vogliono e ottengono esattamente il contrario di quel che dovrebbe essere 'educazione' o 'apprendimento' o 'scuola', e raggiungono il loro scopo con la complicità dei docenti, il più delle volte inconsapevoli; questi, una volta raggiunto il tanto agognato gradino un po' più alto, non si rendono conto di essere dei perfetti carcerieri al servizio del sistema, come lo erano stati i docenti delle trascorse generazioni (e non mi riferisco agli strumenti visibili come la bacchetta), e parlando retoricamente nelle classi-celle di eguaglianza e di diritti rimangono serenamente senza la minima intenzione di aprire la porta della prigione, semmai, sovrastati anche loro dalla paura e dal ricatto autoritario, aggiungono catenacci e controlli. 'Per il bene dei ragazzi', essi dicono. C'è mai stato un solo docente in tutta la storia della scuola che, in riferimento agli studenti, non abbia detto 'lo faccio per il loro bene' e che non si sia dichiarato nel giusto? Guardiamoci intorno: eccola qui la società costruita attraverso questo presunto 'bene e giusto' iniettato massicciamente dall'esterno e dall'alto con fare moralistico e retorico.