Una citazione al giorno

Una citazione al giorno -
Data Rivoluzionaria

E allora noi andiamo fuori dalla scuola!

Jackson Pollock
Oggi in classe si parlava del valore dell'azione, che è un valore altissimo quando nasce da una propria volontà e non invece da un ordine calato dall'alto e vissuto come obbligo. Quindi è emerso anche il concetto di spontaneità, intimamente legato a quello dell'autonomia, ma anche della vita, poiché l'azione spontanea rende vivi gli individui, autodeterminati.
E' stato facile fare incuriosire i ragazzi in merito all'action painting di Jackson Pollock. Avevo lanciato lì la definizione, action painting, sapendo che i ragazzi si sarebbero incuriositi, infatti ne hanno voluto sapere di più. Così ho mostrato loro delle immagini, spiegando al contempo tutto ciò che il 'dripping' rappresenta in arte e non soltanto in arte. L'azione, il gesto, la spontaneità, l'hic et nunc, la determinazione, l'autoaffermazione... sono espressioni e intenzioni strettamente legate all'individuo libero, sano, responsabile, dinamico. Valori che l'anarchia vive ed esorta a vivere, previa autoliberazione dai muri mentali. Facile per i bambini. Tremendamente difficile per gli adulti rinchiusi come sono negli schemi mentali acquisiti anche a scuola.
Potevano i ragazzi, a quel punto, non chiedere di realizzare anche loro opere in action painting? E infatti, con gli occhietti tutti accesi, l'hanno chiesto. Ma l'entusiasmo è durato poco, si sono subito resi conto che per realizzare opere gestuali dal carattere così libero bisogna avere spazi altrettanto liberi. Hanno colto nel segno, perché per 'spazi liberi' i ragazzi intendono svincolati dalle regole soffocanti della scuola, spazi di autogestione dove la libertà di espressione non incontra ostacoli, né paure, né campanelle. Molto bene, abbiamo deciso di realizzare le nostre opere fuori dalla scuola, quest'estate, e ci divertiremo tantissimo, senza voti, senza registri, senza campanelle, senza divieti, senza paure e ricatti, senza aule-cella, e con molto gelato. I ragazzi stanno già dandosi da fare per trovare vecchie lenzuola. Per noi -è deciso- la vera scuola è oltre la scuola, non può che essere così, e se poi ce ne sarà l'occasione faremo anche una mostra delle opere in piazza: palo della luce - filo teso - palo della luce. Stop. Ma il nostro scopo non è tanto la mostra, è piuttosto giocare, sperimentare, divertirci, quindi imparare davvero.
Il colore come esperienza? Certo. Dato che il colore ha un potere evocativo, non ha alcun bisogno di linee descrittive che stabiliscono i profili di forme reali e conosciute. Perciò abbiamo parlato anche di Mark Rothko, nelle cui opere bisogna tuffarsi per vivere l'esperienza del colore, sia esso percepito come luce oppure come materia, in ogni caso come mezzo emotivo. Forse alcuni ragazzi, quest'estate, si ispireranno anche ai concetti di Rothko e produrranno tele enormi, oppure realizzaranno quello che vorranno, non lo so, rimane però il fatto che il processo educativo, quello autentico e utile alla persona, avviene soltanto nel rapporto paritario tra tutti e in un contesto libero che fa da humus all'apprendimento: nulla a che vedere con la scuola-prigione tradizionale.

Un'opera di Mark Rothko

Libero gioco, libero contesto, liberi educatori. Necessità vietate dalla scuola

Stamattina mi sono ritrovato fra le mani questo disegno. Era rimasto nella tasca di un mio giubbino estivo. Il disegno è di Giulia, lo aveva realizzato all'inizio dell'anno e me lo aveva regalato. Ne ricevo in dono parecchi, ho dei raccoglitori pieni di disegni, dediche, poesie, pensieri... anche io regalo disegni e pensieri ai ragazzi. Certe volte mi trovo a scrivere un pensiero sul diario di qualcuno, e allora anche gli altri mi portano il loro diario aperto su una pagina bianca. Praticamente giochiamo, nel senso più serio del termine, cioè -come si direbbe oggi- ci interfacciamo liberi da ogni obbligo o dovere, liberi dai pregiudizi, sovvertiamo le regole, creiamo le nostre, ci scambiamo informazioni stabilendo tacitamente una delle tante modalità per farlo, quella del regalarci biglietti e disegni, ma anche azioni.
Se solo potessimo, i ragazzi ed io non faremmo altro tutto il tempo: giocare. Ma esattamente come la libertà, anche il gioco viene considerato da questo tipo di società un'espressione umana inutile, addirittura dannosa, sicuramente un'attività indegna per un adulto serio con la testa sulle spalle. E infatti le persone dicono che è più importante il dovere, lo studio, la disciplina. Ok, ma quale tipo di dovere? Quale tipo di studio? Quale di disciplina? Quelle persone non sanno che stanno ripetendo a pappagallo una retorica militare, perché per un bambino, ma anche per l'adulto,  il vero dovere, quello che la natura gli ordina, è proprio il gioco, che è una disciplina, anzi meglio, un'autodisciplina istintiva che attiva tutti i sensi, li apre completamente all'ambiente, e conduce ogni individuo all'apprendimento spontaneo. Si imparano molte più cose con il gioco, perché si è spinti dalla propria curiosità, ma la società non vuole persone colte, vuole produttori-consumatori, replicanti che si tramandano sempre gli stessi modelli e le stesse conoscenze, acquisite peraltro noiosamente, in un circuito obbligato standardizzato che soffoca e limita il naturale dinamismo della mente, spegne tutti gli entusiasmi intellettivi, fino a far rifiutare a priori l'idea stessa di apprendimento, divenuto sinonimo di coercizione.
L'esempio del gioco come strumento naturale di apprendimento è alla base di una sana educazione, e il gioco non può che svolgersi in un contesto libero, cosa che la scuola nega a priori. Ma qualcosa si può fare anche nelle aule-celle. Qui di seguito ecco un esempio, lo trascrivo prendendolo da un mio post pubblicato qualche giorno fa su facebook: 

Educere.
Osservavo da tempo una ragazza in classe, i suoi disegni, i suoi modi di porsi con gli altri, le espressioni. Le avevo detto di portare una trousse di trucchi. L'ha portata. L'ho truccata. Ragazza punk. Si è divertita, pure la classe. 'Ma perché non studiate anziché pensare a divertirvi'? - direbbe qualcuno. Già, perché? Ci sono cose che si legano come in una catena di piacevolezze, compreso il buon apprendimento che muove dalla spontanea curiosità. Ora Miriana, incuriosita e divertita da quella volta, è più interessata all'arte in generale, mi chiede libri, discutiamo, e c'è sempre un gruppetto intorno che ci ascolta. L'altro giorno Miriana mi ha rivelato che sta facendo una ricerca sull'internazionale situazionista. Ha dodici anni. Ecco perché pensiamo a divertirci.

Ma se il gioco può avvenire anche in un contesto alienante come un'aula scolastica, il buon apprendimento non può invece prescindere da una totalità di persone altrettanto libere che giocano insieme. Che cosa voglio dire? Se io quel giorno in cui ho truccato Miriana fossi stato 'un bravo insegnante', cioè rispettoso del regolamento, osservante dei divieti imposti, ligio al (loro militare) 'senso del dovere', non ci sarebbe stato né il gioco, né tutto ciò che ne è conseguito. Se fossi stato 'un bravo insegnante' avrei detto a Miriana: 'non è tempo di giocare, e neanche il luogo, piuttosto apri il libro e studia quel che ti ho detto di studiare' (nota: anche l'Internazionale situazionista non viene contemplata dai libri della società dei replicanti). Ma io non sono un bravo insegnante, non voglio esserlo, cerco semmai di educere. E se esiste una morale in tutto questo, devo ancora una volta affermare che non può esistere un'educazione libertaria senza educatori libertari, coscienti di esserlo, e praticanti.

Questione di scelta

L'incidenza effettiva di una pedagogia umana nella scuola tradizionale è visibile soprattutto nei primi mesi del primo anno -questo per quanto mi riguarda e nonostante il fatto che i ragazzini vengano dalle lementari già abituati ad obbedire come cagnolini- perché ho solo due ore alla settimana per ogni classe, e là dove lavoro sono l'unico educatore che educe. Prevale così il metodo tradizionale autoritario. Però i semi sono nella terra, e in questi anni ho avuto modo di assistere alla nascita di vari germogli. Nonostante.
Ad esempio, al secondo anno delle medie (12 anni) molti ragazzi hanno già riassimilato l'autoritarismo e l'asservimento, e questi comportamenti si manifestano anche nei loro automatismi che io osservo e che non manco di far semplicemente notare, eppure, in certe seconde o terze classi, resiste con orgoglio da parte dei ragazzi la voglia di mantenere alto il senso di autonomia e di dignità; ci sono gruppi che continuano a non volere voti o, piuttosto, a considerarli un pro-forma amministrativo. E vedo anche gruppi che continuano a voler imparare in modo pratico: costruiscono, manipolano, inventano, senza alcuna imposizione da parte mia, trovano mille soluzioni ai loro problemi. Ne escono sempre fuori.
Ecco, là dove lavoro, io vivo queste situazioni agli antipodi, le osservo, le annoto. Registro di continuo il fatto che una struttura sistemica fa di tutto per incanalare tutti nei bui meandri della sua struttura. Gioco-forza. Ma basta un seme, bastano due ore settimanali, a volte 5 minuti, basta la scelta di una persona perché la struttura ceda e riconsegni -a chi vuol prenderle- le chiavi della cella per raggiungere la propria libertà e dignità.

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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