Una citazione al giorno

Una citazione al giorno -
Data Rivoluzionaria

Le tre istanze di Godwin sui danni della scuola

I danni di un sistema di istruzione pubblica [1] derivano, in prima istanza, dal fatto che tutte le istituzioni dello Stato includono in sé l'idea di conservazione... l'educazione pubblica ha sempre speso energie nel sostegno del pregiudizio; insegna non il coraggio morale di portare ogni affermazione alla prova dell'esame, ma l'arte di sostenere princìpi che sono stati casualmente stabiliti in precedenza... Perfino nella insulsa istituzione delle scuole domenicali, i principali insegnamenti sono una venerazione superstiziosa della Chiesa anglicana, e l'inchinarsi a ogni persona che abbia un giubbetto elegante...
In seconda istanza, l'idea di una scuola statale nasce da una scarsa conoscenza della natura della mente umana. Qualsiasi cosa un uomo faccia per se stesso, questo è ben fatto; qualsiasi cosa il suo prossimo o il suo Paese si incaricano di fare per lui, questo è male... Colui che studia perché desidera imparare, presterà attenzione agli insegnamenti che riceve e comprenderà il loro significato. Colui che insegna perché desidera insegnare, assolverà il suo compito con entusiasmo ed energia [2]. Ma quando una istituzione politica si incarica di assegnare a ciascun uomo il suo posto, tutti svolgeranno le loro funzioni con indifferenza e passività...
In terza istanza, il progetto di una scuola statale dovrebbe comunque essere combattuto nella previsione di una sua inevitabile dipendenza dal governo centrale... Il governo non perderà l'occasione di strumentalizzarla per rafforzarsi e perpetuare le sue istituzioni... Il loro scopo come organizzatori di un sistema di istruzione sarà senza dubbio analogo al loro scopo nell'esercizio del potere politico... [3]

William Godwin, 1793

[1] Alla fine del XVIII secolo il concetto di istruzione pubblica era riferito all'ipotesi di un'istruzione di massa capace di raccogliere anche quell'utenza dedita all'istruzione parentale e contadina. Oggi nell'istruzione di massa dobbiamo includere anche la scuola privata nelle sue varie declinazioni, ma sempre sottostanti alle leggi dello Stato e alle riforme ministeriali, il che non genera alcuna differenza sostanziale tra pubblico e privato.
[2] Nella scuola contemporanea tradizionale, quelli che insegnano con entusiasmo ed energia esistono, e sono tanti, ma ahimé la loro energia è indirizzata esclusivamente e inconsapevolmente in un insegnamento strumentale solo alle istituzioni.
[3] Il testo trascritto è tratto da 'Enquiry Concerning Political Justice' di William Godwin (1793) ed è inserito anche nel libro 'Anarchia come organizzazione' di Colin Ward, capitolo IX - Descolarizzazione.

Cronaca di un'ora in 2^ E

Ricopio qui ciò che ho scritto questa mattina in classe.
Classe nuova, pochi incontri fino ad oggi, ma l'intesa è avvenuta. Invito i ragazzi e le ragazze ad auto organizzarsi il loro tempo. Li sto osservando. Ho solo un'ora, è proprio niente, loro invece hanno già subìto quattro ore di lezione, sicuramente sono stanchi e non hanno voglia di 'fare niente', questo mi aiuterà a capire le dinamiche, i caratteri, le loro attitudini. Lascio fare. Tutto comincia ad animarsi, a prendere vita in modo naturale. Ci si muove, si comincia a ridere, c'è chi riesce finalmente a bere, gli occhi si illuminano, qualcuno mi guarda tra l'intimorito e lo stupito, vorrebbe chiedermi 'ma davvero possiamo'? Capisco e gli rispondo ad alta voce: è un vostro diritto, utilizzate tutta la vostra responsabilità nelle decisioni che prendete.
Osservo l'angolo in fondo a destra, ci sono due ragazze che parlano, stanno una di fronte all'altra, si tengono le mani, poi si scambiano affettuosità, carezze, hanno la pace dentro. Un ragazzo preferisce fare degli esercizi di matematica, ma siccome non riesce bene chiede aiuto a una compagna che prontamente gli dà una mano. Tre ragazzi stanno facendo un disegno, stanno colorando insieme una specie di sole viola. Per adesso non c'è neanche molto rumore, anzi. Anche una ragazza fa un disegno libero, però preferisce farlo da sola. Vedo poi due ragazze che passeggiano nell'aula, si raccontano qualcosa con aria complice, sembrano molto affiatate. Una ragazza vuole stare vicino a me, mi chiede: 'hai figli'? La domanda è molto importante. C'è un gruppetto in fondo, sono in tre, giocano a carte. Tutto cambia velocemente, i gruppi si fanno e si disfano, le due ragazze dell'angolo adesso disegnano alla lavagna e attirano altri compagni. C'è una sana interdipendenza tra tutti, non ci sono divisioni, i gruppi sono estremamente aperti, tutta la classe è un unico gruppo eterogeneo e interattivo, dinamico, solidale.
Sulla base di queste prime osservazioni affido a me stesso il compito di non interferire in alcun modo in queste dinamiche, né di intralciarle, né di limitarne le naturali potenzialità ed evoluzioni. Tutte le informazioni che circoleranno durante l'anno scolastico saranno poste al centro e sviscerate, analizzate da tutti i punti di vista, e saranno strumento di lavoro creativo, collettivo e/o individuale. Senza porre limiti o coercizioni, né scadenze preordinate.

Thomas e l'accademia della violenza

Solitamente, nei primi giorni di scuola, il mio approccio alle classi prime (11 anni) si imbastisce sul discorso dell'abitudine alla non-libertà. E' vero, i ragazzi al primo giorno sono un po' spaesati di fronte al nuovo ambiente, ma sanno benissimo cosa troveranno in termini di paura, di normalizzazione, di 'educazione'. Queste persone arrivano dalle elementari già erudite in questo senso, quindi sono prontissime ad accettare qualsiasi coercizione, soprattutto i primi giorni. A governarle è la paura e -peggio- l'abitudine alla stessa. E' cosa terribilmente normale per loro, già a quella età, essere considerati sudditi (senza sapere di esserlo) e idioti (ahimé, credendo davvero di esserlo, molto intimamante).
Così mi è sufficiente stimolare il loro senso di libertà; mostro loro il verso libertario della vita, cioé quello che dovrebbe essere, di contro a quello autoritario, cioé quello che purtroppo è. E tutte le volte si apre un varco di luce negli occhi di questi ragazzi, capiscono al volo. Non è sorprendente, quindi, trovarsi tra le mani un bigliettino del genere, alla fine dell'ora. Lo ha scritto Thomas, che ha elaborato i ragionamenti fatti in classe e li ha sintetizzati in questa frase.


Il fatto che io non avessi mai pronunciato la parola 'accademia' durante tutta l'ora, dimostra che questa persona possiede un proprio vocabolario, e sa gestirlo in maniera personale e in funzione di ciò che vuole esprimere. E' anche una buona prova del fatto che il messaggio è stato ben recepito e metabolizzato. Inoltre, il fatto che l'azione di Thomas sia stata spontanea (da me inattesa), è espressione di empatia nei riguardi del tema trattato.

Piccolo pensiero

Non mi sorprende sapere che la persona più autoritaria della scuola si dichiari poi anche comunista, ma in fondo di questo m'importa in modo relativo, mi sorprende invece vedere come quella stessa persona, che si autoproclama intelligente e aperta, pur riconoscendo il proprio autoritarismo e stimando quel po' di pedagogia libertaria che son riuscito a farle vedere, continui imperterrita a voler innestare con cognizione scientifica atroci paure e ordini tassativi agli studenti. Dico questo a mo' di esempio, perché sono ancora molte le persone riluttanti ad abbandonare gli scettri e la loro voglia di dominare i più deboli (evidente segno di frustrazione). Quelle persone non sanno che un rapporto paritario e libero con tutti/e è fonte di grande soddisfazione e di umano appagamento. Le persone che traggono soddisfazione personale nel compiere atti autoritari sui più deboli sono anzitutto vigliacche, non conoscono la vera gioia di vivere, né la libertà, e sono fondamentalmente alienate.

Lo Stato si imbelletta col modello libertario

Forse la domanda che più di tutte mi viene rivolta è la seguente: 'ma come fai ad applicare una pedagogia anarchica in una scuola di Stato'? Questa domanda si traduce più realisticamente in: 'ma il dirigente scolastico non ti ammonisce'? E scommetto che questa domanda tende a sua volta a soddisfare una sadica voglia di sapere quali atroci torture io abbia subìto dall'autorità.
Chi ha già letto il mio blog sa che io opero in clandestinità, purtroppo, mio malgrado, e con tutti i rischi del caso. Eppure, non sono pochi gli appigli attraverso i quali poter argomentare un'educazione veramente democratica, anarchica, libertaria, umana, all'interno di una scuola statale, quindi autoritaria. E questi appigli li fornisce non soltanto la conoscenza della pedagogia libertaria, ma lo Stato stesso con la sua legge. Paradossale? Lo Stato è impazzito? No, semplicemente lo Stato compie le sue scelte propagandistiche di 'bella apparenza' perché confida nell'ignoranza (in questo caso pedagogica) dei suoi 'educatori'. Già l'anno scorso, ad esempio, nel poscritto di un articolo (***) facevo notare come un testo di legge del 2004 contemplasse la 'centralità della persona' con il corollario di meravigliose parole quali 'allievo protagonista delle proprie scelte', 'valorizzazione della dimensione umana', ecc. Parole e formule però assolutamente disattese dal modello educativo nazionale tradizionale, ma che sono un valido sostegno per l'autodifesa.
Quest'anno c'è addirittura molto più materiale statale su cui contare per difendersi e per operare con più incisività. Questo materiale arriva direttamente dal ministero, e si trova nelle ormai famose (per i docenti) 'indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo d'istruzione' (scarica pdf), un testo che spiega le finalità della scuola e delle singole materie, tracciandone gli obiettivi. E' ovvio che lo Stato, per fare bella figura, non potrà mai scrivere che la scuola mira da sempre ad addestrare sudditi e a promuovere la società gerarchizzata, scriverà invece tutta una serie di formule dal carattere umano e libertario che si allineano alla pedagogia anarchica e all'anarchismo in generale. Non stupitevi, molti politici adottano i princìpi anarchici per farsi applaudire e poi eleggere (proprio oggi Obama, alla Convention, ha parlato persino di 'autogoverno del popolo', facendo però un guazzabuglio aggiungendo nazionalismo e militarismo, e punteggiando il discorso con quella pessima parola (speranza) che sta lì a dimostrare che non v'è certezza alcuna di libertà finché ci saranno presidenti e governi. A confermare ciò è anche la Storia.
Insomma, riguardo ai princìpi libertari presenti nelle indicazioni per il curricolo, voglio fare alcuni esempi concreti. Si amplia la parte dedicata alla centralità della persona:


Ciò vuol dire che la scuola di Stato, come quella parificata, devono venire incontro a quelle finalità didattiche che soddisfano finalmente le esigenze individuali dello studente, a partire da esse, e che tali finalità possono essere definite solo nel suo divenire. Nessuna programmazione a porte chiuse? L'inclinazione data dal ministero è quella, ma certamente i docenti, ignari, appoggiati dai dirigenti autoritari per definizione, continueranno a stilare programmi sulla base del 'come si è sempre fatto', senza tener conto degli studenti che si troveranno tutto già preconfezionato e calato dall'alto. Senza fiatare! Cosa importa poi se...


Nel testo ministeriale si esorta a


Anche oggi, in questo testo, viene promossa la pratica dell'uguaglianza nella convivenza tra individualità diverse con diverse necessità, cosa che però la Scuola tradizionale non potrà mai applicare fintanto che la discriminazione e la competizione saranno portate avanti anche attraverso i voti e/o i giudizi, i premi e le punizioni, il buono e il cattivo, la chiusura in classi (fisiche e anagrafiche), il 'più' e il 'meno', i primi in qualcosa e gli ultimi nella stessa cosa, ecc.
L'inghippo c'è, ovviamente, e non è soltanto quello al quale mi riferivo prima, cioè all'ignoranza dei docenti in merito alla pedagogia, segnatamente libertaria, c'è anche l'inghippo dell'autoreferenzialità dello Stato. Nel testo, infatti, tutto questo (e molto altro) viene fatto passare come un obiettivo che solo lo Stato può raggiungere, e allora i docenti autoritari si aggrapperanno al conservatorismo statale e si compiaceranno del loro 'si è fatto sempre così'. Quindi ecco la contraddizione di fondo: come può uno Stato che, in quanto tale, promuove da sempre l'esistente, la competizione, la discriminazione, la paura, generando sperequazioni sociali e crimini, parlare anche in termini di cooperazione e solidarietà, di uguaglianza nella diversità, di autonomia di pensiero e di scelta degli studenti, di responsabilità degli stessi? La risposta l'ho già data: è molto facile predicare bene per mostrare una faccia splendente e farsi ammirare, molto pericoloso è voler applicare (e far applicare) quanto viene predicato da sempre.
La scuola continuerà a disattendere le sue stesse parole, io no, e adesso sapete anche come mi difendo, al di là del sussidio pedagogico libertario.

Storia della funzione della scuola in poche righe

Prima che i tiranni prendessero il monopolio di tutto, quando l'armonia e la cooperazione tra i popoli erano garanzia di progresso e di pace, oltre che di vita, i bambini avevano un buon modo per imparare le cose del mondo, quel modo consisteva nel gioco, cioé nel trascorrere in libertà il proprio tempo. Osservazione e innata curiosità erano magnifici maestri. 'Tempo libero' è infatti la traduzione di scholè, dal greco antico, ma ciò non vuol dire che gli antichi greci professassero il gioco per i ragazzi da istruire, tutt'altro, semplicemente la parola scholè affondava ancora le radici etimologiche negli antichi terreni di libertà (Creta, molto vicina alla Grecia, fu una gilania fino al 1500 a.C. circa). Assai presto i despoti si resero conto che i giovani agiati, come anche i propri figli, dovevano possedere conoscenze specifiche in materia di guerra, di armi e di disciplina, sì che i virgulti potessero rendersi subito pronti a governare, ma anche a esercitare funzioni istituzionali. I bambini poveri possedevano ancora la libertà del gioco, questo fino a tempi relativamente recenti, soprattutto nelle zone rurali. Purtroppo la progressione della tirannia statale non si arresta, e la scuola, ormai non più intesa come tempo libero, ma come luogo di indottrinamento forzato alle 'discipline', venne resa obbligatoria esattamente come il servizio militare di leva. Durante la 'repubblica' (che tale non è, finchè c'è gerarchia e proprietà privata) tutte le riforme ministeriali della scuola non hanno fatto altro che porre severi controlli su tutto, aumentandoli, anche e soprattutto sui testi scolastici e universitari, e oggi lo Stato si appresta a controllare anche i docenti (attraverso i dirigenti scolastici, a loro volta monitorati), e le previsioni in merito a quel che potrà diventare la scuola da qui a qualche anno sono tutte nefaste. A fronte e per conseguenza di ciò, nascono ovunque nel mondo le scuole libertarie, che rimettono davvero al centro la persona (non solo a parole come fanno le leggi di Stato), rispettano le esigenze individuali, rispettano ed esaltano le attitudini di ognuno, e si riappropriano del gioco quale strumento di crescita e di autoapprendimento. Da Godwin a Bernardi, la pedagogia anarchica non soltanto si pone come l'orizzonte più fulgido da raggiungere per ogni essere umano (che non è distante nello spazio e nel tempo, è già dentro di noi), ma ci dice anche che è tempo di abbandonare ogni parametro acquisito, mettere in discussione ogni cosa precostituita e data per scontata, se vogliamo tornare ad essere persone.

Menomale, non siamo a norma

I mali sociali non sono da imputare alla Natura, ma alla cultura imposta, al tipo di conoscenza acquisita, alla pratica quotidiana che si assorbe fin da bambini. Da troppo tempo ci siamo lasciati dietro la Natura e ciò che essa ci suggerisce di fare e abbiamo idealizzato -portandoli avanti- forme e contenuti di quel che le élites vogliono farci conoscere, affinché si possa agire e pensare come vogliono loro, nei termini che esse hanno prestabilito, per i loro profitti. Perciò viviamo contronatura, in contraddizione, con una perenne e intima guerra tra ciò che dovrebbe essere e ciò che è. E' devastante se pensiamo che un buon numero di malattie prendono avvio da questo contrasto esistenziale. Se dovessimo tutti insieme decidere di ripercorrere la strada naturale, alla fine ci stupiremmo anche della sola idea di Stato e di come abbiamo potuto sopportare -accettandola- una simile aberrazione.
Tutti noi possiamo compiere però delle scelte nel senso dettato dal 'come dovrebbe essere', e non dal 'come è'. Le mode imposte, ad esempio, possono essere largamente disattese. E tra le mode includo anche il pensiero stereotipato e borghese, imprigionato, preconfezionato, divenuto anch'esso un inerte, tanto che non si bada neanche più al vero significato dei termini usati. Anche scegliere un prodotto alimentare piuttosto che un altro è utile. Spesso ai bambini suggerisco acquisti alternativi a quelli imposti dai diktat televisivi, e quando qualche ragazzino mi dice che 'tanto non serve a niente se lo facciamo solo noi', rispondo che è importante farlo anzitutto per se stessi, per un fatto di coerenza personale, per non auto-mentirsi, per non cadere in quella contraddizione tra il come dovrebbe essere e il come è. La scuola, poi, è abilissima a perpetuare l'esistente, praticamente non fa altro.
Anche l'adozione dei libri di testo sembra ormai una moda sclerotizzata più che una vera necessità, senza contare che i contenuti di quel genere di libri sono sempre gli stessi, quelli voluti dai gestori/diffusori della 'conoscenza'. Questo 'calar dall'alto', questo 'già deciso da altri', dovrebbe bastare per farsi venire qualche dubbio in merito al concetto di 'conoscenza'. La lotta che ho compiuto per abolire il libro (vedi), ha già cominciato a prendere valore economico nei portafogli dei genitori, ma comincerà a prendere valore morale nel momento in cui i ragazzi non se lo ritroveranno più sui banchi e negli zaini, e quello sarà un buon momento anche per fare questo discorso (con la semplificazione del caso) e per dire loro che io non mi sono posto il problema di essere l'unico a scuola ad aver abolito il libro (o uno dei pochissimi in Italia nella scuola tradizionale, per ora), anzi ne ho tratto orgoglio personale, l'ho fatto perché non voglio cadere in quella contraddizione, l'ho fatto perché non voglio mentire a me stesso, voglio essere coerente con le mie idee.
Perciò scelgo di essere fuori norma, fuori da quell'inquadramento culturale obbligato con cui il sistema si perpetua e ci pone forzatamente sui suoi binari, mi porto sulla strada di 'un'antica speranza' -come dice Gaber- la strada dell'esigenza naturale che parla di cooperazione, di creatività, di vitalità, di umanità. Insieme ai ragazzi, in armonia dinamica, in direzione ostinata e contraria, e sempre senza padroni.


Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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