Una citazione al giorno

Una citazione al giorno -
Data Rivoluzionaria

Lessico e gerarchizzazione

Ignorante: non è il contrario di intelligente.
Intelligenza: è la proprietà funzionale di ogni cervello. L'intelligenza esiste perché esistono dei neuroni che trasmettono segnali elettrici ad altri neuroni. Può variare la modalità si trasmissione/ricezione e la codifica/decodifica dei segnali (come nel caso dei daltonici, ad esempio), ma questo è un altro discorso e non attiene minimamente alla funzione intellettiva.
Ignoranza: non conoscenza. Ma non conoscenza di cosa? Non esiste un'ignoranza assoluta, né una conoscenza assoluta. Nessuno può arrogarsi il diritto di definire 'ignorante' qualcun altro, accusandolo per questo. Nessuno può stabilire quali cose bisogna conoscere per essere definiti non ignoranti. Ognuno sa, semplicemente perché vive e, vivendo, facendo esperienze, impara. Più sono le esperienze, più sono varie, libere e incidentali, più si impara. Conoscere, come apprendere, è un meccanismo naturale, innato, biologico, spontaneo. Per molti secoli, ed è ancora così in una certa misura, la Chiesa prima, ed oggi l'Establishment capitalista, hanno decretato una gerarchia tra le persone in base a quello che queste conoscevano. Nel Medioevo, e ancora nel Rinascimento e oltre, se le persone conoscevano i precetti della Chiesa e studiavano sui testi imposti dal clero, erano definite 'virtuose' e venivano poste al vertice di una ignobile gerarchia sociale, dove, secondo i vescovi, risiedeva l'Homo Studiosus, appunto l'intelligente, colui che sente, che vive, che è. Chi invece non seguiva i precetti della Chiesa e non era utile alla causa del sistema, veniva paragonato a certi animali (a partire dal cavallo e via via verso quelli sempre meno utili all'Uomo), poi più giù alle piante, e infine persino alle pietre (gli improduttivi, gli accidiosi, i non funzionali), che semplicemente sono, ma non vivono, non sentono, non intelligono.
Una simile classificazione, come l'ha perfettamente illustrata Charles de Bovelles nel disegno che vedete qui, non è altro che il frutto di un arbitrio autoritario perfettamente funzionale al sistema. Purtroppo questo pregiudizio fondato sulla menzogna e l'opportunismo sopravvive ancora oggi ed è molto duro a morire. Si basa sull'idea malsana secondo cui chi non studia sui testi imposti dal sistema scolastico è classificato come 'ignorante', ergo come un indegno meritevole di accuse varie, emarginazione e punizione. La nostra cultura è pericolosa, la nostra morale è falsa, le nostre agenzie educative funzionali alla perpetuazione di questa condizione. Liberiamo almeno i bambini da noi!

La scuola tritatutto

La scuola, in quanto scuola, è un dispositivo autoritario, violento e incredibilmente menzognero. I meccanismi organici di cui si compone e attraverso i quali garantisce la sua perpetuazione possono anche infischiarsene di ciò che si dice in classe, questi meccanismi fanno in ogni caso il lavoro per cui sono stati progettati. E lo fanno benissimo, infallibilmente, da che scuola è scuola, riforma dopo riforma. Il dispositivo procede quindi nella sua direzione e raggiunge tutti i suoi obiettivi a prescindere da quel che un docente, ancorché animato dei più bei propositi, ripete e fa ripetere ai suoi allievi. Quello che imparano veramente gli allievi, in una scuola, è un sistema di comando, come ha ben evidenziato Gilles Deleuze.
Un intero corpo docente di una scuola potrebbe occupare tutte le ore di lezione, di tutto l'anno e di tutti gli anni dell'obbligo formativo, recitando e facendo recitare decaloghi moralizzanti, raccontando storie di rivoluzione, elogiando la libertà e la creatività, vituperando le autorità ed il sistema corrotto e corruttore, parlando di come sia ingiusto lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, esortando al rispetto dell'ambiente e di ogni essere vivente, invitando ad essere buoni, onesti, altruisti, solidali, ma anche combattivi e disubbidienti per difendere i propri diritti, eccetera, ma il risultato finale sarebbe sempre lo stesso in termini di (dis)valori acquisiti: si avrà sempre un bravo cittadino massificato e autoritario, conformista e ubbidiente, rassegnato e deresponsabilizzato, forte con i deboli e debole con i forti. Questo perché in campo educativo la teoria non ha mai la forza necessaria per vincere sulla pratica, è sempre quest'ultima ad avere la meglio. Si sa: si impara con l'esperienza diretta molto meglio che con le parole. E la pratica di una scuola è fatta di azioni tutte autoritarie e menzognere, a cominciare dal concetto di obbligatorietà, un concetto mistificato dalla parola 'offerta'. Che beffa!
Il dispositivo autoritario scolastico si compone di strategie, di metodologie, di ricerche unidirezionali, di azioni e percorsi obbligati da fare (e da far fare), di impostazioni gerarchizzanti, addestranti, di integrazioni forzate al sistema, di progettazioni, classificazioni e valutazioni obbligatorie, di una sorveglianza continua, di rapporti sempre asimmetrici, di tutta una serie di obblighi e ricatti che non permettono ad alcuna bella parola di forare il gigantesco muro della pratica educante. La scuola è un tritatutto, si salvano davvero in pochi, prova ne è il tipo di società in cui 'viviamo' che è figlia della scolarizzazione e dell'insegnamento di tutta la società già scolarizzata e adultocratica.
Questo quadro della situazione è stato già messo in evidenza nella critica alla scuola, una critica non certo recente. Gustavo Esteva per esempio ha, secondo me, riassunto bene in poche frasi il concetto di una scuola che è, nei fatti, un problema proprio in quanto scuola: '...Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'. Queste parole sono tratte dal suo libro 'Senza insegnanti, descolarizzare il mondo' Asterios Editore.
Come dico spesso, non sono i docenti che fanno la scuola, ma è la scuola che fa i docenti, che essi lo vogliano o no. E' la scuola che plasma e annienta, lo fa con i suoi meccanismi, con i suoi passaggi obbligati, con le sue pratiche quotidiane, con tutto ciò che viene ormai considerato pericolosamente una necessità e un'opportunità. Un disastro! E non c'è bella predica che possa resistergli, purtroppo!

Grazie


Oggi vorrei ringraziare delle persone: tutti quelli che inviano messaggi di stima ad indirizzo mio e di questo blog che, come sapete, sin dal 2011, offre a tantissime persone ogni giorno dei motivi di riflessione sulla pedagogia libertaria e non solo su quella. In primo luogo, nello specifico, vorrei salutare e ringraziare tutti gli studenti universitari che, ispirati da questo blog e dai materiali qui inseriti, hanno preparato le loro Tesi di Laurea, discutendole con successo nelle varie Facoltà. Congratulazioni! 
Ringrazio naturalmente tutti quelli che mi seguono fin dal primo giorno, qui in rete, i sostenitori morali, i curiosi, gli affaccendati e gli sfaccendati che hanno voluto darmi la loro testimonianza di affetto; le vostre email le trovo sempre molto pertinenti e gentili.
Ringrazio i docenti che mi scrivono da ogni angolo d'Italia per farmi sapere quanto questo blog sia importante per loro, per la loro professione, per le loro riflessioni, per il loro essere. Grazie davvero. Ringrazio anche i colleghi e le colleghe che mi seguono dall'estero, in particolare la fenomenale coppia formata da Kate e Linda, con le quali rimane sempre valido un bel progetto di collaborazione.
Ringrazio chi si occupa in maniera onesta e seria di pedagogia libertaria, lavorando quasi nell'ombra da molti anni su questo tema con grande umiltà e competenza, scambiando con me 'pensieri e parole' che mi hanno arricchito, ed anche aiutato, due persone in particolare: Filippo Trasatti e David Gribble. Vi abbraccio.
Ringrazio tutti i lettori, le lettrici di questo blog, tutti quelli che seguono i post anche su Facebook, e mi inviano messaggi di complicità. Grazie a quelli che dovrò ancora incontrare e che si aggiungeranno ai lettori attuali.
E voglio lasciare per ultimi loro, che ultimi però non sono: i bambini e le bambine delle scuole medie, i ragazzi e le ragazze dei licei, tutte persone magnifiche con le quali condivido parte del mio tempo vivo, e che ogni tanto mi mandano anche via email le loro belle parole, disegni, barzellette e risate. A loro unisco anche gli ex alunni, ormai adulti, che mi salutano sempre entusiasti dopo tanti anni. Rimanete tutti unici ed uniche! 
E' un grazie sincero, dato col cuore. 
Continuo.
Edmondo De Gallis.

La scuola risponde solo alle esigenze del mercato

Per quale motivo anche i governi più reazionari, fascisti e conservatori, necessitano della scuola, della sua azione 'educante'? Già all'inizio del Novecento ci si interrogava su questo, e  l'interrogativo faceva vacillare molte convinzioni dure a morire. Le risposte furono date già allora con forza piena, scomoda, dirompente. Una di queste venne dal filosofo e pedagogista Giovanni Cesca, il quale, tra le altre cose, ebbe a dire:
'L'Educazione è ritenuta da tutti come il mezzo migliore per far trionfare le proprie idee e tendenze, e perciò le classi sociali, i diversi partiti politici, le chiese e le sette religiose, le scuole scientifiche e sociali, che sono in armonia con queste'. 
A fianco a lui, in questo dato evidente, è il grande Francisco Ferrer Guàrdia
'è passato il tempo nel quale i governi si opponevano alla diffusione dell'istruzione in cui cercavano di limitare l'educazione delle masse. Questa tattica era loro possibile un tempo [...] Ma i tempi sono cambiati. I progressi della scienza e le scoperte di ogni specie hanno rivoluzionato le condizioni di lavoro e della produzione. Non è più possibile ora che il popolo resti ignorante; bisogna ch'esso sia istruito perché la situazione economica di un paese si conservi e progredisca di fronte alla concorrenza universale. Allora i governi hanno voluto l'istruzione, un ordinamento sempre più completo della scuola, non perché sperassero dalla educazione il rinnovamento della società, ma perché avevan bisogno d'individui, di operai, di strumenti da lavoro più perfezionati per far prosperare le imprese industriali e i capitali impiegativi. E si son visti i governi più reazionari seguire questo movimento...'.
Ma non dobbiamo cadere in errore e pensare che le risposte ci arrivino solo dall'alba del Novecento. William Godwin, in epoca illuminista, è il primo filosofo, da quanto ci perviene, a metter mano ad una critica strutturata della scuola, a ragion veduta. In tempi recenti, altri pensatori, filosofi, pedagogisti, sociologi, hanno affrontato l'argomento e dato la medesima risposta, fino a giungere ai contemporanei John Holt, Paul Goodman, Ivan Illich, Colin Ward, Joel Spring, Marcello Bernardi, ecc. Come dice Colin Ward all'inizio del capitolo 'Descolarizzazione', 'Perpetuare questa società è, in definitiva, la vera funzione sociale della scuola'. 
Chi dunque crede di poter cambiare questa società per mezzo della scuola è, nel migliore dei casi, un illuso.

Alternative alla scuola.

Farla finita con questo e con quel che ne consegue!
Una premessa fondamentale:
Non mi soffermerò ancora, adesso, sui motivi per cui è necessario descolarizzare la società, penso che nel corso di tutti questi anni di mia presenza in rete e spiegazioni, e proposte di lettura, soprattutto in questo blog, le persone più attente al problema abbiano già da tempo capito la grande importanza e urgenza della descolarizzazione, persino a prescindere dalle eventuali alternative da proporre. Come dire: è più urgente toglierci dal rogo che pensare alle alternative mentre intanto ci arrostiamo. O no? Ma...


...Ma per quelli che continuano a chiedere (e non a chiedersi) quali possano essere le alternative alla scuola, facendolo palesemente in modo provocatorio e sterile nel 99% dei casi, o perché la scuola gli ha cancellato l'immaginazione e la creatività, trascriverò di seguito un progetto tratto da un testo che riassume le idee di Ivan Illich relative a questo tema. Almeno due punti, però, bisogna anzitutto tenerli sempre presenti, altrimenti non si andrà da nessuna parte:
  1. In termini di obiettivi intemedi e finali, di formazione morale-culturale, di metodologie, di gerarchizzazione, di strumenti di addestramento, e di risultati ottenuti, non esiste alcuna differenza tra scuola pubblica e privata. In questa società, a meno di essere dei veri ribelli con tutto ciò che questo comporta, ogni tipo di agenzia educativa (e non solo) è sottoposta al controllo e alla vidimazione dello Stato, comprese, in una misura relativa, le scuole libertarie.
  2. La scuola non è l'unico luogo in cui una persona può imparare. Sembra una banalità, ma troppo spesso nelle parole proferite dalle persone emerge questa assurda convinzione. Inoltre vorrei evidenziare che la scuola non è una creazione divina, e non crea conoscenza: ripete e fa ripetere dei concetti e delle nozioni, peraltro funzionali solo al sistema.

Un progetto:
Come già detto, mi rifaccio al grande pedagogista Ivan Illich, autore del famoso libro 'Descolarizzare la società', il quale pensava anche alla creazione di una rete di strutture educative aperte, libere, una rete organizzata in quattro servizi fondamentali:
  1. Negozi e ambienti appositi per l'apprendimento formale (dalle biblioteche ai laboratori, alle macchine per insegnare, a sale-spettacolo, a circuiti televisivi), affiancati da strutture sociali (botteghe, laboratori, aziende, gruppi...) dove è invece possibile apprendere direttamente tramite l'esperienza.
  2. Iniziative di raccordo per mettere in contatto chi insegna e chi desidera imparare, anche per poter effettuare scambi di competenze.
  3. Socializzazione libera, mediante la formazione di gruppi riuniti intorno a un interesse comune.
  4. Creazione di un 'annuario degli educatori', cioè un elenco di individui disposti a insegnare, in modo che chi ritiene di aver bisogno di una di queste figure possa mettersi in contatto con essa e avvalersi delle sue prestazioni.
Questo progetto implica la possibilità che gli individui scelgano liberamente come, quando e in che misura fruire delle diverse offerte educative, e che la società si trasformi, per diventare sempre di più un luogo di contatto, di confronto e di scambio alla pari, all'insegna di quella 'convivialità' di cui Illich ha scritto parecchio e che ha come significato profondo la costruzione di una società libera, attiva, fatta di individualità e non più di masse uniformate e conformate.
Un esempio concreto e già attuato si trova in Messico, nello Stato di Oaxaca. Si chiama Unitierra (Universidad de la Tierra), che è una realtà fondata da Gustavo Esteva, amico di Ivan Illich, e al cui interno convergono conoscenze e culture tra le più svariate. Una ricchezza immensa. Ma nel mondo ci sono e ci sono stati altri progetti del genere, o per lo meno degli embrioni di questo pensiero di formazione alternativa, ad esempio le esperienze fatte da Sébastien Faure e i bambini di La Ruche, nei primi anni del Novecento, in Francia. Si tratta adesso di allargare queste esperienze il più possibile, metterle in relazione collaborativa tra loro, renderle di tutti, per tutti. Nella noia, nella coercizione e nella paura non si impara mai nulla veramente, con gioia, ma si ammaestra.
Va da sé che il progetto esposto non è che uno soltanto, altri se ne possono aggiungere, purché non siano o non diventino scuole o luoghi di reclusione coatta, e naturalmente questo stesso progetto si pone come canovaccio e giammai come modello assoluto valido per tutti, ogni realtà sociale svilupperà incidentalmente il suo progetto, i suoi progetti, o darà più risalto a una parte di essi in base alle esigenze che si vengono a creare spontaneamente. 
So bene che qualsiasi tipo di alternativa alla scuola (non scuole alternative) venga proposta a coloro i quali tengono alla difesa dell'orrido esistente, sarà rifiutata a priori, per partito preso. Ma questo non è un blog per tutti, la libertà e il progresso sono materie che si affidano alle intelligenze consapevoli e alle coscienze non deformate dal feroce addestramento dottrinale scolastico. Perciò, adesso che ho risposto alle domande provocatorie del genere 'e le alternative quali sono?', si prega di evitare i 'sì, però...', perché alla fine si cade dal ridicolo al patetico. Evitatevelo.

Post correlato.

Quaderni a righe e a quadretti, il cittadino ubbidiente passa anche da lì.

Sui quaderni di scuola elementare - parliamo dunque di bambini piccoli - le righe e i quadretti non sono stati messi lì a caso, non servono affatto a far 'scrivere bene'. Se volete saperne di più, vi riassumo la questione d'appresso. Inizio da una citazione fondamentale del filosofo Gilles Deleuze:

Gilles Deleuze
'Se fossimo portati a dire che il linguaggio è sempre stato un sistema dell'ordine e non dell'informazione - sono ordini che vi vengono dati, e non informazioni che vi vengono comunicate - avremmo l'impressione di dire qualcosa di evidente. Apriamo il notiziario alla televisione e cosa riceviamo? Non riceviamo in primo luogo delle informazioni, riceviamo degli ordini. E cosa avviene a scuola? E' ovvio! Quando la maestra riunisce i bambini non è per informarli dell'alfabeto, è per insegnare loro un sistema di ordini, un sistema di comando che permetterà e costringerà gli individui a formare degli enunciati conformi agli enunciati dominanti. La scuola serve soprattutto a questo'.
Quando Deleuze chiariva il concetto del 'sistema di comando' che vige nella scuola, si riferiva proprio al fatto che il linguaggio, quando lo si fa passare attraverso certi canali autoritari come la scuola o la tv, non ci dà immediatamente delle informazioni, ma ci dà principalmente degli ordini, ovvero un sistema di comando a cui ubbidire, un sistema che fa riprodurre lo stesso tipo di sistema a chi assorbe quel linguaggio e quei canali. Facciamo un esempio e prendiamo come canale la scuola. Scegliamo un obiettivo obbligato per questo contesto: insegnare al bambino a scrivere non uscendo fuori dalle righe imposte. Si dovrà notare anzitutto che l'obiettivo dichiarato non è semplicemente quello di insegnare a scrivere, che è ciò che ci si aspetta da qualsiasi pedagogo umano, ma imparare a farlo senza uscire dalle righe. Ed è questo che, alla fine, diventerà il vero obiettivo. Al di là di ciò, si tratta di una palese imposizione, di una coercizione che viene sempre mascherata, addolcita, lubrificata da una o più giustificazioni, la più quotata, in questo caso, è: 'il bambino deve imparare a scrivere in modo chiaro, altrimenti la sua scrittura non sarà leggibile e nessuno lo capirà' (chissà quali scuole hanno frequentato i medici). E attraverso questo genere di giustificazioni o pretesti si compie il trasferimento del sistema di comando dal docente al discente, che a sua volta imparerà a utilizzarlo e a vederlo come una cosa normale, quando a non vederlo addirittura. 
Ma nello specifico, che cosa succede a livello psicologico al bambino in piena fase evolutiva? Quando la maestra ordina all'allievo di non uscire fuori dalle righe, l'informazione passa in secondo piano rispetto alle conseguenze che l'allievo subirà se uscirà fuori dalle righe, se contravverrà alla norma imposta, se sovvertirà la regola. L'allievo sarà stato infatti informato a priori della ricompensa e della punizione che riceverà, a seconda se eseguirà bene o male l'ordine e, come i cani di Pavlov, imparerà anche questo sistema di conseguenze autoritarie finendo per ritenerle una cosa normale, un valido sistema pedagogico, quando invece è mero addestramento!
Qui ci sono già tutti gli elementi di una società fondata sull'autoritarismo (o gerarchia). C'è un capo (la maestra), c'è un ordine calato dall'alto (scrivi dentro le righe!), c'è una giustificazione di facciata che poggia su una falsa morale (se non impari a scrivere in modo chiaro nessuno ti capirà, e inoltre una brutta grafia non è elegante), c'è una conseguenza prestabilita da qualcuno (se scrivi bene ti premio, se scrivi male ti punisco), c'è la distruzione dell'autodeterminazione e dell'autostima dell'allievo (futuro cittadino, schiavo produttore ligio al dovere), il quale impara a obbedire all'ordine non perché egli sia davvero convinto che scrivere dentro le righe sia giusto, ma perché deve compiacere l'autorità (maestra, genitore) e anche perché sa che ci saranno sempre e comunque delle conseguenze: era stato informato preventivamente che sarebbe incorso nel pericolo della punizione o dell'adulazione premiale.
Come se non bastasse, tutto ciò porta l'allievo a competere con i suoi 'compagni' (che potenzialmente divengono nemici da combattere), perché nel frattempo avrà anche imparato che in questo genere di società, per poter sopravvivere, occorre rendersi superiore agli altri, sgominarli. Si perpetua così l'assetto gerarchico e divisivo-competitivo della società. Quale umanità! In questo caso specifico, la superiorità di colui che ha ricevuto un bel voto non deriva affatto dall'aver scritto convintamente bene, dritto e chiaro, ma dall'averlo fatto come ha voluto l'autorità. L'allievo, quindi, si sente superiore agli altri perché ha saputo obbedire bene all'ordine ricevuto, lo ha fatto meglio degli altri servi da eliminare. E' un servo superiore, insomma! Come dice Deleuze, la scuola serve soprattutto a questo.
Questo non è che un esempio, uno tra i troppi su cui è stata edificata la nostra società. Nulla viene lasciato al caso da parte dello Stato, neppure le righe dei quaderni!

P.S. Vorrei far notare che l'insegnamento acritico di questi ordini, che verranno a loro volta reinsegnati acriticamente, vengono appresi in modo sottaciuto, silente, strisciante, all'interno di una metadidattica. E' così che si imparano le cose, con il fare all'interno di una consuetudine, dove, mentre si fa una cosa, si apprende qualcos'altro, e in modo più profondo. Questo lo dico perché ancora in molti credono che l'insegnamento della pace, della fratellanza, ecc. passi attraverso la predica verbale. Non è così che funziona.

Scolasticamente ineccepibili

Ho poco da dire, in questo momento, ma lo ritengo importante, e volevo scriverlo da tempo. Sapete, nel corso degli anni ho conosciuto studenti apertamente fascisti. Questi studenti studiavano e ricevevano ottimi voti e complimenti dai miei colleghi, non erano stupidi, sapevano scrivere abbastanza bene, leggevano libri e giornali, usavano l'inglese quando occorreva farlo. Riguardo alla 'Storia patria', se faccio riferimento a certe classi del quinto anno di liceo, questi ragazzi erano preparatissimi proprio sul fascismo e il nazismo, conoscevano a menadito date e fatti, sapevano collegare questi fatti e contestualizzarli perfettamente. Un giorno qualcuno di loro tirò fuori lo smartphone e si formò subito un gruppetto attorno a lui, stavano guardando un filmato su Youtube e sorridevano con aria fiera e soddisfatta, stavano guardando e ascoltando un discorso di Mussolini. Di quel discorso conoscevano le parole, le cadenze, le pause, il riferimento preciso, il contenuto, l'anno e il giorno, il luogo... tutto! Questi studenti, normalmente, all'esame di Stato, brillano soprattutto se gli viene chiesto di parlare della Seconda guerra mondiale: quel capitolo lo conoscono benissimo, lo hanno studiato e ristudiato mille volte, con entusiasmo, con viva voglia di sapere.
Qualcuno, leggendo quello che ho appena scritto, forse avrà capito delle cose anche in merito alla funzione dei libri scolastici. Me lo auguro. Non voglio aggiungere altro.

Non scuole alternative, ma alternative alla scuola!

Nella scuola è tutto minuziosamente calcolato, programmato, verificato, pianificato, registrato. Lo sviluppo dell'ingegneria scolastica e della sorveglianza su di essa, negli ultimi decenni, è stata pari allo sviluppo tecnologico avvenuto in ambito aerospaziale. Nella scuola nulla è lasciato al caso, neppure un eventuale e raro caso, che perciò, essendo qualcosa fuori norma, viene malvisto. Anche il caso, a scuola, deve comunque essere 'modulizzato', inserito in un programma di osservazione e misurazione per un eventuale trasformazione in 'iter' o 'prassi', che in questo modo lo snatura inevitabilmente. Questo significa che decenni di studi e di ricerche hanno portato a compimento lo studio capillare e ossessivo del programma fatto sul programma. Si è giunti, cioè, com'è tristemente ovvio, a porre l'accento sul perfezionamento maniacale e burocratico del percorso
Ma nonostante questo evidente ultraperfezionismo, verificato in numerosi passaggi e pianificato in altrettante riforme e normative caduteci sulla testa, si continua ingenuamente a ripetere che la scuola non funziona, che occorre metter mano a questo e a quello. Ancora! Occorre dirlo forte: non è la scuola che non funziona! I suoi meccanismi e il suo percorso funzionano fin troppo bene! Per gli scopi per cui è stata progettata, la scuola è incredibilmente perfetta!
Ciò che non funziona è invece la comprensione, da parte della società, del fatto che l'emancipazione dall'oppressione e dalle ingiustizie non può passare attraverso programmi predeterminati, luoghi di coercizione e addestramento, burocratizzazione e mercificazione dei saperi (peraltro assai relativi, controllati e devitalizzati), programmazioni e sorveglianze, punizioni e ricompense, ecc. Non è la scuola la soluzione, ed è evidente che sia così! La scuola è un'azienda di costruzione sociale, di questa società, non di un'altra. Ciò di cui abbiamo bisogno, per una società diversa da questa, per un mondo giusto e umano, non è neppure una scuola alternativa, ma è un'alternativa alla scuola. Ci sono grandi idee che si possono pescare o ripescare a questo scopo. A mio giudizio, queste grandi idee, queste alternative alla scuola, sono state ben riassunte da Ivan Illich, e penso che un giorno le scriverò su questo blog, in modo tale da poter aiutare anche coloro i quali, deficitari di fantasia proprio perché perfettamente scolarizzati, si chiedono quale possano essere le soluzioni o le alternative alla scuola. Intanto il mio invito per costoro è quello di fare uno sforzo per cercare autonomamente di capire quali possano essere queste alternative capaci di far raggiungere l'obiettivo dell'apprendimento più autentico, più libero, grande e gioioso. Esistono. Non è difficile. E decisamente l'homeschooling non è fra queste!

Seguaci della società o di se stessi?

Potremmo fare una cortesia a noi stessi, all'umanità tutta, facendo una cosa molto semplice. Tutte le volte che ci scappa di dire 'bisogna educare i bambini a...', chiediamoci anzitutto se i bambini abbiano davvero bisogno di essere educati (p. es. al rispetto delle differenze, degli animali, dell'ambiente, ecc.) o se non sia necessario, invece, diseducarli da ciò che gli abbiamo già insegnato o, molto meglio, se siamo ancora in tempo, non iniziarli affatto a questa società. Il più delle volte, quando pensiamo di educare un bambino a dei princìpi che in realtà portava già con sé naturalmente e  spontaneamente prima di essere stato manomesso dagli adulti, lo stiamo esortando a diseducarsi, a ridiventare quel che era prima di diventare un seguace della morale autoritaria della società. Il bambino non naviga bene in questa contraddizione perenne, ne rimane scosso, ma non sa esplicarlo. Infatti... 
Da una parte gli si insegna a competere, dall'altra gli parliamo di fratellanza e di rispetto dell'altro; da una parte gli si insegna ad adattarsi a questa società capitalista, dall'altra gli diciamo di lottare contro le ingiustizie di questa società; da una parte gli si insegna che la proprietà privata è un valore positivo, dall'altra gli diciamo che deve imparare a condividere con gli altri. E così via, in un'infinità di esempi contraddittori. Bisogna semplicemente decidersi se insegnar loro ad essere funzionali a questa società (e la scuola lo fa benissimo, è fatta per quello), o se iniziare a smetterla di essere moralizzatori ed educatori di chi non ha alcun bisogno di morali e di educazione.
Se il mondo fosse l'espressione dei bambini, se fosse il risultato della loro morale pura e schietta, sarebbe sicuramente luogo meraviglioso per tutti.


Filo-anarchici


Di solito guardo con sospetto quelli che si definiscono 'filo-qualcosa'. Io credo che amare qualcosa o qualcuno non possa essere fatto a distanza, o anteponendo delle barriere, o delle riserve, o degli alibi vari per mantenere la distanza. Essere filo-qualcosa esprime sempre un timore a monte, di qualsiasi natura, o una ipocrisia di base. 
Non ha senso, ad esempio, dire di amare il proprio partner senza essere parte organica di quell'amore: o si è parte di quell'amore, altrimenti non si è, non è neppure amore. Allo stesso modo, in campo sociale, non ha senso dire di amare la libertà senza volerla amare nella sua espressione più alta e compiuta: l'anarchia. O si ama pienamente l'anarchia, tanto da identificarci totalmente in essa e diventare noi stessi espressioni di libertà, o si può essere soltanto dei filo-anarchici. 
Credo anche che, in merito alla libertà e al suo volerne prendere le distanze con qualsiasi pretesto, anche dicendo di essere 'filo-anarchici', Erich Fromm abbia centrato il problema ponendo la questione sul piano della paura, che è ormai di massa. Del resto, quante volte abbiamo appurato che è soltanto la paura che spinge il suddito, divenuto tale con l'educazione, a dire che la libertà è certamente bella, ma che necessita di governatori esterni per normarla, misurarla, reprimerla? Il che equivale al farsi normare con apposite leggi (morali e non) l'intensità e la durata del rapporto di coppia. Cosa che in questa società avviene, peraltro. 
Non c'è nemico della libertà più pericoloso di un suddito che crede sia giusto che qualcuno imbrigli la sua libertà e quella degli altri, spacciandosi al contempo per amante della libertà. Meglio non essere filo-qualcosa, specialmente quando si tratta di libertà, ma essere pienamente ciò che si ama, senza paura. Al bando l'ipocrisia!

Occupazione abusiva.

La vita dei giovani dovrebbe essere piena di passione, di amore, di gioco, di gioia, di stravaganza, di avventura, di fantasia, di rivoluzione e di invenzione. Invece, purtroppo, è solo piena di scuola.

'A mio figlio insegno a stare in questa società'.

Le persone non hanno difficoltà a credere che per cambiare il mondo si debba prima cambiare se stessi profondamente, e tuttavia fanno sempre finta di credere che insegnare ai bambini a diventare come loro conduca al cambiamento auspicato.

A scuola di discriminazione.

Un incredibile, fenomenale, ineccepibile, infallibile strumento di divisione tra gli individui, questa è la scuola! Una divisione che porta dritti dritti al conflitto, alla caccia alle streghe, alla cultura biasimevole del punire e premiare, della vendetta covata e realizzata. Questa, tra le altre terribili cose, è la scuola! Una scuola così tanto ignorata sotto questo aspetto, seppur evidentissimo, ma così tanto idealizzata nella sua narrazione contraddittoria
La divisione che compie la scuola sull'unità organica degli individui, insegnando a questi ultimi a compierla a loro volta su se stessi, è qualcosa di abnorme, di incontrollabile. E lo fa in vari modi, a vari livelli. Il livello più evidente è quello anagrafico: la scuola separa e classifica gli individui in base all'età, e li deposita nelle aule-pollaio corrispondenti e deputate (celle ricolme di germi e di paura infusa, ma coloratissime). Poi vi è la divisione effettuata dai voti e dai giudizi espressi dai vari 'specialisti del settore': una vera marchiatura che decreta l'uccisione della bella narrazione scolastica che suole esaltare, tra le altre meraviglie irrealizzabili a scuola, la fantomatica 'uguaglianza': ma una volta stabilito chi sarebbe 'asino' e chi 'intelligente' secondo i criteri stabiliti dagli 'specialisti' che coincidono con una morale autoritaria perfettamente rispondente alle istanze del capitale, c'è ben poco da perorare cause a favore di una 'scuola-idolo' che promuoverebbe, a suo dire, l'eguaglianza e la socializzazione! Chi si loda s'imbroda!
Altre divisioni attendono e imparano gli studenti nel corso degli anni nelle loro celle, come la divisione autoselettiva basata sul perseguimento dell'obiettivo automatico e strutturale della competizione tra simili, attraverso la quale anche due bambini che sono amici da sempre arrivano spesso a litigare, a non parlarsi più. Abituarsi all'odio reciproco è ciò che si impara in queste agenzie d'istruzione! Per fortuna interviene spesso la natura, soprattutto in tenera età, e i due bambini, normalmente, ritornano spontaneamente a giocare insieme. Ma è merito della loro natura, del loro buon senso innato, dall'istinto di socialità, non della scuola! Per questo motivo possiamo affermare che se dalla scuola esce qualcosa di buono, non è grazie ad essa, ma malgrado essa!
La divisione più odiosa e subdola, però, quella più nascosta e terrificante, è la discriminazione generata per mezzo dei certificati scolastici, i noti titoli di studio, cioè per mezzo della scuola stessa in quanto dispositivo che produce consumatori suddivisi in gradienti qualitativi prestabiliti e certificati. Significa che la scuola, come diceva Ivan Illich, opera un severissimo discrimine tra chi possiede un titolo di studio e chi non lo possiede (e anche tra i titoli di pari grado, a seconda del tipo di Istituto in cui sono stati acquisiti), arrivando a far credere, in modo disgustoso, che colui che non ha acquisito un certificato scolastico, o che ne ha acquisito uno di 'rango inferiore' rispetto allo standard assunto come 'accettabile' in quel preciso momento storico e in quel dato luogo, od uno acquisito in un Istituto 'poco rinomato', non soltanto sarebbe un individuo 'ignorante' (che secondo la nostra terribile cultura scolastica autoritaria equivarrebbe a dire uno 'stupido' o 'incapace di ragionare'), ma sarebbe considerato anche un figuro ignobile che, per giunta, essendo 'ignorante', è sicuramente meritevole di essere considerato il capro espiatorio per tutti i guai della società, un reietto da tramutare in una preda per un branco di 'colti' che vorrebbe fargliela pagare in qualche modo e riversare su di lui le colpe di una società ingiusta fatta proprio da loro, dai laureati (l'atteggiamento discriminatorio si traduce in prima istanza nello scherno: 'ma cosa vuoi saperne tu che hai solo la licenza media? Non puoi capire, non vali niente, lascia fare a noi che siamo quelli intelligenti'). Ecco che la scuola, essendo una chiesa e una religione, crea la sua setta fondamentalista.
In barba a cosa, tutto questo? In barba alla bella retorica sul valore dell'eguaglianza, del rispetto nei confronti di ogni individuo in quanto tale, della vita stessa, della comprensione, della solidarietà, dell'umanità, ecc. Insomma, la scuola da un lato predica sempre bene per autopromuoversi, ma nei fatti contraddice sempre se stessa e i suoi finti obiettivi di facciata. E' ciò che vediamo.
Ma come potrebbe funzionare diversamente un dispositivo inventato espressamente dal potere che serve proprio per dividere la gente, generare sperequazione e odio già tra i bambini, e porre le basi culturali per agevolare le guerre fra poveri? Io penso che sia davvero ora di guardare in faccia la realtà, i fatti, i risultati, anziché rifugiarsi nella bella narrazione con la quale il potere ha rivestito ogni sua espressione, prima fra tutte la scuola. E non trascurerei nemmeno il fatto che non è conoscendo bene la Divina Commedia o i precetti della buona grammatica che si diventa antifascisti (come si può credere a questa sciocchezza?). Anche perché per natura siamo tutti anarchici, nasciamo tutti antiautoritari, ma si può diventare facilmente fascisti con un'educazione e una cultura specifiche come la nostra, se non rimaniamo vigili su noi stessi, in barba alle grammatiche e agli Alighieri vari! E a proposito di libri e informazioni, se dobbiamo dirla tutta come si dovrebbe, ciò che impara lo studente dai libri di scuola, stando nella cella, non è tanto il loro contenuto, che passa in secondo piano, quanto 'un sistema di ordini, un sistema di comando che permetterà e costringerà gli individui a formare degli enunciati conformi agli enunciati dominanti. La scuola serve soprattutto a questo' (Gilles Deleuze).
Il discorso non si esaurisce qui, sono stato fin troppo sintetico, non ho preso in considerazione altri aspetti, come ad esempio il fatto che è proprio la scuola, con queste sue discriminazioni strutturali (o struttura discriminatoria), a generare il problema del bullismo (in questo blog ho riportato prove a supporto, casi evidenti e vissuti). Ma io credo che le poche righe che ho scritto fin qui siano già largamente sufficienti a far ragionare sui fatti e la realtà. Dico i fatti e la realtà, non i paradisi vagheggiati e le inesistenti proprietà taumaturgiche della scuola.

Altro.
La scuola giustifica le divisioni sociali.

Piccola storia di un delitto

Se io ho nella testa solo alcuni determinati elementi, il senso della mia vita sarà dato da quei soli elementi. Anche tutta la mia esistenza sarà organizzata in base a quei soli elementi e penserò di essere libero e colto. In questa condizione, normalmente, pensare a un cambiamento della mia vita significa  che ho solo bisogno di prendere gli elementi che ho nella testa, mescolarli tra loro e ricomporli. Ma è come se io avessi cambiato soltanto la disposizione delle suppellettili nella mia cella, la mia vita non cambia. 
Per analogia, io non posso fare una rivoluzione sociale usando gli elementi che già conosco, cioè gli stessi strumenti che qualcuno mi ha messo nella testa e che sono all'origine stessa del mio malessere. Se mi hanno insegnato che per vivere ci vogliono i governi, i parlamenti, una società divisa in classi, delle leggi esterne a me, delle agenzie educative, dei moralizzatori, un apparato gigantesco autoritario repressivo e la convinzione che tutto questo sia giusto e civile, allora per me sarà completamente inutile rimescolare questi elementi, dar loro un altro colore, e sperare di cambiare la società e la mia condizione. 
Per cambiare realmente io devo saper essere dinamico, aperto, curioso e creativo, devo uscire dalla statica normalità e dalle convenzioni, cioè devo fare come fanno i bambini, i quali, quando il loro giocattolo preferito finisce di soddisfarli, non lo guardano più, lo gettano via d'istinto, lo calpestano con disinvoltura e, se non ne hanno un altro di diversa natura a portata di mano, se lo inventano e, se è il caso, esplorano altri territori (fisici o mentali). 
Questa capacità creativa e anarchica di ogni bambino svanisce non appena qualcuno dall'esterno comincia a inculcargli la convinzione che per vivere ci vogliono i governi, i parlamenti, una società divisa in classi, delle leggi esterne a lui, delle agenzie educative, dei moralizzatori, un apparato gigantesco autoritario repressivo e la convinzione che tutto questo sia giusto e civile. Quando in seguito ad una specifica azione educativa il bambino sarà diventato un vero adulto o, per meglio dire, quando il bambino sarà stato opportunamente soffocato, per lui, che anche da adulto conserverà l'istinto naturale di migliorare la sua condizione, sarà completamente inutile rimescolare gli elementi che gli hanno inculcato al fine di sperare di cambiare le cose; di più, ringrazierà chi glieli ha inculcati così bene, e con così tanto amore, da farlo diventare 'un adulto serio con la testa sulle spalle'. 
A quel punto l'essere umano è morto, si è sciolto e sepolto nella massa informe, ne è parte, non saprà più pensarsi veramente libero, la libertà lo terrorizzerà a tal punto che, per giustificare la sua serva condizione e proteggere le sue catene, dirà che essere liberi è sicuramente bello, ma è un sogno impossibile da realizzare, persino pericoloso da pensare (figuriamoci tentare!). E dirà anche molte altre cose, tirerà fuori tanti pretesti, tutti completamente stupidi ed autolesivi. E darà la colpa a qualsiasi cosa esterna a lui pur di non voler ammettere di essere stato indottrinato e ucciso quando era ancora un bambino.

La scuola è nemica del pensiero libero, non potrebbe essere diversamente.

Non facciamoci illusioni sulla presunta 'aria di libertà di pensiero' che si respirerebbe a scuola. O meglio, non alimentiamo ancora di più questa falsità, sappiamo tutti molto bene che se uno scolaro comincia a parlare in classe di anarchia (l'unica vera forza in grado di dissolvere il potere) viene subito redarguito e messo a tacere. O ridicolizzato. Altro che libertà di pensiero! Chi censura per prima è proprio la scuola, sono i suoi insegnanti (presi come come tali, non come persone, la differenza è sostanziale), specialmente quando si tratta di anarchia e di anarchici. C'è una tale ignoranza sull'anarchia che, sull'argomento, rimango sempre sconcertato dalla banalizzazione, dallo stupido conformismo che sento o che mi trovo a leggere qua e là. Chi dobbiamo ringraziare per questa profondissima ignoranza? 
Potremmo ad esempio far conoscere a scuola le bellissime poesie di Renzo Novatore proprio come si fa con quelle dei poeti noti a tutti perché letti obbligatoriamente a scuola (tutti poeti innocui, o pro sistema, o resi tali dai filtri pedagogici di Stato. E non solo i poeti). Se ne avrebbe il coraggio? E sarebbe poi giusto imporre Novatore? Se non è giusto, come credo, perché invece si impongono serenamente tutti gli altri? Questo discrimine tra il 'lui sì' ed il 'lui no', creerebbe pensiero critico e libero? Ne siamo certi? 
Di fronte alla possibilità che gli studenti si imbattano in versi come ad esempio 'l'anarchia è per me un mezzo per giungere alla realizzazione dell'individuo', e di fronte alla possibilità che versi di questo genere, mandati a memoria e posti come condizione necessaria per avere un buon voto, siano intercettati dall'autorità dirigenziale (ci sono tante di quelle spie, a scuola..!), pensiamo forse che questi docenti, sedicenti promotori del pensiero libero, lascino serenamente che ciò avvenga? Non credo proprio! Io ci ho provato, e sono stato aggredito da colleghe che si reputano rivoluzionarie e molto aperte di mente. E ho avuto le stesse reazioni avverse in tutte le scuole in cui sono stato (non sono poche), non esclusa l'attuale. Onestamente? mi stupirei se ciò non avvenisse! E non vi racconto le scene patetiche a cui ho dovuto assistere, e le convocazioni dal dirigente! Lo sapete che è probabile che non mi venga più concesso il bonus docente perché lo userei per comperare libri 'sconvenienti'? Ma di cosa stiamo parlando? 
Che la scuola sia da considerare promotrice del libero pensiero è solo mitologia, fa parte di quella narrazione autoreferenziale di cui ho già avuto modo di parlare. Io invece riassumo ed espongo i fatti, e questi contraddicono lo storytelling demagogico della scuola. I fatti veri - questi sì rivoluzionari quando si vive nella menzogna e li si vuol raccontare - rappresentano la realtà di quel che succede o di quel che non succede, ed il vero delitto è certamente ignorarli, come avviene, o rinnegarli o piegarli ad un dogma qualsiasi.
E allora vediamoli questi fatti, vediamola questa realtà. Leggete questo stralcio di giornale.  Quel che scrive Lorenzo C. di Palermo è ciò che avviene comunemente a scuola, non soltanto in sede d'esame, ma sempre. E' un imperativo categorico venato di minaccia mascherato da atto cautelativo (per una 'pacifica convivenza', si dice sempre) che viene insegnato ai ragazzi. Addirittura, quando questo modus operandi censorio viene ben assimilato (e lo si assimila molto presto), sono gli studenti stessi che redarguiscono i loro compagni che osano esternare i loro liberi pensieri. Quante liti ho visto per questo motivo! Ecco, io devo combattere ogni giorno contro questa realtà, e ci rimetto in prima persona quando devo difendere il libero pensiero, l'espressione critica, che rimangono cose assolutamente vietate. Da qui la mia esigenza di operare in clandestinità. Ma quale libero pensiero a scuola? Non scherziamo e apriamo gli occhi!


E se non dovesse bastare questa dichiarazione lampante, possiamo farci raccontare la stessa situazione, ma anche molto altro, da J. Taylor Gatto, professore a New York, che denuncia la realtà dei fatti in queste sue sette lezioni.
Insomma, ma di cosa parliamo? Vogliamo forse far leggere obbligatoriamente anche Max Stirner col suo rifiuto intelligentissimo dello Stato e della Chiesa? Portiamo questo acuto filosofo, maestro di Nietzsche, sui banchi di scuola? Magari! Portiamo anche tutti gli studiosi che affermano l'assoluta necessità di farla finita con la scuola e con l'educazione? Pensiamo davvero che la scuola e i suoi docenti-soldati acconsentano a divulgarli? E non parlo solo di pensatori anarchici morti. Vogliamo forse far maturare un pensiero davvero critico? Vogliamo forse creare una società libera fatta di non adattati e non rassegnati? Non prendiamoci in giro! Anche Lev Tolstoj viene censurato nelle sue pagine più anarchiche, antigovernative e ferocemente anticlericali (lui, per giunta da cristiano qual era!). Di cosa parliamo? Quale libertà di pensiero a scuola? Come possiamo credere che si formi una coscienza critica quando i pochi elementi che il sistema spaccia come totale e giusta Conoscenza sono sempre quegli stessi che servono al sistema per perpetuarsi? 
Che differenza c'è tra un anarco-individualista e un collettivista? Perché questa differenza non viene spiegata dai miei colleghi? Perché non viene inserita in nessun programma ministeriale? Quale tipo di reazione hanno le popolazioni aggredite dalle guerre, quali soluzioni di autogestione hanno sempre trovato? Ce lo direbbero sicuramente Rudolf Rocker, ma anche Piet Kropotkin, ammesso che si sappia però chi siano costoro. La scuola della Conoscenza non ce li fa conoscere. Curioso e strano? No, è la norma! Che cosa è successo nell'autogestione anarchica di Barcellona nel 1936? 'Perché, c'è stata davvero un'autogestione anarchica a Barcellona?', si chiederà il perfetto scolarizzato, colto, dal pensiero libero e critico. Ma di cosa stiamo parlando?
Dove mettiamo la storia reale e completa della Prima internazionale con Bakunin? E Michail Bakunin stesso? Vogliamo dirlo che era anarchico o, al massimo concesso da sua maestà, lo dichiariamo tout-court e genericamente 'socialista'? Possiamo dirlo che Pierre-Joseph Proudhon è stato il filosofo anarchico, o uno dei pensatori anarchici, che ha dato i maggiori spunti a chi si è poi incoronato padre del comunismo, talmente 'padre padrone' da trasformare il comunismo anarchico e rivoluzionario in comunismo autoritario di Stato e di partito? (se ti dà fastidio il fatto che io non scriva il suo nome, rifletti e chiediti perché tu non provi lo stesso fastidio nel sapere che la scuola censura migliaia di nomi importantissimi). E di tutti gli altri filosofi e sociologi anarchici volutamente censurati cosa ne facciamo? E del grande imprescindibile geografo Elisée Reclus? Lo censuriamo perché è anarchico? Certo, è la scuola, che altro può essere? Ma di cosa stiamo parlando?
Suvvia, non facciamoci illusioni, la scuola rimane sempre quell'agenzia pubblicitaria che ti fa credere di avere bisogno della società così com'è, diceva Ivan Illich. A proposito, 'chi è Illich?' si chiederà tutta la società scolarizzata e dal pensiero critico. Appunto! Ah! Se non ci fosse internet che vi fa conoscere un po' di sana anarchia! Perché, vedete, se l'opposizione al fascismo di stampo scolastico conduce alla fine gli studenti a concepire la lotta al fascismo come un qualcosa che si fa soltanto aderendo ad un altro partito e votandolo, allora non si è capito proprio nulla, e non vedo niente di cui la scuola debba farsi vanto, se non di un'unica cosa: della sua stessa funzione di dispositivo addestrante del sistema, che è la funzione per cui è stata concepita e alla quale, per il raggiungimento del suo programma occulto, serve anche la censura.




La scuola è scuola, non cambia la sua natura in base al tipo di governo.

Anche il popolare maestro Alberto Manzi fu sospeso dall'insegnamento e il suo stipendio venne dimezzato. Il reato fu la disobbedienza civile, fu il non aver avuto paura del Leviatano, affrontarlo, smascherare la sua ipocrisia di fondo, i suoi piedi d'argilla. Manzi si rifiutò di valutare i bambini come avrebbe voluto lo Stato, cioè si rifiutò di valutarli prendendo in considerazione anche l'espressione dell'intera personalità dell’alunno in ogni sua manifestazione (come e con chi interagisce, come e cosa pensa, come si atteggia, come obbedisce agli ordini, come reagisce a dei precisi stimoli, come e se rispetta l'autorità...). All'epoca dei fatti (1981) non c'era un governo di destra, c'era il pentapartito, una compagine di centro sinistra che, per quel provvedimento punitivo ad personam, si avvalse di una legge del 1977 (anno in cui v'era un governo che vedeva il PCI come secondo partito per numero di seggi, dietro alla DC). Presidente della repvbblica, all'epoca, era il socialista Sandro Pertini.
Il problema, in sostanza, come sempre, non è il tipo di governo in carica, ma è la funzione e la natura stessa delle istituzioni in quanto tali, una natura sempre conservatrice e autoritaria che si rinvigorisce a forza di riforme ('riforme, ci vogliono le riforme!', grida il solerte progressista!). Tutto ciò che dall'esterno regola la vita delle persone, che le norma limitandone la libertà, che le inquadra, che le moralizza, che le divide e le valuta, ha natura autoritaria. La scuola forma la società e di conseguenza forma pure i docenti che fanno parte della società. Di questo tipo di società. Se in classe un docente decide di spogliarsi del suo grembiulino da docente e prova, invece, a fare l'essere umano - il che, dato il contesto, coincide necessariamente col fare il rivoluzionario - lo fa clandestinamente e al prezzo che sappiamo e che vediamo. I casi che finiscono nelle pagine di cronaca nazionale sono punte di un iceberg. Io stesso sono stato, e sarò sempre, vittima di provvedimenti disciplinari da parte del Leviatano, come altri colleghi e colleghe che antepongono ostinatamente il loro essere umani all'uniforme da docente e agli interessi dell'istituzione. Non so fare altrimenti.


Qualche appunto su due pensieri di William Godwin

Dei materiali di filosofia di cui sono in possesso, quelli relativi a William Godwin mi dimostrano che già nel XVIII secolo la scuola produceva, presso gli studenti e i liberi pensatori, le stesse reazioni di insofferenza e sconforto di oggi, quando non di rabbia e odio. Ciò dimostra che in fondo la scuola svolge da sempre la stessa funzione, in barba alle riforme (e a chi ci crede), le quali servono soltanto a rafforzare l'istituzione stessa. 
Al tempo di Godwin la causa dei bambini e dei giovani desiderosi di libertà, ma rinchiusi in un'aula, non veniva presa in considerazione perché non era neppure concepita come una 'Causa', della quale discutere, men che meno esserne preoccupati. Come oggi. Infatti in questa società adultocentrica e disciplinare, il diritto di libertà del giovane di decidere se andare a scuola oppure no viene annullato istantaneamente dalla legge sull'obbligatorietà, non viene preso in considerazione neppure lontanamente, sarebbe un'eresia soltanto pensare a questo diritto, a dispetto di tutta una schiera di pedagogisti riformisti che nel XX secolo si sono succeduti portando l'ipocrita bandiera del 'poniamo lo studente al centro'. Ma già dire studente è cosa diversa dal dire persona, dunque niente di nuovo, come sanno bene questi giovani che sopportano, che devono imparare a sopportare da bravi schiavi e futuri efficienti produttori.
E' Godwin il primo a far emergere la causa dei bambini prigionieri, è stato lui il primo a schierarsi dalla loro parte, a denunciare i veri obiettivi nascosti della scuola, i suoi metodi, la sua ipocrisia strutturale e universale, la sua natura autoritaria. Godwin, attraverso la sua coscienza anarchica, riconosce anzitutto il fanciullo, ma lo riconosce come persona, ne riconosce i diritti, le sue peculiarità naturali, e ne rispetta ogni sua caratteristica umana e vitale. Scriverà a tal proposito:
'Dobbiamo un particolare rispetto a ogni cosa che abbia forma umana. Io non dico che un fanciullo sia l’immagine di Dio. Affermo invece che si tratta di un essere individuale, dotato delle facoltà di ragionamento, delle sensazioni di piacere e dolore e dei princìpi di moralità'.
Questo passaggio è molto importante. Quando scriveva queste righe - si era appena all'inizio dell'Ottocento - Godwin stava già dichiarando e anticipando al mondo che il bambino non è un recipiente vuoto da dover riempire o moralizzare, perché il bambino ha facoltà proprie e autonome di ragionamento, di intelligenza, conosce il senso del bene e del male, e non ha bisogno di essere educato (non certo dalla scuola, e non certo dagli adulti che ne facciano le veci e le funzioni). Infatti, Godwin, dopo aver esposto il suo pensiero sull'inaudita schiavitù che ogni bambino deve sopportare a scuola e in famiglia (bambini trattati peggio degli schiavi nelle Indie occidentali, dirà), scrive anche che:
'La libertà è la scuola dell’intelletto; cosa alla quale non si concede abbastanza attenzione. Ogni ragazzo impara più nelle sue ore di svago che in quelle di studio. A scuola si impadronisce dei materiali del pensiero, ma nei giochi pensa per davvero: qui affila le facoltà e apre gli occhi. Dal momento della nascita il bambino è un filosofo sperimentale: egli mette alla prova i suoi organi e i suoi arti, imparando l’uso dei muscoli. Chiunque lo osservi attentamente scoprirà che è questo il suo costante esercizio. Ma l’intero processo dipende dalla libertà'. 
E per quanto riguarda quei 'materiali del pensiero', ci si dovrà pur chiedere, credo oggi più di ieri, perché proprio quei materiali, sempre quelli, e non invece altri materiali, quelli che nessuna scuola oserebbe mai mettere sui banchi. Ma sono certo che la risposta, in fondo, la conosciamo tutti.

Chiese e sacerdoti del Capitale.

Il capitalismo è una religione, si concretizza e si diffonde per mezzo dell'impianto statuale. Ci sono molte chiese che raccolgono e allevano nel loro seno i fedeli del Capitale. 
Le caste sacerdotali nella nostra società sono tante, c'è una casta per ogni chiesa. Ad esempio, nella chiesa-fabbrica, col tempo gli operai hanno finito per credere ciecamente che il lavoro sia un loro diritto, quando non è che una terribile necessità dovuta al vile ricatto capitalista del 'se non lavori non mangi', ricatto che gli operai hanno oramai assunto come dogma inviolabile, come morale di vita, come ineluttabilità. Quegli operai, proprio come gli economisti, sono una casta sacerdotale perché sostengono e perpetuano una mitologia: l'illusione sociale del progresso e del benessere economico. Questi sacerdoti portano avanti l'idea di un paradiso in terra da realizzare per mezzo del lavoro. Ma rimangono poveri, schiavi e sfruttati.
Non solo gli operai, in questo tipo di società ci sono altre caste sacerdotali, e sono tutte di stampo professionale e specialistico. Tutti concorrono alla realizzazione del sogno capitalista, credendoci ciecamente. Prendiamo la 'nuova chiesa universale', come la chiama Illich, cioè la chiesa-scuola. Un esercito di docenti lavorano ogni giorno per costruire l'immagine olografica del paradiso in terra, un'immagine da dare in pasto ai bambini, ai giovani, una narrazione obbligatoria che deforma la loro meravigliosa natura, uccide la loro intelligenza, la loro creatività, e gli fa credere che senza la chiesa-scuola e senza di loro, sacerdoti di una supposta conoscenza, saranno solo dei deficienti, degli inetti, degli schiavi rassegnati. Non sanno che lo diventeranno davvero, ma proprio perché seguono quel dogma sacerdotale, quella chiesa, fatta anch'essa di promesse di progresso e di benessere economico. Quei docenti, come gli operai e gli economisti, sono una casta sacerdotale, creduta imprescindibile, perché quell'illusione sociale di progresso e di benessere economico la insegnano dottrinalmente ai più piccoli, forgiano nella mente dei più indifesi l'idea di un paradiso in terra che si realizzerebbe soltanto per mezzo dell'acquisizione di un certificato che li dichiarerà 'maturi'. Sì, maturi per il Capitale. Ma anche questi sacerdoti, che lo siano o che lo diventeranno a loro volta, rimangono lo stesso poveri, schiavi e sfruttati. 
Potrei andare avanti con le varie chiese: la chiesa-ufficio, la chiesa-ospedale, la chiesa-galera, la chiesa-famiglia... tutte hanno la loro casta sacerdotale, e tutte contribuiscono alla costruzione di una mitologia, di una 'bella narrazione', di quel miraggio fatto di un'idea di benessere economico e di progresso, ma anche di ordine e pace, di amore e giustizia. Tante belle parole. Ma adesso farei un distinguo, perché c'è una differenza nettissima tra i sacerdoti della chiesa canonica e quelli delle chiese sociali: se ambedue le specie costruiscono illusioni di pace e amore per tutti (chi paradisi in cielo, chi paradisi in terra), soltanto i sacerdoti delle chiese sociali, soprattutto i docenti, pensano che non si tratti di illusione e lavorano sotto dettatura alla costruzione del sogno capitalista, credendoci fino in fondo ed oltre, giurando sulla bontà di ciò che fanno e di ciò che promettono, nonostante siano loro i primi a non godere di nulla di cui essi stessi promettono, di alcun benessere, di alcuna pace, di alcuna libertà, e rimangano sempre e comunque poveri, schiavi e sfruttati.

La setta mondiale degli scolarizzati.

Qualsiasi ateo può giustamente ben dimostrare di non aver bisogno della dottrina della chiesa per sapere che cosa è il bene e che cosa è il male. Ciononostante, i fedeli indottrinati continueranno a diffidare degli atei e a sostenere che la dottrina della loro chiesa è indispensabile per capire le cose del mondo. Possiamo dunque sostenere, a ragion veduta, che la chiesa e la sua dottrina producono divisione, discriminazione, presunzione e conflitto.
Ma allo stesso identico modo si comporta l'altra chiesa, cioè la scuola, che non a caso Ivan Illich definiva la 'nuova chiesa universale'. Infatti qualsiasi analfabeta può giustamente ben dimostrare di non aver bisogno dei libri di scuola per sapere che cosa è il bene e che cosa è il male. Ciononostante, i fedeli scolarizzati continueranno a diffidare degli analfabeti e a sostenere che il programma della loro scuola è indispensabile per capire le cose del mondo. Anche in questo caso, come vediamo, la scuola e il suo programma producono divisione, discriminazione, presunzione e conflitto.
Via via che le riforme si succedono, spero lo abbiate notato, la scuola assume sempre di più il ruolo di chiesa, e in modo sempre più chiaro. A ben vedere, anche l'educazione scolastica è un tipo di dottrina religiosa, e la scuola è un'istituzione dello Stato, e come tutte le istituzioni si caratterizza per la sua tendenza alla conservazione, nonché per la missione indottrinante, colonizzante, delle masse. E' allarmante, per chiunque abbia buon senso e capacità analitica, constatare che l'atteggiamento dello scolarizzato sia oggi così perfettamente aderente, combaciante, identico a quello del bigotto fidelizzato alla chiesa-di-dio. 
A quando le crociate contro quel nuovo tipo di infedele che non sa usare la grammatica, addossandogli per questo tutte le colpe del mondo? Questo è, d'altra parte, il comportamento più usuale delle masse contro chi non si allinea, masse rese appositamente ignoranti e feroci da un percorso autoritario di indottrinamento. Organizzeranno cacce alle streghe e roghi per quelli che non hanno un diploma o che non sanno la tale data o la tabellina del sette? In fondo - dicono gli indottrinati per deresponsabilizzarsi - non è colpa di questi ignoranti se c'è il fascismo? Un pessimo pretesto per pulirsi la coscienza! C'è da un po' aria di criminalizzazione. E poi sarebbero i non scolarizzati gli ignoranti? Ne siamo sicuri? 
Il comportamento fascista, la mentalità fascista, la cultura fascista, sono qualcosa che si acquisisce negli ambienti autoritari, cioè laddove si deve rispettare una gerarchia, delle leggi calate dall'alto decise e scritte dai capi, dove tutto quello che viene stabilito dai capi dev'essere rispettato, onorato, ripetuto. Come a scuola, esatto! E' a scuola che vige un regime fascista. Questo regime si esprime nella sua stessa struttura, nei metodi, negli ingranaggi, nei dispositivi di valutazione e classificazione, nonché di punizione e premiazione. Questo è il fascismo! E a nulla servono 'i bravi docenti', che non sono questi a fare la scuola, perché, al contrario, è la scuola che fa i docenti. Chi non si adatta è out, soccombe!
Mi auguro invece che le persone comincino a tirar fuori un po' di vera intelligenza, di buon senso, di quello stesso pensiero critico che usano di solito nei confronti della chiesa-di-dio e che lo utilizzino per capire in che modo e quanto siano stati ingannati e incattiviti dall'istituzione scolastica, così totalmente responsabile della tragedia dei nostri tempi.

P.S. Le chiese non si riformano, si eliminano.

La liberazione, secondo me.

- Mi scusi, ma per lei che cos'è la liberazione?
- Intende quella politica e sociale?
- Sì, non certo quella del grasso intorno alla vita. Per quanto...
- Per me la liberazione rappresenta qualcosa di molto preciso. Vede, quando un popolo decide di disfarsi delle fondamenta della sua cultura, dei valori e dei simboli in cui ha creduto per secoli e che lo hanno reso prigioniero, schiavo di se stesso, quando decide di disfarsi dell'educazione di massa che rende possibile la perpetuazione di questi valori, delle scuole e di tutte le forme di coercizione-reclusione, delle false morali, delle sterili guerre fra poveri, dei confini, dei governi, delle religioni, in poche parole, quando l'essere umano vorrà capire che l'unico modo che ha di salvarsi, oggi, è quello di lasciare in pace i bambini, lasciarli essere come decidono loro di essere, senza farli cadere vittime della nostra cultura autodistruttiva, allora quella per me è la liberazione.
Vuole una metafora? E' come un palazzo che è stato avvolto da una infinità di travi, ferri, tubi, plastiche, fantasmi, altarini, materiali insulsi ma luccicanti, e smantellare tutte quelle sovrastrutture per liberarlo e farlo respirare, farlo vivere, farlo esprimere, dargli la possibilità di manifestare tutta la sua luce, tutta la sua essenza. Perché sa, se ne sarà accorto anche lei, c'è l'assurda idea che il bambino sia un recipiente vuoto, che non sia nulla, che non porti nulla con sé fin dalla nascita, e che debba perciò essere sottoposto a un progetto culturale da parte di persone esterne a lui, guarda caso persone adulte, anche estranee chiamate 'esperti', le quali sono state a loro volta sottoposte a indottrinamento; capisce che in questo modo il circolo diventa vizioso e viziato del suo stesso vizio.
Ma i bambini - e non mi dica che non lo sa - non sono recipienti vuoti, sono già dei palazzi unici e magnifici, perfetti, irripetibili, sono proprio tutto quello che l'umanità desidera essere, ma che non ha il coraggio di realizzare (che lasci fare ai bambini, allora!).
Ciò che noi adulti facciamo sui bambini è soffocare il loro meraviglioso palazzo, la loro luce, il loro essere, modificarlo, standardizzarlo, uniformarlo, mettergli addosso una divisa, rivestirlo con tutte quelle sovrastrutture che sono credenze, dogmi, convinzioni, idee malsane, conoscenze funzionali al regime sociale... tutte cose che servono a perpetuare questo tipo di società e lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo per il vantaggio di pochi. Se dobbiamo parlare di liberazione, dobbiamo saperci liberare dalla convinzione che il bambino sia un essere da plasmare come piace a noi usando il pretesto della 'conoscenza', che in realtà è dottrina del sistema introdotta a forza, è adattamento, conformismo obbligatorio.
Contro il bambino e il suo mondo di gioia, gli adulti usano anche lo sporco ricatto secondo il quale, se il bambino non diventa come loro, come un 'adulto serio' (sic!), finirà per diventare un essere abominevole e odioso, emarginato, meritevole d'ogni tipo di pena, sia in terra, sia in quel luogo inventato apposta per ricattare chiamato 'inferno'. Lei dirà: 'possiamo insegnare al bambino ad essere anticonformista'. Sbagliato! Anzitutto: perché mai dovremmo prendere il bambino, farlo diventare come noi con anni e anni di tortura educativa modellante, e poi dirgli 'no guarda, adesso è meglio che tu sia come un bambino!', quindi insegnargli a ritornare unico e irripetibile com'era all'inizio? Ammesso poi che sia così facile tornare ad essere bambini dopo l'addestramento scolastico e sociale, ma non le pare una cosa stupida in sé? Non sarebbe allora meglio non avviare mai quell'addestramento?
Inoltre devo affermare che non è affatto il caso di insegnare al bambino l'anticonformismo (ammesso che una società di adattati possa farlo, o accetti che qualche disadattato - gioco forza definito 'strano e pericoloso' -  lo faccia), perché lui, il bambino, lo è già, anticonformista, fin dalla nascita; poi, purtroppo, l'educazione obbligatoria massificata lo rende conformato, un adattato disumano, remissivo e obbediente con i potenti, ma sempre pronto a scaricare la sua frustrazione violenta sui più deboli, con l'aggravante di sentirsi nel giusto e perfino libero, intelligente, saggio e originale. Un 'adulto serio', insomma!
Allora, liberazione per me? Eccola: liberazione è l'atto responsabile e supremo di liberare il bambino da noi adulti, dalla cultura di questa società. Quando arriverà il giorno di questa consapevolezza autonoma e si darà avvio a questa operazione di liberazione (io ho già iniziato), solo allora festeggerò.

25 aprile, la liberazione e la scuola obbligatoria


Del 25 aprile si è detto forse tutto, tranne una cosa: non ha prodotto nulla di quello che la gente si aspettava. Ma quale 'liberazione'?
Se riavvolgessimo il nastro per andare indietro a quell'immediato dopoguerra, scopriremmo che ci furono vari personaggi, intellettuali, professori, scrittori, politici (soprattutto politici) che si affrettarono a indicare la 'strada giusta' al fine di non ritrovarci più tra i piedi il fascismo. Quindi si mise mano a una nuova Carta costituzionale, alla monarchia succedette la repubblica e al popolo venne data la facoltà di scegliersi da solo un circolo di padroni. Eppure quella non era ancora del tutto la 'strada giusta'! Per essere veramente tale doveva aggiungersi una parte preziosissima e fondamentale: la scuola di massa obbligatoria. E in effetti, quella parte, prontamente aggiunta, fu davvero preziosa e fondamentale, il problema era capire per chi lo fosse veramente. Col tempo lo scoprimmo: era ed è fondamentale per le classi dirigenti, era ed è preziosa per tutto l'establishment! Solo che nessuno lo vuole ancora ammettere, ed è questo non volerlo ammettere il segno preciso, netto, chiarissimo del fatto che la scuola sia diventata un credo assoluto, una chiesa intoccabile, da proteggere, malgrado il tragico risultato della sua azione sempre più nefasta e pervasiva nella vita dei giovani, che di vita propria a dire il vero non ne hanno più (altro che liberazione per loro!).
Il tragico risultato però era stato ampiamente profetizzato da chi non ha mai avuto il paraocchi, da chi sapeva fin dal XVIII secolo, da chi non si lasciava imbambolare dalla 'bella narrazione' della scuola. Erano gli anarchici, i quali sapevano - come oggi -  che un'istituzione dello Stato non avrebbe mai al mondo prodotto una redenzione, non avrebbe mai tolto le catene al popolo, non avrebbe mai eliminato lo sfruttamento dell'uomo nei confronti dell'uomo, non avrebbe mai abolito le classi sociali, e che assolutamente inutili, se non funzionali al potere, sarebbero state tutte le sue riforme. Nessuna scuola è concepita per liberare le persone. Il sistema non vuole di certo suicidarsi!
C'è ancora gente, purtroppo, che di fronte all'innegabile fallimento della scuola, ma volendola a tutti i costi difendere, dice che la scuola ha solo bisogno di essere riformata. Questo avviene perché la scuola è riuscita nel suo intento principale e sostanziale, e cioè quello di produrre sudditi convinti di avere sempre bisogno della scuola. E' proprio questo cane che si morde la coda, promosso dall'educazione scolastica, quel meccanismo perverso che oggi, purtroppo, fa ancora riemergere il fascismo.

Il fascismo non odia la cultura e i libri.


Gli errori si pagano. E quelli commessi per superficialità o per presunzione sono errori che lasciano in bocca un amaro insopportabile. Per decenni la sinistra ha fatto leva su una sua presunzione di superiorità culturale nei confronti della destra, una superiorità del tutto fantasiosa, ma alimentata da una sorta di convinzione, altrettanto fantasiosa, secondo la quale il fascista è tale perché è un ignorante. E per ignorante la sinistra intende, ahimé, anche il fatto di non saper scrivere secondo la grammatica canonizzata. 
Va da sé che l'intelligenza non c'entra proprio niente con l'applicazione della grammatica, né con un percorso educativo scolastico, peraltro obbligatorio per tutti, ed il suo indotto mediatico esterno. L'intelligenza è una proprietà intrinseca degli esseri viventi, i vari tipi di intelligenza esistono a prescindere dalle sovrastrutture (a meno che non si creda per davvero che gli esseri viventi, segnatamente i bambini, siano delle pietre inanimate e prive di neuroni, prima del loro accesso nelle aule scolastiche). Ma è proprio questo aspetto che la sinistra non ha mai voluto accettare, lasciandosi invece trasportare dalla semplificazione, dalla banalizzazione dell'idea secondo cui, fatto dunque il dovuto parallelismo, un'operaia analfabeta, un contadino senza titolo di studio, non potranno che essere dei fascisti, mentre uno scolarizzato è sicuramente un comunista. Sappiamo che questa banalizzazione non trova riscontro nella realtà e che, anzi, la scolarizzazione compie un lavoro di fascistizzazione non indifferente. Senza voler difendere partiti e movimenti di alcun tipo e di alcun colore (come potrei?), devo però dire che da questa banalizzazione, chi ci ha guadagnato, come vediamo, è stato proprio il fascismo nero. Gli errori si pagano.

Contestualmente, anche l'assurdità di credere che il fascismo sia nemico dei libri è un errore grossolano, banale, un luogo comune con cui si crogiola ancora quel comunista che, avendo letto un libro negli ultimi due anni, può credersi superiore al fascista che forse di libri ne ha letti di più. Ma non è neppure questione di libri, non è mai stata una questione di libri, a meno che non si specifichi il loro genere (cosa che non si fa mai). Inneggiare al libro tout-court è un errore banale, non ha neppure senso. Cosa vuol dire 'viva il libro'? E cosa vuol dire 'viva la cultura'? Di che genere di libro stiamo parlando? E di che tipo di cultura? Anche il fascismo inneggiava alla cultura e al libro, faceva dei festival annuali, delle esposizioni, istituiva dei concorsi letterari, dei raduni culturali nazionali e regionali, fondava l'Alleanza nazionale del libro con una rassegna di cultura. Ma come possiamo permetterci di dire, così semplicisticamente, che il fascismo è nemico del libro? No, non possiamo dirlo! Ma ripeto, la sinistra non accetta questa realtà, e la rifiuta soltanto per avere un pretesto a proprio vantaggio. Non è denigrando il nemico che lo si sconfigge. Gli errori si pagano.

Detto ciò bisogna anche accettare il fatto evidente che un comunista può certamente anche superare in conoscenze un fascista (come pure il contrario), ma se la cultura di cui il comunista si fa vanto è, come ben sappiamo, quella che si riferisce a questo nostro sistema di valori, alla nostra morale comune, cioè a questo tipo di società, autoritaria, competitiva, fascista,  nazionalista e gerarchizzante, è certo allora che colui che ha accumulato più cultura è più fascista di colui che ne ha accumulato di meno.





E tra gli errori che questa società commette, quello più grande è sicuramente quello di continuare a ignorare e schivare sia l'evidenza, sia un tipo di cultura diversa da questa, diversa da quella che inculchiamo ai bambini, diversa da quella che conosciamo e crediamo migliore, anzi l'unica esistente. Se oggi abbiamo una società fascista non è perché non c'è abbastanza cultura, ma perché ce n'è fin troppa, di un certo tipo, il tipo stabilito e voluto dall'Establishment, e diffuso da tutte le agenzie educative di questa società.

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

Lettori fissi