E' la scuola stessa che crea le condizioni per il bullismo, un bullismo che si concretizza sia dentro che fuori la scuola, purtroppo. Allargando il campo visivo e d'azione, è la struttura sociale in cui cresciamo fisicamente e culturalmente ad essere responsabile dei fenomeni conflittuali tra le persone. Come ha scritto molto bene Johan Galtung, (wikipedia) la violenza che noi vediamo e denunciamo, quella diretta, non è altro che un effetto, per la precisione l'effetto generato da altri due tipi di violenze connesse tra loro, quella strutturale e quella culturale, che ne sono la causa prima. Come il fondo sommerso di un iceberg, la violenza strutturale e quella culturale lavorano al di sotto del piano visibile, ma sono violenze enormi e potentissime, e prima o poi sfociano necessariamente nella violenza diretta: la punta in superficie.
Quando noi denunciamo la violenza visibile, ignoriamo puntualmente che, se vogliamo eliminarla, dobbiamo agire su ciò che la genera, su ciò che non si vede con gli occhi, cioè sul tipo di struttura della società e sul tipo di cultura che ne permette la sua realizzazione e perpetuazione. Perciò ho esordito brutalmente dicendo che è la scuola stessa che genera le condizioni necessarie per l'emersione del bullismo, sia dentro che fuori la scuola.
Un esempio concreto che ho vissuto e che tempo fa ho riportato in questo blog, è quello di una ragazzina del primo anno di scuola media (11 anni) che è stata vittima di bullismo nei bagni della scuola durante la ricreazione. E la causa è stata la scuola stessa, la sua struttura organizzativa, la cultura che la sostiene, la difende, la perpetua.
Ripercorro l'episodio. A quel tempo, in quella scuola media, la dirigente e il Collegio dei docenti avevano stabilito delle norme anche per regolamentare l'intervallo e le relative uscite in bagno. Nello specifico, dato che l'intervallo durava 15 minuti, la dirigente aveva pensato di far andare in bagno le classi prime nei primi 5 minuti, le classi seconde nei seguenti 5 minuti, e le classi terze negli ultimi 5 minuti, in modo tale che gli studenti di classi diverse non avessero la possibilità di incontrarsi, neppure durante la ricreazione! Naturalmente la motivazione faceva leva sulla ormai trita 'sicurezza' (la dirigente voleva evitare che i più piccoli imparassero dai più grandi 'cose sconvenienti', alla faccia della scuola che pretenderebbe di agevolare la socializzazione delle persone), e davanti alla quale tutti sono disposti a vendersi anche l'anima e la libertà. Oh, la sicurezza, ad averla davvero però! Ma cosa ha generato, invece, questa modifica strutturale dell'organizzazione comunitaria apparentemente fatta a favore di una maggiore pacificazione e tutela della comunità? Vediamolo.
Erano gli ultimi 5 minuti di ricreazione, quelli in cui soltanto gli alunni di terza potevano andare in bagno. Ma siccome una ragazzina di primo anno stava evidentemente molto male e accusava la necessità urgentissima di andare in bagno, è dovuta andare, è andata, ma, anziché trovare in bagno dei compagni e delle compagne indifferenti e/o serene, come è sempre avvenuto nella situazione 'ante-nuova norma', si è vista accusare e insultare da vari ragazzi e ragazze che, in forza alla norma che dava loro l'esclusiva del bagno, l'hanno aggredita in modo brutale urlandole un faccia che quelli erano i loro 5 minuti, che le regole vanno rispettate, che non doveva più permettersi di rubare il tempo a quelli più grandi, ecc.
Allora, è o non è la scuola quel tipo di struttura comunitaria che genera da sé il bullismo? E che cosa è la scuola se non un apparato fatto di norme e coercizioni che, col pretesto della sicurezza (quando non addirittura della libertà - sic!), creano le condizioni per dividere le persone, classificarle, e farle confliggere tra loro? Non è forse la scuola il modello preciso per la nostra società voluta in questo modo dalle forze finanziarie del Capitale (di Stato e non di Stato)? Una società violenta e quindi disciplinare, come la chiamava Michel Foucault, dal cui modello sono state concepite le moderne prigioni, una società disciplinare che produce scuole sempre più disciplinari e violente in nuce, violente a livello strutturale, nascosto, sommerso, invisibile se non nei loro effetti.
Ecco dunque che la violenza intrinseca della scuola e della società, la violenza strutturale (gerarchia, divisione, classificazioni, norme coercitive disciplinari, punizioni e premi), viene ad associarsi alla violenza culturale (conoscenza dell'unica maniera gerarchica di concepire la società per poterla preservare e replicare, nonché addestramento all'obbedienza e alla lotta tra compagni come unico modo di immaginare la vita sociale) per far emergere la violenza diretta, percepibile, cruenta, quella che noi denunciamo, accusando 'il colpevole', senza badare a ciò che l'ha prodotta. Ma come possiamo badare alla violenza strutturale e a quella culturale, come possiamo persino eliminarle, se proprio queste violenze sono quelle istituzionali, legali, in cui la maggioranza crede ciecamente e difende persino? Bisogna proprio essere degli anarchici per volere una società in cui si combatte la causa della violenza diretta, cioè una società senza governi e gerarchie, senza servi e padroni, senza confini e dogmi anche educativi. Non è certo la scuola che crea una società di pace e di libertà, fa tutt'altro, come vediamo, purtroppo. E questo che ho scritto è solo un esempio tra i troppi, ma vale come esempio di un paradigma da abbattere. Non da modificare o riformare, ma da abbattere.
Il triangolo della violenza di Johan Galtung