Una citazione al giorno

Una citazione al giorno -
Data Rivoluzionaria

Bullismo? In causa la scuola stessa.

E' la scuola stessa che crea le condizioni per il bullismo, un bullismo che si concretizza sia dentro che fuori la scuola, purtroppo. Allargando il campo visivo e d'azione, è la struttura sociale in cui cresciamo fisicamente e culturalmente ad essere responsabile dei fenomeni conflittuali tra le persone. Come ha scritto molto bene Johan Galtung, (wikipedia) la violenza che noi vediamo e denunciamo, quella diretta, non è altro che un effetto, per la precisione l'effetto generato da altri due tipi di violenze connesse tra loro, quella strutturale e quella culturale, che ne sono la causa prima. Come il fondo sommerso di un iceberg, la violenza strutturale e quella culturale lavorano al di sotto del piano visibile, ma sono violenze enormi e potentissime, e prima o poi sfociano necessariamente nella violenza diretta: la punta in superficie. 
Quando noi denunciamo la violenza visibile, ignoriamo puntualmente che, se vogliamo eliminarla, dobbiamo agire su ciò che la genera, su ciò che non si vede con gli occhi, cioè sul tipo di struttura della società e sul tipo di cultura che ne permette la sua realizzazione e perpetuazione. Perciò ho esordito brutalmente dicendo che è la scuola stessa che genera le condizioni necessarie per l'emersione del bullismo, sia dentro che fuori la scuola.
Un esempio concreto che ho vissuto e che tempo fa ho riportato in questo blog, è quello di una ragazzina del primo anno di scuola media (11 anni) che è stata vittima di bullismo nei bagni della scuola durante la ricreazione. E la causa è stata la scuola stessa, la sua struttura organizzativa, la cultura che la sostiene, la difende, la perpetua.
Ripercorro l'episodio. A quel tempo, in quella scuola media, la dirigente e il Collegio dei docenti avevano stabilito delle norme anche per regolamentare l'intervallo e le relative uscite in bagno. Nello specifico, dato che l'intervallo durava 15 minuti, la dirigente aveva pensato di far andare in bagno le classi prime nei primi 5 minuti, le classi seconde nei seguenti 5 minuti, e le classi terze negli ultimi 5 minuti, in modo tale che gli studenti di classi diverse non avessero la possibilità di incontrarsi, neppure durante la ricreazione! Naturalmente la motivazione faceva leva sulla ormai trita 'sicurezza' (la dirigente voleva evitare che i più piccoli imparassero dai più grandi 'cose sconvenienti', alla faccia della scuola che pretenderebbe di agevolare la socializzazione delle persone), e davanti alla quale tutti sono disposti a vendersi anche l'anima e la libertà. Oh, la sicurezza, ad averla davvero però! Ma cosa ha generato, invece, questa modifica strutturale dell'organizzazione comunitaria apparentemente fatta a favore di una maggiore pacificazione e tutela della comunità? Vediamolo.
Erano gli ultimi 5 minuti di ricreazione, quelli in cui soltanto gli alunni di terza potevano andare in bagno. Ma siccome una ragazzina di primo anno stava evidentemente molto male e accusava la necessità urgentissima di andare in bagno, è dovuta andare, è andata, ma, anziché trovare in bagno dei compagni e delle compagne indifferenti e/o serene, come è sempre avvenuto nella situazione 'ante-nuova norma', si è vista accusare e insultare da vari ragazzi e ragazze che, in forza alla norma che dava loro l'esclusiva del bagno, l'hanno aggredita in modo brutale urlandole un faccia che quelli erano i loro 5 minuti, che le regole vanno rispettate, che non doveva più permettersi di rubare il tempo a quelli più grandi, ecc. 
Allora, è o non è la scuola quel tipo di struttura comunitaria che genera da sé il bullismo? E che cosa è la scuola se non un apparato fatto di norme e coercizioni che, col pretesto della sicurezza (quando non addirittura della libertà - sic!), creano le condizioni per dividere le persone, classificarle, e farle confliggere tra loro? Non è forse la scuola il modello preciso per la nostra società voluta in questo modo dalle forze finanziarie del Capitale (di Stato e non di Stato)? Una società violenta e quindi disciplinare, come la chiamava Michel Foucault, dal cui modello sono state concepite le moderne prigioni, una società disciplinare che produce scuole sempre più disciplinari e violente in nuce, violente a livello strutturale, nascosto, sommerso, invisibile se non nei loro effetti.
Ecco dunque che la violenza intrinseca della scuola e della società, la violenza strutturale (gerarchia, divisione, classificazioni, norme coercitive disciplinari, punizioni e premi), viene ad associarsi alla violenza culturale (conoscenza dell'unica maniera gerarchica di concepire la società per poterla preservare e replicare, nonché addestramento all'obbedienza e alla lotta tra compagni come unico modo di immaginare la vita sociale) per far emergere la violenza diretta, percepibile, cruenta, quella che noi denunciamo, accusando 'il colpevole', senza badare a ciò che l'ha prodotta. Ma come possiamo badare alla violenza strutturale e a quella culturale, come possiamo persino eliminarle, se proprio queste violenze sono quelle istituzionali, legali, in cui la maggioranza crede ciecamente e difende persino? Bisogna proprio essere degli anarchici per volere una società in cui si combatte la causa della violenza diretta, cioè una società senza governi e gerarchie, senza servi e padroni, senza confini e dogmi anche educativi. Non è certo la scuola che crea una società di pace e di libertà, fa tutt'altro, come vediamo, purtroppo. E questo che ho scritto è solo un esempio tra i troppi, ma vale come esempio di un paradigma da abbattere. Non da modificare o riformare, ma da abbattere.

Il triangolo della violenza di Johan Galtung

Non c'è relazione tra l'ignoranza e il fascismo

Essere colti non significa essere automaticamente e necessariamente antifascisti. Ed essere antifascisti non significa essere automaticamente e necessariamente colti. Ci sono persone colte e fasciste, e persone non colte e antifasciste. Conosco molte persone ignoranti (che non conoscono le cose che si studiano a scuola) che sanno benissimo dove si trova il male da combattere e il bene da perseguire.


Si dice sempre che il fascismo, o comunque l'autoritarismo declinato in diverse maniere e bandiere politiche, sia dovuto all'ignoranza tout-court. Io non lo credo e, anzi, so che questa convinzione conduce ai soliti passi sbagliati e deleteri dell'Uomo storico. Se 'ignoranza' viene dal verbo ignorare, cioè dal non conoscere, e se il non conoscere è, come dicono, causa e base del fascismo, dovremmo dunque concludere che tutti quelli che sono andati a scuola, o che sanno scrivere benissimo, o che conoscono a memoria la Divina Commedia, non siano fascisti o autoritari. Ma noi sappiamo che questa è una società massicciamente scolarizzata, e perciò il discorso dell'ignoranza legata al fascismo, già su queste poche righe, cade come corpo morto cade.
Ma volendo comunque perseguire il pensiero comune circa l'equazione ignoranza=fascismo, c'è da aggiungere quel pericolo che scaturisce dall'idea sbagliata secondo cui, siccome in questa società ci sarebbe - si dice - una parte di popolazione poco o per nulla colta, la società avrebbe bisogno di ancora più scolarizzazione per debellare il fascismo che dilaga, non solo in Italia. Tutto ciò è aberrante, astutamente congegnato da chi sa quale sia il vero scopo della scuola di massa e l'inoculazione della cultura dominante.
Ma per chi ha il coraggio di farlo, è sufficiente guardare in faccia la realtà, i fatti, il quotidiano, per comprendere che il fascismo non nasce dall'ignoranza (c'era più ignoranza nel XIX secolo, e lo scrivere in modo sgrammaticato, oggi, non è indice di fascismo o predisposizione ad esso), ma nasce da tutt'un insieme di valori e apparati tecnico-burocratico-pedagogici a cui la società si è affezionata e di cui non sa più fare a meno. Valori e apparati, cioè quell'insieme di credenze, codici morali, e strumenti educativi, economici, politici, organizzativi, senza i quali la gente pensa di non poter vivere, senza i quali l'umanità - pensa la gente - andrebbe in rovina (più di quanto gli stessi valori e apparati in cui crede non stiano già facendo da secoli?). E' pericoloso pensare che la gente ignorante sia automaticamente fascista o autoritaria, o comunque malsana, cattiva, questo è un pensiero che veniva divulgato e canonizzato dalla Chiesa in età rinascimentale, e prima ancora nel Medioevo, per fare in modo che le persone, se avessero voluto possedere un'intelligenza superiore agli analfabeti e una considerazione sociale più alta, avrebbero dovuto ambire all'istruzione cattolica dottrinale, e lo facevano. Insomma, una furba propaganda per attirare i sudditi nella trappola dell'istruzione dogmatica, nel fossato dell'addestramento, della colonizzazione mentale. Niente è cambiato da allora nelle finalità delle odierne agenzie educative. Ovvio. E come allora, anche oggi il pretesto dell'ignoranza che genererebbe il fascismo non serve ad altro se non a scolarizzare ancora di più la società. Ma questo genere di società, più si scolarizza e più si fascistizza. Sono fatti.
L'intelligenza, cioè la capacità operativa di intelligere e comprendere le relazioni tra gli elementi, non ha niente a che fare con l'istruzione ricevuta, se non per il fatto che una certa istruzione massificata e massificante istupidisce e atrofizza i cervelli, come ci informano molti pedagogisti. Il grado di istruzione, insomma, non misura in nessun modo il grado di operatività neuronale. L'istruzione è un comando esterno, mentre l'intelligenza è una proprietà interna, biologica, il suo funzionamento prescinde da ciò che proviene dall'esterno. Ci sono persone intelligentissime che non sanno nemmeno leggere e scrivere, non sanno chi è Piero Della Francesca o Pascal, non conoscono che poche cose essenziali, quelle che servono per vivere... mentre invece ci sono persone che, pur laureate, sono poco intelligenti, cioè non sono in grado di mettere in perfetta relazione i fatti della realtà o non sanno analizzare criticamente (e men che meno esprimersi creativamente) ciò che accade nel mondo, anche se hanno assimilato perfettamente gli elementi dettati dai libri, e sanno ripeterli a menadito. Non voglio con questo inneggiare alla non conoscenza delle cose-del-mondo, dico solo che c'è modo e modo di imparare, e tra tutti i modi possibili il peggiore è la scuola, il migliore è l'apprendimento incidentale, spontaneo.
Gli elementi cognitivi che vengono introdotti dall'esterno e assimilati, servono non a creare intelligenza, ma a farla lavorare in un certo modo, quello voluto da qualcuno, stimolandola in quella direzione. Possiamo paragonare l'intelligenza al sistema operativo di un computer, e gli elementi introdotti dall'esterno ai softwares. A seconda dei softwares si avrà un certo tipo di prodotto finale. E' il sistema operativo che fa lavorare i softwares, non viceversa. Quindi non è l'istruzione che mette in moto l'intelligenza, ma è l'intelligenza (hardware) quella che usa gli elementi introdotti dall'esterno (softwares) per far pensare e agire le persone in un modo prestabilito.
Senza una capacità intellettiva propria, innata, gli elementi introdotti dall'esterno non sarebbero che singoli elementi senza alcun rapporto tra di loro, come degli inerti dentro a un pozzo,  ben riconoscibili singolarmente, ma inutili nel risultato della loro relazione. Ci sono poi vari tipi di intelligenze, e anche questo fatto ci dimostra come l'intelligenza in generale sia una proprietà biologica (non solo umana) e non qualcosa di costruito ex novo dall'esterno grazie a un qualcuno che propone (o impone) un percorso iniziatico (argomento chiave e caro, quello del percorso iniziatico,  a chi vuole ammansire gli altri, e quindi governare le masse, illudendole con miraggi di salvazione o emancipazione previo cammino impostato su certe regole precise. Cose furbe!).
Se domandiamo alla gente per quale motivo a scuola si debba studiare il fascismo, o per meglio dire quel capitolo dove una persona autoritaria ha preso il potere nel 1922 e ha chiamato 'fascismo' il suo nefasto movimento sociale e politico, la gente ci risponderà che quel capitolo viene studiato affinché non possa più ripetersi, dati gli orrori che ha generato. Bene. Ma allora questa gente dovrà quantomeno saper risolvere la contraddizione che vuole una società scolarizzata e fascista al contempo. Ciò non si spiega sulla base dell'equazione ignoranza=fascismo.
E sul finale io lancerei una provocazione in forma di domanda, per tutti quelli e quelle che vogliono far lavorare la loro intelligenza (capacità biologico-operativa di capire le relazioni tra le cose), ed eccola qui: esiste una relazione tra la non conoscenza dell'anarchia da parte della grandissima parte della società e il fatto che non se ne scriva sui libri di scuola, se non in malo modo? Se sì, la domanda conseguente è questa: non sarà che parlare sempre e soltanto di fascismo non è altro che una forma di propaganda continua del fascismo stesso, un modello che fa sempre gioco al sistema statuale-economico-militare, per una società sempre più disciplinare e autoritaria?

Le faremo sapere

Come diceva anche Foucault, tutti i tipi di regime o di dominio o di potere hanno bisogno della diffusione capillare del sapere. Sembrerebbe questa una dichiarazione che va contro quello si è soliti pensare, e cioè che il potere si perpetua mantenendo il popolo nell'ignoranza. Ma in un certo senso anche questo, però, è vero. Bisogna allora chiarire l'una e l'altra cosa e saperle mettere in relazione, perché tra le due una relazione c'è, ed è anche strettissima. Il sapere non è mai neutro, perché si trova sempre nelle implicazioni morali e ideologiche di una data società, funzionali a quella data società. In sostanza, il sapere è il figlio manifesto (e divulgato) delle esigenze del potere in un dato momento storico. Ciò che comunemente viene pensato come 'sapere' non è che l'insieme dei soli elementi che servono al Dominio al fine di mantenersi e rafforzarsi. Per questo motivo il potere necessita della diffusione del sapere, ma solo di un tipo preciso di sapere, non di un altro. 
Si spiega così anche l'altro concetto relativo all'ignoranza, che è perciò conseguenza del primo. Conoscere solo una parte di un tutto, significa ovviamente ignorarne le altre. Senza contare di quando, e non di rado, la parte divulgata è resa distorta dal potere, o tratta da un'invenzione puramente strumentale, costruita ad hoc. Tra gli elementi che costituiscono il sapere universale ve ne sono dunque molti che il potere censura totalmente, o che modifica, mentre altri elementi trovano tutte le vie possibili (soprattutto la scuola e la TV) per la loro diffusione nella società, per la perpetuazione di quella specifica società, non di un'altra. 
Il potere si trova perciò in ogni settore della società, nei suoi meandri simbolici, quelli del linguaggio verbale e non verbale. L'idea stessa del Dominio come unica forma di vita e di organizzazione sociale viene resa pubblica e fatta vivere ovunque, nella struttura gerarchizzata di questa società, in tutti i corridoi reticolari che mettono in relazione gli elementi cognitivi che noi, sbagliando, chiamiamo 'cultura generale', mentre a mio giudizio dovremmo chiamarla 'cultura particolare' o 'singolare'.
Questo discorso, molto sintetico, risponde anzitutto alla mia esigenza di capire/spiegare il motivo per cui i media, e dunque anche la scuola, non hanno alcuna difficoltà a parlare di fascismo (di ogni colore) fin nei suoi più piccoli particolari anche aneddotici, producendo persino agiografie di criminali legalizzati spacciati per eroi nazionali, mentre fa di tutto per censurare l'anarchismo, i suoi filosofi, le sue pratiche di pace e solidarietà, le sue opposizioni concrete alle guerre e alla miseria. Quindi non sarebbe brutta come idea quella di leggere o rileggere Colin Ward, ad esempio. E di raccontarlo.

Malati di specializzazioni e specialisti

Le cause dei mali di cui la nostra società soffre (e si alimenta, come direbbe il pittore James Ensor) sono state analizzate e puntualizzate da Ivan Illich. I suoi testi, per inciso, bisognerebbe comprenderli nella loro totalità. Uno dei nodi fondamentali e direi anche profetici toccati da Illich è quello relativo a un tipo di società che è incredibilmente specializzata a specializzare.  Ma la specializzazione, oltre una certa misura di diffusione e soprattutto se resa obbligatoria, annichilisce la creatività degli individui, i quali delegano le loro decisioni, per legge o per bisogno creato ad hoc, a una quantità sempre maggiore e omologata di esperti patentati: gli individui diventano sempre meno autonomi nelle decisioni che riguardano la loro stessa vita, ed abdicano con fiducia. L'establishment si nutre anche di questa abdicazione di massa, vuole e crea uno specialista e un capo per ogni questione e in ogni àmbito, anche il più personale e intimo (sessuologi, matrimonialisti, insegnanti, educatori di ogni sorta...), e in questo modo le decisioni autonome dei singoli sono bandite per legge e ridotte ad essere criminalizzate e derise dalla conseguente falsa morale comune.
'il  tentativo  di  costruirsi  una  casa  o  di  mettere  a posto  un  osso  senza  ricorrere  agli  specialisti  debitamente patentati  è  considerato  una  bizzarria anarchica' (Ivan Illich)
E' chiaro che, anche in questo caso, la scuola e l'università giocano il ruolo più decisivo. Gli specialisti vengono formati e laureati secondo un protocollo preciso che è ben lungi dall'essere contro il profitto e il capitale, ma, anzi, il protocollo formativo ha come finalità proprio la perpetuazione della logica capitalista e di questo sistema gerarchizzante. Tra i problemi emersi a causa delle specializzazioni, è chiaro, c'è dunque l'omologazione, il conformismo: tutto ciò che non è conforme alla direzione imposta viene classificato in modo tale da separarlo dalla società (società che, nei fatti, è diventata una finta idea di comunità), con le buone o con le cattive. 
La situazione odierna, anche a proposito della medicalizzazione di massa obbligatoria (vaccini), si sta inasprendo, e questo inasprimento è l'altissimo prezzo che questo tipo di società di specialisti sta pagando a proprie spese. Non entro nello specifico, adesso le opinioni sull'argomento non mi interessano più e, che mi si creda o no, la questione sui vaccini va ben al di là dell'aspetto strettamente clinico, qui stiamo parlando di potere e istituzionalizzazione di altre violenze, di annichilimento delle facoltà di decisione individuale, di logica del profitto, di organizzazione e potenziamento del Capitale per mezzo dello Stato... (Lo Stato, ovvero l'espropriazione controllata del diritto individuale di essere, per diventare obbligatoriamente qualcosa d'altro progettato dall'esterno, per il profitto di pochi, i quali ci insegnano come dover essere).
Io dico solo che bisognava conoscere, leggere e capire Illich molto prima di adesso, ma mi rendo conto che era assai difficile farlo 30 anni fa, quando il sistema era fortemente impegnato a preparare culturalmente le masse (anche attraverso la censura), a quello che stiamo subendo oggi. Ma quantomeno capire ciò che sta avvenendo e perché avviene, qual è il suo scopo, come aveva profetizzato Illich, questo io posso farlo, lo voglio fare. Da 'Descolarizzare la società' a 'Nemesi medica, l'espropriazione della salute' a 'La convivialità' a 'Disoccupazione creativa' (questo titolo, a mio giudizio, può ingannare, leggasi piuttosto dis-occupazione), questi testi mi tornano ancora utili, oggi più di ieri, per farmi capire anche il motivo per cui le masse sono responsabili dei mali di cui esse soffrono.
'la  gente  non  è  più  in  grado  di  riconoscere  l’evidenza quando  non  sia  attestata  da  un professionista, sia egli un meteorologo televisivo o un educatore; che un disturbo organico diventa intollerabilmente minaccioso se non è medicalizzato mettendosi nelle mani di un terapista; che non si hanno più relazioni con gli amici se non si dispone di veicoli per coprire la distanza che ci separa da loro (e che è creata prima di tutto dai veicoli stessi)'. (Ivan Illich)
 La questione degli esperti patentati dentro una società come la nostra, addestrata, competitiva, militare, gerarchica, padronale, fondata sul profitto di pochi a causa dello sfruttamento dei molti, non può che essere una questione fondamentale, ma è invece incredibilmente ignorata, non viene assimilata come problema, questo perché la nostra società crede nel valore della specializzazione istituzionalizzata, tutti ambiscono a diventare esperti patentati di qualche cosa, anche se essere esperti di qualche cosa, secondo me, vuol dire avere una cognizione talmente ampia e critica delle questioni da comprendere anche tutto ciò che rinneghi la specializzazione stessa. Ma questo è un altro discorso. In ogni caso bisognerebbe imparare a distinguere sempre l'esperto dall'esperto istituzionalizzato.
Concludo dicendo questa semplice evidenza (anche questa insegnatami da Illich): quando io creo un esperto e lo istituzionalizzo, immediatamente l'esperto creerà un problema anche laddove problemi non ce ne sono, deve farlo, altrimenti egli non potrebbe dare senso alla sua esistenza in quanto esperto, finendo la sua carriera ancor prima di iniziarla. Dunque, in una società carrieristica come la nostra, e oltre una certa misura, sono molti i casi in cui i problemi vengono creati appositamente, spacciati sempre come bisogno impellente, e sempre in nome di una presunta sicurezza. Ma è tutto da rivedere, come ci invita a fare Illich.

La scuola è nuda!

La gente sotto sotto ha ancora un cuore, una coscienza ancora umana, integra, nonostante questa coscienza sia messa a dura prova da una condizione in cui le individualità  sono sparite, fagogitate dal conformismo, oltre che perseguitate laddove siano rimaste ostinatamente ancora sane e uniche. Cuore e coscienza: le loro esigenze hanno bisogno di essere soddisfatte in qualche modo, per questo motivo la classe dominante, che regge le redini del potere politico, ha saputo costruire con le parole tutto un immaginario di meraviglia, un fenomenale catalogo di articoli per la felicità. Ma quelle del potere sono solo parole, promesse, illusioni, idee, che i fatti smentiscono senza possibilità di appello. E non potrebbe essere altrimenti. Una politica di Stato che dovesse mettere in pratica le sue stesse parole si appresterebbe a compiere il proprio suicidio.
Con questo voglio dire che le folle conformate, adattate così bene al sistema che le imprigiona senza che esse se ne accorgano, si nutrono delle parole del potere, perché  il cuore e la coscienza le esigono come proprio cibo. Non importa se la politica di Stato non farà  mai quello che promette con le sue parole, quel che importa è coltivare presso la gente l'illusione che lo Stato, con le sue istituzioni e i suoi governi, sia l'unico mezzo con cui realizzare la felicità. Fino ad oggi il giochino illusionistico ha funzionato. Prodigi pavloviani.
Le folle istruite difendono le istituzioni: nell'immaginario collettivo le istituzioni rappresentano le appendici attraverso cui si può giungere all'Iperuranio, sono i necessari agganci per il raggiungimento della felicità, della perfezione e di ogni altra amenità che stuzzichi positivamente le coscienze. Questo viene fatto credere e questo viene creduto. Stiamo parlando ovviamente di mitologia, ma che serve al cuore e alla coscienza della gente. Disilludere la gente, svegliarla da questo incantesimo o stato di ipnosi dogmatica può risultare pericoloso. Pericoloso per chi grida pubblicamente che il re è nudo, ma anche per gli ipnotizzati che non hanno mai voluto credere che il re fosse nudo.Nel primo caso si rischia la denigrazione nella migliore delle ipotesi, nel secondo la servitù volontaria rischia di non poter più nascondere la propria complicità col sistema ponendosi dietro a falsi parapetti ideologici o di retorica, come fa d'abitudine.
Prendendo ad esempio l'istituzione scolastica, dalla cui azione indottrinatrice obbligatoria emerge una precisa e corrispettiva conformazione sociale (la nostra, indubbiamente orribile), possiamo notare il modo in cui le folle scolarizzate la difendano malgrado i fatti, nonostante i risultati che molti di noi, in passato, avevano preconizzato. Come dicevo, i fatti in questi casi contano poco, anzi nulla: al suddito fedele non importa sapere se il re è nudo, importa invece avere l'idea che il re sia sempre vestito. Basta solo l'idea. Questo fa la scuola: infonde e perpetua l'idea che essa sia necessaria e giusta, non importa se i fatti dicono tutto il contrario. E ancora, proprio come diceva Ivan Illich, più la scuola e le istituzioni in genere dimostrano di fare esattamente il contrario di ciò che promettono, e più le masse istruite pensano che per risolvere il problema sia necessario il rafforzamento di quelle stesse istituzioni.
Quello della scuola è un vestito fatto di una retorica formidabile, mistica, ma falsa, che il suddito scolarizzato sa declamare ogni qual volta la scuola viene messa in discussione da qualche eretico descolarizzatore. Il vero servo è quello che difende l'indifendibile. Voglio fare un esempio concreto: la società scolarizzata crede che la scuola serva, tra l'altro, a far socializzare i bambini, nonostante le evidenze dicano esattamente il contrario a volte con esiti persino drammatici come il bullismo (che è la punta emergente di un iceberg sottostante mastodontico fatto di violenza culturale e strutturale, fatto cioè di scuola in quanto tale). Come può una struttura istituzionalizzata come la scuola, nata per separare e costringere i corpi (suddivisione anche fisica per classi, e obbligo di rimanere seduti nei banchi, attenti, disciplinati, possibilmente divisi, escluso il quarto d'ora di intervallo, pena punizione), dal cui modello sono nate le moderne prigioni (vedi Foucault), come può, dicevo, la scuola  promuovere e addirittura agevolare la socializzazione delle persone? Si intende una socializzazione conviviale e pacifica, è ovvio. E' una contraddizione evidente e colossale!
Eppure lo scolarizzato medio lo crede possibile, perché l'idea della socializzazione è bella in sé, ci appartiene atavicamente in quanto siamo animali sociali, e proprio sui caratteri atavici lavora il potere, che fino ad oggi si è premurato di toglierci il primato dell'autorganizzazione e dell'autoaffermazione per costruire specializzati e specializzazioni, cioè agenzie esterne alle quali la gente non può far altro che delegare tutto, con le buone o con le cattive (obbligo scolastico, obbligo di medicalizzazione, obbligo di burocratizzazione delle vite, obbligo di certificazione di ogni cosa...). E infatti nell'immaginario collettivo tutte le istituzioni, primariamente la scuola, sono ormai diventate le superagenzie indiscusse che, a loro dire, condurrebbero al giusto, al buono, al bello, alla sapienza. Le istituzioni sono le nuove chiese. E la scuola è una chiesa talmente potente che il fedele scolarizzato, essendo tale, tende ad opporsi a qualsiasi evidenza che gli dimostri concretamente che, giusto per agganciarmi all'esempio di prima, dei bambini che giocano liberi e chiassosi non hanno alcun bisogno di istituzioni (e istruzioni) sedicenti socializzanti, perché i bambini liberi sono essi stessi, in quanto tali, individui naturalmente sociali, ma già anche liberi. Serve altro? No. Ma un devoto della scuola continuerà a difendere l'istituzione nonostante tutto, a meno che l'adepto non sia in grado di fare un lavoro su di sé, autonomo, intimo, di decostruzione critica, che lo liberi finalmente dalle sovrastrutture culturali menzognere. Dopodiché possiamo anche pensare di iniziare a camminare tutti insieme nel segno della pace e della libertà. Nel segno, e non verso. Pace e libertà non hanno bisogno di un cammino iniziatico, come dicevo nel post precedente, perché sono il cammino.
Vorrei ripetermi anche qui. Poiché le persone sono intimamente guidate dalle esigenze naturali del cuore e della coscienza, esse amano in maniera viscerale l'idea del bello, del buono, del giusto, della sapienza, della fratellanza..; la gente è profondamente innamorata di chi le promette queste cose, quindi è innamorata dell'idea che la scuola dà di se stessa alle folle da ben 26 secoli, è innamorata di un'immagine retorica, di maniera, olografica e millenaria, perciò la difende fideisticamente. Ma come si fa a difendere per così tanto tempo un qualcosa che produce l'esatto opposto di ciò che promette? Come dicevo, soltanto una cieca fede, ovvero l'obnubilazione del raziocinio, riesce a ottenere questo risultato.
Ecco il motivo per cui il potere necessita di autoriformarsi continuamente. Le riforme della scuola servono anche a questo, a rivitalizzare l'illusione iniziale, a riportare in alto il livello di speranza del suddito, a rifidelizzare la società alla scuola, a irrobustirne la sua retorica e la liturgia, a riproiettare nelle coscienze l'ologramma iperuranico. E' come se il re di prima, accorgendosi del mugugno della gente che nel frattempo si è accorta della sua nudità e quindi comincia a dubitare, dicesse al popolo: 'sudditi amati, è giunto il momento che io indossi altri vestiti, da domani questi miei vestiti avranno un'altra foggia, e sarà più bella'. Applausi al re, dubbio sparito, l'illusione ha rifatto centro. Ma la questione, in realtà, non è mai stata quella di cambiare o meno i vestiti, o farsi illudere ancora dalle belle parole del potere, qui si tratta di non volere più il potere in quanto tale, si tratta di demolire il dogma culturale imperante e far implodere la macchina scolastica istituzionale che lo crea.

'Lungi dal realizzare l'eguaglianza delle opportunità  che promette, la scuola infatti riproduce e consolida la stratificazione sociale e funge da moderno cerimoniale di iniziazione alla società  dei consumi. Essa appare come un grande rituale mitopoietico, generatore di miti che rendono tollerabile la sua controproduttività  paradossale, ovvero la paralisi dell'apprendimento che il monopolio scolastico produce inevitabilmente' (Antonio Airoldi, nota bibliografica pubblicata in 'Disoccupazione creativa' di Ivan Illich, Red edizioni, 1996)
 'La ricostruzione della società  ha inizio quando i cittadini cominciano a dubitare' (Ivan Illich).

Non esistono percorsi iniziatici per la libertà

Di chiese, in questo tipo di società, ce ne sono moltissime, la scuola è una di queste, ed è anche la più subdola e potente tra tutte. Su questo argomento ha scritto molto bene Ivan Illich, che io considero un autore imprescindibile, a mio giudizio l'unico che ha saputo far emergere e colpire al cuore i veri pilastri su cui si fonda la menzogna sociale in cui ormai quasi tutti credono. Per fede. Perché è solo un fatto di fede, non di logica e buon senso, se oggi intere masse si lasciano abbindolare dall'unico punto di vista sul mondo voluto e imposto dal sistema e la sua pedagogia. 
Laddove esiste una chiesa deve necessariamente esserci un sacerdote, un meneur de jeu, un padrone, una figura che ogni bravo schiavo fedele pone su un podio e chiama 'mia guida' (fuhrer), pur soffrendola, sia essa un singolo individuo o un'élite parlamentare. Sarebbe interessante soffermarsi in modo più analitico e approfondito su questa 'guida', fino a scoprire che una tale figura nasce soltanto nei luoghi in cui la libertà e la gioia sono state tolte in precedenza agli individui, rendendo i popoli, così derubati delle prerogative naturali più preziose, masse dipendenti dalle illusioni. Ma qui non voglio approfondire il tema che così impeccabilmente Ivan Illich ha già sviscerato nei suoi testi. 
Voglio semmai promuovere un dubbio, quello che io pongo sull'idea del percorso iniziatico comune a tutti i tipi di chiese. Io diffido dei percorsi di salvazione proposti da chi, dall'esterno, si erge a fuhrer di qualche cosa. Tutte le chiese, ovviamente anche quelle di tipo parlamentare, non fanno altro che chiamare a raccolta milioni di fedeli illudendoli col miraggio della felicità (o sicurezza, o pace, o libertà...), ma che può essere raggiungibile, dicono, soltanto se i fedeli seguono un percorso iniziatico prestabilito, deciso dalla guida (singolo o gruppo che sia) ma senza dare dispiaceri alla guida, sia chiaro, altrimenti quei fedeli saranno etichettati e diventeranno infedeli, dunque sovversivi, con le conseguenze punitive che il fuhrer avrà nel frattempo deciso.
Senonché, come è logico e come ci raccontano i fatti, questi percorsi si rivelano sempre delle incredibili trappole, delle vie della povertà e della sofferenza, e le persone adepte, rese nel frattempo fedeli e acquiescenti per mezzo di un'educazione mirata e obbligatoria, credono che la propria sofferenza sia il giusto prezzo da pagare. D'altra parte, non è forse la stessa religione istituzionalizzata la prima che insegna ai bambini l'odiosa e malsana idea che il soffrire in questa vita conduca alla gioia nella morte (ma a condizione che)? 
Io diffido di questi percorsi, fisici o metafisici, non credo in chi li propone, non credo nei ricatti, nei 'a condizione che', nelle vigliaccherie dei profittatori senza scrupoli spacciate per cammini di liberazione. E non credo anche perché io conosco la natura degli esseri umani, i quali, per disegno naturale eminentissimo, nascono tutti liberi e autodeterminati. Tanto basta. La sofferenza e la schiavitù di cui siamo vittime è invece un progetto culturale, politico, economico, educativo preciso, è una costruzione, un artificio che va contro natura per l'interesse esclusivo di un'élite.
Come diceva De La Boétie nel secondo Cinquecento, è sufficiente non servire più per avere la libertà. Io credo in questo. Credo nella disobbedienza. Credo nella mia autodeterminazione e nella mia morale, nella mia capacità di pensiero e di azione, nella mia innata capacità di giudicare ciò che è bene e ciò che è male. E giudico male chi vuole educarmi, giudico male chi vuole farmi suo schiavo illudendomi con percorsi salvifici. Io giudico bene quella libertà che è in se stessa il percorso, non viceversa: credo che non esistano cammini per la gioia, ma esiste solo la gioia come cammino. La libertà va praticata, qui e ora, non elemosinata, non la si raggiunge per mezzo di percorsi dettati da qualcun altro e 'a condizione che'. Chi segue percorsi stabiliti da qualcun altro, dall'esterno, non soltanto si rende schiavo e rinuncia alla propria autostima e autodeterminazione, ma toglierà tempo prezioso alla propria gioia, quella gioia che avrebbe immediatamente se non ubbidisse al suo fuhrer, o sacerdote, o capo di partito, ecc.
Così non credo che l'iniziazione ecclesiastico-scolastica, come pure qualsiasi legge esterna e imposta, renda gli esseri umani migliori, credo invece che la scuola ci renda progressivamente sempre più asserviti e incattiviti, deboli con i forti e forti con i deboli, vigliacchi, corrotti e corruttori, riproduttori fedelissimi di questo tipo di società competitiva e autoritaria, e difensori accaniti della morale imposta e dei padroni. I fatti sono terribilmente espliciti in questo senso.
Dacché ho ricordo, vibra in me, tra gli altri, un grande istinto naturale che dice: se vuoi la libertà, usala! Non c'è altro da fare, perché la libertà si impara soltanto praticandola, come la gioia, la giustizia, la pace, la fratellanza e la solidarietà: guarda caso le prerogative naturali che ci hanno tolte e che possiamo riavere, qui e ora, seguendo noi stessi, e non servendo più chi ci promette percorsi di varia salvazione, terrena e non.

Quando pensi sia tutto giusto...

E' incredibile vedere come la maggior parte dei princìpi di costume, o morali, che la società reputa giusti, e che perciò ama anche insegnare con convinzione superdogmatica ai bambini, vadano sempre immancabilmente contro la società stessa, contro l'interesse dei singoli individui (ma ci sono ancora gli individui?). Il risultato è sempre diverso dalle aspettative. E' come amalgamare degli ingredienti in cucina, convinti di fare una determinata e buona ricetta, ma puntualmente viene fuori un'altra cosa, sempre indigesta, tossica.
Se non sapessi che esiste un piano culturale-pedagogico prestabilito all'origine, un'istruzione di massa in tal senso, non lo crederei mai possibile! E dire che larga parte di intellettuali e artisti, ancora all'inizio del Novecento, lo dicevano chiarissimamente, come anche gli anarchici oggi: distruggiamo la normalità, bandiamo la consuetudine, disintegriamo gli automatismi culturali... perché il potere è da distruggere, non da conquistare, ed il sistema non è da riformare, ma da abbattere!
Sarebbe un bell'esercizio, da parte di tutti quanti, cominciare a scardinare le certezze, scoprendo poi che la maggior parte di esse, magari proprio quelle su cui ci giocheremmo la vita, erano in realtà certezze false e distruttive, ma non posso costringere nessuno a fare questo esercizio di critica 'cubista' di smontaggio e osservazione analitica delle cose. Comunque la Storia è lì, intesa come esperienza e testimonianza, per chi la vuol vedere e farne tesoro. Alla mia veneranda età posso solo dire che se le persone non arrivano autonomamente a compiere questo salto ardito, se non arrivano da sole a destrutturare con coraggio le loro certezze, a entrare dentro le pieghe più profonde di questa cultura, scoprendone il fine indigesto già a partire dagli ingredienti iniziali, nessun altro può costringerle a farlo. Ma chi autonomamente lo fa, generalemente, poi, se ne compiace.

Se lo scopo non è anarchico, può solo essere autoritario

Ogni società educa e si autoeduca sul proprio modello, stendendosi sul corpo della madreforma che essa si è data, e in questo modo si autoriproduce. Ci sono però società, come la nostra, che non si scelgono spontaneamente la madreforma attraverso cui potersi autoriprodurre, perché questa madreforma è stata inizialmente, e continua ad essere, un disegno preciso voluto dalla classe agiata per poter continuare ad essere agiata e sfruttatrice. Un disegno che muta solo in apparenza a seconda di come tira il vento e la pancia della gente. Se oggi gli oppressori, come nel 1800, guardano alla scuola come ad uno strumento di liberazione, è solo perché il disegno pedagogico della classe agiata ha fatto bene il suo dovere, purtroppo. Gli oppressi non riescono a destrutturare più il dogma scolastico, anzi, lo innalzano devoti più di un tempo e tutt'al più lo vogliono soltanto modificato, ma mai eliminato. 
Se la società è un gruppo, la scuola è nata per dare a questo gruppo uno scopo, un obiettivo comune in cui credere. Ma come dimostrano i fatti, gli obiettivi che la scuola propaganda, e di cui si vanta, non sono gli stessi di quelli che nasconde e produce. C'è contraddizione tra ciò che la scuola dice di voler fare e ciò che fa, tra ciò che dice di voler produrre e ciò che in effetti produce. E questo però sembra essere chiaro soltanto alla classe agiata, che conosce bene gli scopi occulti della scuola, ed è ovvio, dato che è stata lei a volerli. Per dirne una: la scuola dal lato teorico (e retorico) condanna il bullismo, ma è proprio attraverso i suoi strumenti e tutta se stessa che lo crea (un esempio qui).
Un pensiero di John Dewey dice: 'Qualsiasi educazione data da un gruppo tende a socializzare i suoi membri, ma la qualità e il valore della socializzazione dipendono dagli scopi del gruppo'. Una società come la nostra, modellata per mezzo della competizione, del 'valore' militare e della gerarchia, non può certamente produrre libertà e pace, né avere scopi di autentica e diffusa solidarietà. Purtroppo.
Una buona società potremo averla soltanto descolarizzandola nel più breve tempo possibile, facendo in modo che le nuove generazioni sviluppino autonomamente le loro aspettative e attitudini, senza essere contaminate dagli adulti, dal nostro modello sbagliato, dalla nostra cultura, dai nostri valori a cui siamo affezionatissimi. Gli adulti non hanno alcun diritto di fare progetti sui loro figli, di conformarli, di pensare e agire al posto dei figli! Che costruiscano da soli, i bambini e le bambine, la loro madreforma, e che la modifichino o la distruggano quando vogliono, se lo vogliono. Siano loro a decidere, e nessun altro al di fuori di loro. I bambini non si privatizzano! Se questo fa paura agli adulti, è giunto il momento di combattere culturalmente questa paura stolta.
Il mio consiglio conseguente è anche quello di diffidare di quanti propongono visioni future di scuole riformate, luccicanti e coloratissime, magari pescando dagli (o gli) stessi argomenti propugnati dalle scuole libertarie e dall'anarchia, ma che di queste hanno soltanto l'imballaggio esterno patinato. Attenzione sempre agli scopi nascosti. Attenzione alle strumentalizzazioni politiche, che sono sempre in agguato, operazioni facili e demagogiche, abbaglianti, che aiutano sempre il sistema, alla fine, perché sono esse stesse il sistema! Guardiamo quindi sempre alla direzione, autoritaria o libertaria, e guardiamo all'obiettivo: se non viene dichiarato apertamente di volere lo smantellamento dello Stato, l'eliminazione di tutti i governi, hic et nunc, siamo certi che siamo di fronte a una enorme impostura: il solito inganno politico ben mascherato.

Solo un altro tipo di cultura ci salverà

I disperati del mondo, tenuti con molta abilità sotto costante illusione e speranza, paura e insicurezza, difficilmente riescono a capire che, alla fine dei conti (conti che avrebbero già dovuto fare secoli fa), rossi, bianchi, neri, blu, a pois... a ben vedere di governi ce n'è soltanto uno. Una è la cultura imposta, una è la visione conseguente delle cose, unica è la direzione, unica è la gestione delle collettività, ed una soltanto è logicamente la realtà che può essere creata da questo tipo di istruzione. 
Le ideologie di partito, politico e/o religioso, sfoltite dalle rispettive retoriche di superficie che solo in apparenza le diversificano, rispondono tutte al medesimo progetto comune: perpetuare l'esistente, lo status. Va da sé, quindi, che per modificare l'esistente non serve cambiare governi, bisogna invece adottare un altro sistema culturale. Ma questo non si può fare fino a quando le masse continueranno a farsi scolarizzare ed istruire ('educare') da chi le vuole con un solo tipo di cultura nella testa. Cultura è colonizzazione. Quando Ivan Illich definiva la scuola l'agenzia pubblicitaria che ti fa credere di aver bisogno della società così com'è, intendeva dire proprio questo, che con un solo tipo di cultura non si avrà che un solo tipo di risultato, nessun altro. Uno degli incredibili effetti della nostra cultura autoritaria è quella che ci fa credere di poter cambiare le cose intervenendo per mezzo e all'interno dei meccanismi che si vogliono combattere ed eliminare (riformismo), e questo appare generalmente come la cosa più logica, ma proprio perché viene ritenuta la cosa più logica dalla maggioranza delle persone istruite per mezzo della stessa cultura dovrebbe essere esclusa dal panorama delle soluzioni o, quantomeno, guardata con molto sospetto. La Storia infatti ci insegna che proprio il riformismo non è altro che uno dei tanti strumenti usati dal Capitale per potersi perpetuare. Io stesso, che opero da libertario in un contesto istituzionalizzato, posso garantire che non è possibile cambiare le cose dall'interno senza avere conseguenze invalidanti che vanificano ogni buona intenzione. Perciò rimango clandestino.
Dicevo che occorre cambiare sistema culturale, cambiare direzione, ma questo vale per gli adulti, i quali sono già stati deviati dal percorso naturale proprio attraverso l'impianto di una cultura specifica. Invece i bambini non hanno alcun bisogno di cambiare direzione fino a quando non vengono istruiti con la cultura dominante, cioè molto presto, e non a caso. Noi tutti nasciamo liberi e senza sovrastrutture escludenti, i bambini piccoli non conoscono odio a causa del colore della pelle o della religione o dell'orientamento sessuale o di chissà cos'altro, non concepiscono il mondo spezzettato artificialmente da confini nazionali; al contrario, i bambini piccoli hanno una straordinaria predisposizione all'incontro curioso con l'altro, allo scambio di informazioni. Mi altero quando gli adulti credono, in modo molto presuntuoso, che i bambini vadano educati. Educarli a che cosa se i bambini sono già quel mondo che desideriamo? Educarli a che cosa, dunque, se non ad adattarsi con le buone o le cattive a questa società? E con che mezzo educarli? Con la scuola? Con dei contesti comunque scolarizzanti? E chi li educherebbe questi bambini? Gli adulti già scolarizzati, adattati, e fieri di essere tali? E allora si educherebbero, come infatti fanno, alla perpetuazione del sistema, alla cultura escludente, dominante e competitiva, mercantile e gerarchica, si educherebbero a tutto ciò che rende gli adulti presuntuosi e violenti tra loro stessi, e crederebbero che sia tutto normale e naturale, e che soltanto l'intervento dell'educazione (ancora!) possa risolvere i problemi (dovuti all'educazione!).
Cambiare cultura significa in sostanza fare in modo che i bambini non vengano contaminati dalla cultura dominante, lasciare che la loro istruzione naturale prosegua il suo cammino senza alcun intervento esterno che non sia esplicitamente richiesto dal bambino o che non serva a garantirgli l'incolumità fisica. Le informazioni contenute nel seme hanno diritto di tutela. Se questo fa paura, e so che lo fa, io inviterei a riflettere sulla paura che può fare piuttosto la nostra cultura di guerre e genocidi inimmaginabili. Fanno più paura i bambini lasciati liberi o gli adulti organizzati in partiti e milizie laiche e/o religiose? Fanno più paura tanti individui unici e creativi oppure una massa di gente che non sa immaginarsi una vita senza guinzaglio? Fa più paura un bambino che guarda curioso e sorridente altri bambini a lui sconosciuti, o un adulto che sgancia una bomba atomica obbedendo a un ordine altrui? Pensiamo davvero che un bambino libero, curioso, gioioso, e senza sovrastrutture culturali come le nostre diventi un essere violento e frustrato come noi? Attenzione, perché a questa domanda la cultura dominante vuole che si dia una risposta univoca e sempre falsa, e cioè quella che recita così: 'io vedo che l'essere umano è cattivo, quindi credo che egli nasca già in questo modo' (tipico ragionamento fallace del cosiddetto 'uomo a una dimensione' di cui ci ha parlato Herbert Marcuse). Ma l'essere umano non nasce né buono e né cattivo, egli nasce con la potenzialità di fare del male (e occorrerebbe specificare ma non adesso), ma anche del bene, a seconda, poiché la maggiore o minore quantità di bene o di male che l'Uomo può generare, scriveva Fromm, dipende esclusivamente dal tipo di cultura che egli  acquisirà e con la quale costruirà il suo contesto. Un contesto autoritario e competitivo come il nostro non può che generare un individuo altrettanto violento e autoritario. Viceversa, un contesto non competitivo, non gerarchico, includente, libertario, non può che generare un individuo aperto, autodeterminato e solidale. Inutile quindi domandarsi che tipo di contesto costruirebbero autonomamente i bambini, domani, quando saranno adulti, senza imporre loro, oggi, le nostre divisioni e classificazioni, senza i nostri dogmi e credenze, senza la nostra cultura estremamente escludente e competitiva. Quando osservo i bambini piccoli che interagiscono liberamente tra loro, io vedo il mondo che gli adulti auspicano e che in verità avevano già vissuto in quel loro passato felice che però, purtroppo, in pochi conoscono.

Il nostro tipo di società è il prodotto della scolarizzazione di massa

Qualcuno si salva dalla scuola, certo, e meno male! Sono di solito quelli che all'inizio vengono presi per pazzi o diversi o pericolosi, e poi forse, magari dopo anni o secoli, vengono riconosciuti come geni. Forse, non sempre, non è detto. Ma la maggioranza no, non si salva dalla scuola, purtroppo. Mi guardo intorno, guardo anche ai cambiamenti storici, e vedo con amarezza e disgusto il prodotto della scolarizzazione obbligatoria di massa. Non posso esserne contento. Nessuno può esserne contento, salvo le classi dirigenti che vogliono tutto questo, che vogliono più competizione, più addestramento, più servi felici di esserlo, sempre più desiderosi di entrare a far parte del sistema e della produzione, cittadini sempre più cattivi con i deboli e acquiescenti con i forti. E la cosa peggiore di tutte è che uno di questi prodotti della scolarizzazione è la devozione religiosa, dogmatica, nei confronti della scolarizzazione stessa. E' un circolo vizioso, o viziato: più la società è autoritaria e le persone disumanizzate, e più queste credono che ci voglia ancora più scuola (riformata come si vuole, ma più scuola, sempre scuola, comunque scuola); e così, mentre la società viene scolarizzata sempre di più, questa stessa società diventa sempre più autoritaria e funzionale al sistema. E' un dato di fatto. 
Poi possiamo anche rifugiarci vigliaccamente nella bella retorica o nella demagogia, quanti bei 'bla bla' ho ascoltato dai retori difensori della scuola, ma quel che siamo oggi è soltanto il frutto della scolarizzazione, non lo si può nascondere. Chi pensa che per salvare la società ci voglia più scuola o più soldi dati alla scuola, chi pensa che occorra riformare le istituzioni, non ha capito qual è il vero obiettivo della scuola, né ha ben chiaro che cosa sia la scuola, nonostante la società da questa prodotta sia ben visibile, oppure (peggio) siamo di fronte a un tipo di individuo che della scuola ne difende il dogma a prescindere, in quanto devoto acritico di questa sorta di chiesa, una chiesa vera che ha vere e proprie liturgie e sacerdoti e obiettivi illusori di salvazione (e altri obiettivi veri, nefasti, ma nascosti, non dichiarati, ma alcune volte sì). E questi devoti sono la maggioranza, sono il prodotto stesso della scuola, sono quelli che non sanno più immaginarsi una vita senza padroni, senza governi, senza scuole, senza gli altri tipi di carceri, senza qualcuno che dall'alto punisca e premi, senza libertà. E' tutto molto triste e tragico al contempo.

'Descolarizzare la società' di Ivan Illich (leggilo sul sito stesso o scaricalo gratis)

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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