Una citazione al giorno

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Data Rivoluzionaria

Quando lo 'specialista' parla di bullismo

bullismo

Ascolto alla radio nazionale interventi di un ospite 'specialista' sul tema del bullismo. Quando si parla di bullismo, quasi sempre si pensa alla dimensione-ragazzino, cioè a quel tipo di persona che nell'immaginario collettivo, a causa dell'invenzione della categoria 'infanzia', necessita in modo perentorio e assoluto di educazione, ma non di un'educazione qualsiasi, bensì quella della scuola. In questo genere di società non devono esistere altri tipi di educazione! Il giornalista formula la domanda all'ospite: 'ci dica, da dove nasce il bullismo'? Ed è qui che succede sempre quello che non dovrebbe succedere. Sì perché la risposta di questi specialisti che si affacciano alla finestra dei media di regime segue normalmente una precisa direzione, per tappe. 
Prima tappa, o del luogo comune: 'il ragazzo che bullizza è già predisposto, c'è una parte della biologia umana predisposta a bullizzare' (è bizzarro, cotanta specializzazione ostentata, cotanti libri scritti, ma l'ospite intervistato rimane sempre allo stadio pseudoscientifico lombrosiano, incurante di Fromm e di altri studiosi che, in questi casi, ci hanno insegnato che la biologia non c'entra proprio niente! C'è o ci fa?). 
Seconda tappa, o della contraddizione: 'sì, però non si tratta di natura umana, ma di educazione e di ambiente' (ah, bene, ci siamo arrivati, quindi la biologia non c'entra, ora speriamo che l'ospite proceda nel verso giusto). 
Terza tappa, o della mistificazione: 'se il problema è l'ambiente, l'educazione, allora bisogna guardare alla famiglia, ai genitori'. 

Certo, i genitori svolgono anche loro il ruolo di educatori, ma la scuola dov'è in tutto questo discorso? Non c'è! In questi casi, infatti, la scuola non è più l'alveo indispensabile in cui 'maturano e si educano gli individui, i cittadini di domani' (sto ripetendo alcuni luoghi comuni sulla scuola), tutto è devoluto alla famiglia (comunque scolarizzata) e magari al quartiere in cui il ragazzo vive, cosa che fa di questi 'specialisti' dei veri campioni di razzismo, tra le altre cose! La famiglia? Il quartiere? Ma il ragazzo passa migliaia di ore della sua vita a scuola, ne vogliamo parlare? Pensiamo forse che anni e anni di reclusione scolastica, di cultura scolastica, non influiscano sulle persone? No? Allora a cosa servono? Ma no, in questi casi la scuola è espressamente lasciata fuori dal discorso, non conviene parlarne, altrimenti la si sporcherebbe, si comprometterebbe tutta la narrazione retorica che fa della scuola la panacea per tutti i mali!
Ma no, aspetta, ecco che l'ospite specialista parla finalmente di scuola, parla di professori. Sì, ma in che termini? Ascolto: '...importante è dunque il ruolo dei professori che...'. E ti pareva, me l'aspettavo! Ecco che si vuol dare alla scuola, attraverso l'azione dei docenti, quel ruolo di salvatrice dell'umanità, come se la scuola non fosse mai esistita, come se non fosse mai stata responsabile nell'educazione, nel fornire una precisa forma mentale e una precisa cultura di competizione! Prosegue l'intervista e l'ospite specialista dice: 'il bullismo nasce in quegli ambienti familiari (e che siano ambienti familiari viene ribadito ancora, non sia mai che qualcuno possa pensare ad altri ambienti, cioè quelli scolastici) dove vige una rigida non-democrazia, un rapporto tra le parti asimmetrico'. Capito? Come se la scuola fosse avulsa dall'autoritarismo, come se fosse un ambiente egualitario, totalmente estraneo alla società scolarizzata, dove i rapporti sono finalmente simmetrici. Insomma, per questi specialisti gli ambienti asimmetrici e autoritari si vivono soltanto in certe famiglie, ignorando del tutto che questa società è totalmente fondata sull'asimmetria, sull'autoritarismo e la gerarchizzazione. Ignorando quindi che questa società, con tutti i suoi mali e i suoi bulli, è generata proprio dalla scuola!
Ma secondo questi 'specialisti' - rido per non piangere - a scuola sì che il ragazzo impara l'eguaglianza, il rispetto verso i più deboli e le minoranze, a non essere bullo... In fondo, la cultura della competizione, della classificazione, del superiore e dell'inferiore, del 'mors tua vita mea' - anche solo per un miserevole voto in più - tutti gli studenti non possono certo acquisirla a scuola! Si taccia questa verità!

P.S. In questo blog ho già scritto di bullismo, più di una volta, e ho dimostrato, anche con esempi vissuti personalmente, che è proprio la scuola a generare la cultura del bullo. Chi lo desidera, può dare uno sguardo a questi articoli, cliccando qui. Il bullismo è un fenomeno che appartiene a tutto il mondo cosiddetto civilizzato, quindi scolarizzato, e la scuola ne è il suo principale crogiuolo.

L'invenzione dei problemi per continuare a esistere, malgrado.


E
rrico Malatesta scriveva, tra l'altro, qualcosa di molto vero a proposito di un parallelismo tra le forze dell'ordine e la legge, e cioè che l'organo e la sua funzione non possono essere disgiunti: se la funzione svanisce, l'organo muore. Sicché, proseguiva, per fare in modo che l'organo possa rimanere in vita, gli occorre un pretesto, un problema da inventare anche di sana pianta. Il parallelismo con i birri (organo) si svolgeva in virtù dei reati che, dunque, dovevano essere continuamente scoperti o, in loro mancanza, inventati. In poche parole, la polizia esiste finché avrà qualcuno da ingabbiare e, se non lo trova, deve inventarsi un reato e di conseguenza il reo da punire. 
Come ogni organo, anche la scuola ha la sua funzione, nel caso di specie direi meglio le sue funzioni, di cui alcune non immediatamente visibili o addirittura nascoste, come quella di addomesticare ogni singolo individuo e renderlo docile alla catena di produzione e adatto a questa società di oppressi e oppressori. In questo, la scuola è meravigliosamente efficiente. Il problema però le arriva sempre puntuale quando i fatti, cioè la realtà, contraddicono totalmente ciò che essa dice di voler fare. Infatti, se da un lato la scuola, con la sua retorica, con i suoi obiettivi edificanti, con i lustrini e le paillettes narrative, ostenta al pubblico la sua bella facciata, dall'altro lato questi obiettivi si scontrano violentemente con la realtà, che li smentisce tutti. Infatti la scuola non sviluppa pensieri critici, non elimina le disuguaglianze, non rende il mondo un posto migliore, non fa delle persone degli esempi di solidarietà... E lei lo sa bene. 
Come fa dunque la scuola a mascherare questo fallimento inevitabile (voluto) agli occhi della gente che, magnificamente illusa, pensa sempre a essa come al sacro luogo deputato per la salvazione universale? Semplice, ricorre al suddetto concetto di organo/funzione e si inventa dei problemi, anche dall'oggi al domani, dicendo di farsene carico, ma senza ovviamente risolvere mai nulla, al contrario, creando ulteriori problemi, catene mentali, pregiudizi, divisioni... 
Problemi inventàti di sana pianta per dare alla scuola il pretesto di farsi credere necessaria ce ne sono a bizzeffe. La scuola è già di per sé un'illusione di massa! Al suo interno, nel corso degli anni, si sono accumulate funzioni inventate a non finire, ad esempio si sono inventati i B.E.S., i D.S.A. e tutte le mille altre sigle e siglette che servono sostanzialmente a classificare, a dividere il popolo studente (e presto anche quello docente), per disciplinarlo e irreggimentarlo meglio, ancora, di più, ma il pretesto ufficiale è sempre relazionato alla presunta salvazione universale che la scuola garantirebbe alla nostra specie.
La scuola si è inventata anche il fantomatico problema dell'inclusione, come quello della cosiddetta 'povertà educativa' (a questo scopo il ministero si è costruito - a nostre spese, e che spese! - qualche istituto-carrozzone che avalla qualsiasi cosa serva a dimostrare a parole che la scuola è necessaria e svolge un ruolo di redentrice del mondo; poi si scoprì che anche i dati forniti da questi carrozzoni atti a giustificare l'intervento salvifico della scuola erano artefatti). Si è inventata il problema della formazione quando, onestamente, nessuno ne ha mai sentito il bisogno, e chi lo ha sentito è stato perfettamente in grado di aggiornarsi autonomamente, in base a ciò che sapeva essere indispensabile per sé e le sue classi. Si è inventata una sfilza infinita di pretesti veramente assurdi per far credere alla gente che l'organo-scuola è necessario, indispensabile come l'aria, pretesti indimostrati e indimostrabili nei fatti! 
La cosa peggiore, purtroppo, è che tutti gli operatori della scuola che, ripeto, per ragioni oggettive, di questi pretesti non ne ha mai sentito il bisogno, nel momento in cui l'autorità parla di presunte necessità in chiave di problemi reali, questi operatori, dicevo, credono anche loro all'esistenza di quei problemi, quindi alle presunte necessità collegate, anche se quei problemi nei fatti non esistono! E non si prendono nemmeno la briga di verificare: l'autorità è un dio a cui si crede per un atto di fede! I docenti hanno finito per credere veramente, ad esempio, di aver bisogno di stupidissimi corsi e corsetti di aggiornamento, gestiti da gente che non è mai entrata in una classe, corsi e corsetti che devono pagarsi anche al di fuori dell'orario di lavoro, di cui giustamente non hanno mai sentito l'esigenza, prima che un'autorità (che non conosce le singole realtà scolastiche e men che meno i singoli docenti), dicesse loro che ne avevano bisogno! 
Questo, alla fine, è il vero dramma di questa società: il credere ciecamente a tutto ciò che le autorità e le loro istituzioni raccontano. E questo credere ciecamente non è altro che un atteggiamento dogmatico, acritico e fondamentalista, frutto di una specifica istruzione di massa, guarda il caso!

Immagine: murale di Felice Pignataro. Napoli.

L'inganno del liceo senza voti


Qual è il problema, il numero in sé o la classificazione che questo numero impone agli studenti? La domanda sta alla base di tutto. Se pensate che il problema non sia rappresentato dal numero in sé, ma dal senso che esso ha nella scuola, allora vi invito a leggere il resto.

Da qualche giorno gira la notizia di un liceo romano che non mette i voti agli studenti. E naturalmente questo ha riscosso un grande interesse presso tutti i riformisti, non tanto per via dell'abolizione dei voti in sé, quanto perché a farlo è un liceo di Stato. Infatti sono più di cento anni che nelle scuole libertarie non esistono voti, ma siccome sono scuole libertarie alla gente questo non interessa e non piace a prescindere, per pregiudizio. Senonché, persino nelle scuole libertarie il non mettere voti non significa affatto eliminare la valutazione e la classificazione che rappresentano la vera funzione del voto numerico. 

Far sparire il voto non significa affatto far sparire l'ingiustizia della discriminazione legalizzata, tutt'altro! E infatti il liceo romano in questione supplisce al voto numerico con i giudizi che, anche se non vengono scritti, sono comunque calati dall'alto (questo si tende sempre a non volerlo capire: la scuola insegna ai giovani a dipendere dall'autorità e dalla sua morale!). I voti, in quel liceo, compaiono lo stesso sulla pagella finale, e tanto basterebbe a far capire che l'operazione è tutt'altro che libertaria. I ragazzi vengono sempre giudicati, valutati, questa è la scuola fintanto che è tale! E non potrebbe essere altrimenti. Non c'è nessuno differenza tra un voto che dice in modo sintetico a un allievo che 'deve fare meglio', e una chiacchierata con il docente che gli dice ugualmente 'devi fare meglio'. L'unica differenza sta nel fatto che con il voto si risparmia tempo, mentre la chiacchierata sa anche di ipocrisia, di mascherata. Tanto vale il voto secco, è più sincero.

Inoltre, in questo liceo, succede qualcosa che io personalmente facevo fare ai ragazzi già 20 anni fa: l'autovalutazione. Cosa che poi ho capito essere qualcosa di atroce e l'ho abolita. Infatti è incredibilmente crudele far decidere agli stessi ragazzi in che misura si devono classificare o punire, in quale ghetto concettuale devono inserirsi con le proprie mani. Insomma, l'idea di una scuola senza voti non è certo qualcosa di libertario e liberatorio, se il numero viene sostituito da qualcos'altro. L'oppressione con altri mezzi è sempre il solito vomitevole riformismo, che fa bene soltanto al sistema, e che non a caso proprio il sistema promuove. Non fidatevi. Mai.

La scuola insegna un modello disumano di società


La scuola è un dispositivo di potere, per dirla alla Foucault. E' un addestramento all'idea di potere. Gli studenti imparano a subirlo e a esercitarlo, a credere che nella vita sia necessario. La scuola, in pratica, costringe i fanciulli in un modello di società, la nostra, autoritaria, e li addestra per esserne parte attiva e utile, ingranaggi efficaci alla produzione. Per quale altro motivo pensate che la politica se ne interessi in modo così spasmodico e paranoico? Davvero credete alla narrazione ufficiale? In questo processo di addestramento non sono tanto importanti le parole, e neppure il metodo pedagogico, ma la struttura del processo stesso e, quindi, del medium-scuola. E' questa struttura che addestra veramente, sono i suoi meccanismi ad agire profondamente nella mente dei bambini. All'interno di questo processo - come spesso si fa, inconsapevoli - possiamo anche usare le più belle parole del mondo, parlare di solidarietà e pace, persino giocare a volersi bene, ma la scuola imprime un modello insano al di là delle sue belle parole e degli eventuali giochi, che è anzitutto il modello di se stessa: un governo, tanti governati, giudici e gendarmi, classificazioni, valutazioni, punizioni e ricompense, ubbidienza, sorveglianza continua, obblighi, repressione, omologazione a un pensiero, illusioni, rassegnazione e devozione all'autorità. In questo modello c'è tutto ciò che una società giusta e libera, umana, non dovrebbe neppure pensare di avere.

La nostra attenzione, rispetto ai problemi della scuola, si è sempre concentrata sulle modalità della pedagogia e dell'educazione, ma mai sulla loro struttura. Questo è grave. Tutte le riforme della scuola, di tutti i tempi e di tutti i luoghi, comprese le riforme proposte dalle scuole alternative, non hanno fatto altro che agire sulle modalità dell'educazione, modificandole di continuo, a volte ritornando sui vecchi passi, altre volte proponendo innovazioni di vario tipo, ma non hanno mai messo in discussione la struttura, il modello, l'idea stessa di scuola e di potere.

Apprendimento: vietato fare da sé!

 


Nella nostra società statuale, i bisogni vengono appositamente creati, e sono le istituzioni a crearli; queste pensano dunque a diffondere l'illusione sociale secondo cui tali bisogni possono essere soddisfatti, ma soltanto se ci si affida a loro. Vietato fare qualcosa autonomamente. Quindi si genera un circolo vizioso: dalla costruzione del bisogno (invenzione del problema), alla vendita di una 'soluzione', alla ri-creazione del bisogno. 
In quanto istituzione, la scuola crea il bisogno di se stessa: più essa genera dei problemi e un tipo specifico di ignoranza, e più le persone credono di avere bisogno di lei. Per questo motivo è appena sufficiente divulgare un sussurro di retorica scolasticizzante ('la scuola è il luogo del pensiero critico', ad esempio) per ottenere il plauso estasiato della folla ubriaca. E così l'istituzione si perpetua.

Libero insegnamento, libero apprendimento, rapporti conviviali.


 
Prima di entrare nella scuola come docente ho fatto tantissime altre cose. Non sto a elencarle tutte perché vi annoierei, dico solo che hanno riguardato, il più delle volte, il mondo dell'arte, nelle sue più svariate manifestazioni. Forse, una di queste attività può essere oggetto d'interesse, qui, perché si lega anche al campo dell'insegnamento. Un insegnamento libero. Davo 'lezioni' di disegno e pittura, e quando dico insegnamento libero mi riferisco anche all'apprendimento libero da parte di coloro che seguivano i miei corsi, che in realtà non erano corsi, non erano come se ne vedono in giro, perché non erano strutturati, non c'era proprio niente di strutturato o di programmato. Tutti noi eravamo assolutamente liberi di fare, di chiedere, di interrompere, di riprendere, di annullare. Nessuno dei partecipanti era sottoposto a verifiche o classificazioni, neppure in forma larvata o indiretta. Nessuna imposizione e nessuna asimmetria, quindi nessun vero allievo e nessun vero maestro. L'impostazione anarchica dei corsi si basava essenzialmente sull'autoriflessione e l'autogestione dei partecipanti: chi disegnava o dipingeva era giudice di se stesso. Il mio ruolo era soltanto quello del suggeritore. Non di rado gli 'allievi' - chiamiamoli così per comodità - arrivavano e mi trovavano alle prese con un mio quadro, e questo, se vogliamo, faceva inconsapevolmente parte del processo di insegnamento: gli allievi potevano incuriosirsi e farmi tutte le domande che volevano circa il soggetto che stavo dipingendo e su come lo stavo facendo. Non c'era un tema prestabilito, ognuno disegnava e dipingeva quello che più gli piaceva, nel modo in cui desiderava, con il livello che possedeva e con la mèta in testa da raggiungere, se ce l'aveva. Non c'erano neppure vincoli di tipo anagrafico, i partecipanti avevano le età o le origini più diverse, tutti insieme appassionatamente, ognuno col suo modo di essere. Naturalmente, non c'era neppure un obbligo di frequenza, né di orari canonici da rispettare (i partecipanti potevano iniziare tardi e uscire prima, se lo volevano, a seconda delle loro esigenze e desideri). Il risultato fu un'esperienza molto bella, viva, un ambiente disteso e cordiale, Ivan Illich l'avrebbe definito 'conviviale'. Una bambina era felice di venire a dipingere dopo la sua uscita pomeridiana dalla scuola: entrava, accompagnata da qualcuno della sua famiglia, indossava il suo camice, e si rilassava dipingendo.

Poi successe che cominciai a insegnare nella scuola e, ahimé, tutto, anche l'attività di cui sopra, smise di far parte della mia esistenza: la scuola assorbì molto presto tutto il mio tempo, la mia vita, disperdendo i miei interessi. Nel periodo di transizione, cioè quando stavo già insegnando a scuola ma riuscivo ancora a svolgere l'attività di cui sopra - periodo durato ben poco - ho dato sempre meno importanza al denaro che gli 'allievi' potevano dare per la mia attività, non mi importava se non pagavano, perché quel che mi dava la scuola mi era già sufficiente per vivere. Esiste anche un altro tipo di rapporto con il denaro e con il prossimo, un rapporto fondato sulla non avidità, sulla comprensione di chi ha più bisogno di noi, sulla solidarietà e semplicità, ma anche su ciò che non dovrebbe mai essere corrotto dalla mercificazione e dalla competizione, come i rapporti umani quando sono veramente tali. 

Ancora ringraziamenti


 Non mi stancherò di ringraziare chi segue questo blog e mostra particolare interesse al tema della descolarizzazione, comprendendo che è da questa strada che può avvenire un reale e concreto cambiamento nel mondo. I lettori di questo blog, come della pagina facebook, sono davvero tanti ogni giorno. Non di rado, questi lettori si collegano anche dall'estero, e sono spesso università, come quella di Strasburgo o di Yale. Ci sono molti studenti e ricercatori che mi scrivono, che approfondiscono i temi della pedagogia, o dell'antipedagogia, e traggono spunto dai miei articoli per le loro Tesi. Quindi ancora grazie a tutti voi. L'affetto è sicuramente ricambiato.

A.

La libertà sta oltre i modelli


Q
ualsiasi atto, qualsiasi procedimento può essere interpretato e svolto sulla base di un'ideologia, o di una morale, o di una cultura specifica, e diventare un modello (sociale, politico, economico, artistico, letterario, scientifico...). Ma se ci si ostina a perpetuare il modello, se non riusciamo a uscire fuori dallo schema mentale e culturale, fuori dalla consuetudine che si fa convenzione e dogma, non andiamo da nessuna parte, non avverrà mai un'emancipazione, ci fossilizziamo. La stasi equivale alla morte. 
Perciò, continuare a perpetuare lo stesso paradigma e rifiutare tutto ciò che è innovazione o deviazione dal tracciato ufficiale, non soltanto è triste, ma anche tremendamente disumano e stupido. Saper invece accogliere le diversità, le diverse forme espressive, anche quelle che ci sembrano fuori da ogni logica e, se è il caso, saperle valutare attraverso riflessioni o criteri non precostituiti, dimostra una grande intelligenza e ci libera dalla stagnazione. La costituzione di modelli e schemi è sempre affidata alle agenzie educative, scuole in primis, delle quali si serve l'establishment per uniformare e intrappolare le masse, anzitutto mentalmente, nei valori tossici e sclerotizzanti di questa società. La liberazione dell'Uomo non può che passare attraverso la demolizione di tutte le agenzie educative e il disinnesco degli ordigni della cultura ufficiale. Viva la controcultura, viva i cambiamenti e tutte le differenze espressive. Bambini liberi dalla nostra cultura! Fuori dalle scuole!

Stati generali della scuola? Ragazzi beffati, come da copione! Altro che rivoluzione!


T
emevo che sarebbe successo, e infatti ecco che si ripresenta, puntualissima, la presa in giro nei confronti degli studenti, nonché la solita strategia per mandare a monte qualsiasi tipo di protesta veramente 'dal basso'. La protesta degli studenti contro l'alternanza scuola-lavoro (oggi si chiama PCTO), che è scaturita dopo la morte dei due studenti, Lorenzo Parelli e Giuseppe Lenoci, impegnati in una formazione obbligatoria in azienda, è già nelle mani di tutti, salvo che in quelle degli studenti. A cavalcare la loro protesta (ecco la solita strategia) ci sono davvero tutti: sindacati, una miriade di associazioni, pedagoghi, gruppi di professori e, udite udite, persino genitori, tutti insieme a fare le veci del ministro Bianchi. E quando scrivo 'a fare le veci' intendo esattamente quello che ho scritto, e chi ha un po' di sale in zucca sa che questo non è certo un bene. Si vuole la rivoluzione o sostituire il potere? 
E gli studenti dove sono finiti? Ovviamente vengono tenuti ai margini quando si tratta di organizzare fattivamente, subiscono, come sempre; per loro adesso è la fase della lusinga, la fase del 'cari ragazzi, voi avete ragione, adesso ci pensiamo noi'. Il 'ghe pensi mi' non ha mai condotto ad alcuna rivoluzione. Questi soggetti parassitari che gravitano attorno alla scuola come avvoltoi e che da anni non vedono l'ora di mettere becco e mani sull'istruzione, non vogliono altro che riformarla, proprio come farebbe un governo. E infatti non si parla già più di abolizione dell'alternanza scuola-lavoro, come chiedevano i ragazzi, ma di 'rivederla'. E non solo. Gli avvoltoi già fanno sapere che tra le istanze ci sarà anche quella dell'introduzione nelle scuole dello psicologo, che è una di quelle figure che nessuna scuola dovrebbe mai conoscere, perché svela, tra l'altro, la pericolosità della stessa scuola nei confronti della salute mentale di chi la frequenta. Ma che la scuola faccia del male, noi non abbiamo mai avuto dubbi! Inoltre, una volta tolti di mezzo gli studenti, quelli che già parlano 'a nome loro' vogliono introdurre altre iniziative e aggiungere nuove modifiche ad un'istituzione che, in realtà, dovrebbe soltanto essere abolita per sempre! Abolire la scuola e i voti? Sarebbe magnifico! Invece no, i parassiti vogliono soltanto una scuola diversa ('ricostruita' ha detto un portaparola delegato) e rimodulare il sistema di classificazione ed etichettatura (voti). E questa sarebbe una rivoluzione? Quante ne abbiamo viste così dal dopoguerra ad oggi? E' proprio per colpa di queste tantissime 'rivoluzioni' che siamo in queste condizioni!
Quindi, ragazzi e ragazze, mi dispiace per voi, ma vi hanno usati e vi stanno coglionando secondo un antico copione, ahimé, sempre funzionante. E funziona soltanto perché forse anche voi ormai non sapete più cosa sia una rivoluzione, state ragionando come chi vi comanda, state usando gli stessi argomenti proposti dalla cultura dominante, la stessa cultura deleteria che state imparando proprio a scuola; addestrati alla delega e all'obbedienza non sapete allontanare i capipopolo, non sapete girare le spalle alle sirene ammaliatrici che vi fregheranno, inesorabilmente, dicendovi per beffa che lo faranno 'per il vostro bene'
Le riforme non sono mai rivoluzioni, sono sempre e soltanto un rinnovamento del sistema di potere. In questi casi, i ministri fanno sempre finta di irritarsi, giocano a braccio di ferro, ma sotto sotto ringraziano quelli che lavorano per loro, anche oggi. Cari ragazzi e ragazze, siete ancora in tempo per mandare al diavolo chi si è intestata la vostra protesta e la sta cavalcando alla grande (con l'avallo di Confindustria, sì proprio lei!). La rivoluzione è un'altra cosa, solo l'azione diretta e l'autogestione ci salveranno, solo quelle!

Spoiler:
Le istanze proposte dai capipopolo di questa protesta non dispiacciono al potere, ma il ministro farà finta di ingaggiare una lotta con 'la base' e alla fine dirà di sì alle riforme (che anche lui vuole), e gli studenti crederanno di aver vinto e di aver fatto la rivoluzione. E mai nulla così cambierà, come mai nulla è cambiato. Film già visto e rivisto, purtroppo.

L'istituzione si autoriproduce, o non è.

Le società cosiddette civili si avvalgono di istituzioni, le quali detengono il potere della parola, nel senso che divulgano una narrazione di sé, convincente, che tuttavia non corrisponde alla realtà. Le istituzioni, in quanto tali, fanno esattamente questo: si autoriproducono all'infinito per mezzo di rituali supportati da una retorica continua. Ed è la scuola l'istituzione in questo senso più pervasiva e fondamentale delle società moderne. La scuola è il vero grande rituale collettivo, ripetitivo e, come tale, non fa che generare la convinzione che essa debba necessariamente esistere, nonostante i risultati nefasti che sono sempre stati voluti dall'ingegneria pedagogica statuale. In parole molto semplici, se con la retorica e la demagogia le istituzioni fan sembrare di essere al servizio dell'individuo, con i fatti sono invece al servizio esclusivo di se stesse e degli interessi di chi ne ha deciso l'esistenza e le governa.

(Questo scritto è una microscopica idea di quel che contiene il libro di Angelo Giglia che uscirà a breve, e di cui anche questo blog vi renderà conto. Stay tuned. Gli aspetti e i temi di cui il libro si occupa sono in realtà tanti, ma sono tutti legati alla scuola e alla necessità di abolirla come istituzione. E' un libro molto interessante, e che disturberà non poco la coscienza degli educati, colpevolmente quieta).

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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