Solitamente, nei primi giorni di scuola, il mio approccio alle classi prime (11 anni) si imbastisce sul discorso dell'abitudine alla non-libertà. E' vero, i ragazzi al primo giorno sono un po' spaesati di fronte al nuovo ambiente, ma sanno benissimo cosa troveranno in termini di paura, di normalizzazione, di 'educazione'. Queste persone arrivano dalle elementari già erudite in questo senso, quindi sono prontissime ad accettare qualsiasi coercizione, soprattutto i primi giorni. A governarle è la paura e -peggio- l'abitudine alla stessa. E' cosa terribilmente normale per loro, già a quella età, essere considerati sudditi (senza sapere di esserlo) e idioti (ahimé, credendo davvero di esserlo, molto intimamante).
Così mi è sufficiente stimolare il loro senso di libertà; mostro loro il verso libertario della vita, cioé quello che dovrebbe essere, di contro a quello autoritario, cioé quello che purtroppo è. E tutte le volte si apre un varco di luce negli occhi di questi ragazzi, capiscono al volo. Non è sorprendente, quindi, trovarsi tra le mani un bigliettino del genere, alla fine dell'ora. Lo ha scritto Thomas, che ha elaborato i ragionamenti fatti in classe e li ha sintetizzati in questa frase.
Il fatto che io non avessi mai pronunciato la parola 'accademia' durante tutta l'ora, dimostra che questa persona possiede un proprio vocabolario, e sa gestirlo in maniera personale e in funzione di ciò che vuole esprimere. E' anche una buona prova del fatto che il messaggio è stato ben recepito e metabolizzato. Inoltre, il fatto che l'azione di Thomas sia stata spontanea (da me inattesa), è espressione di empatia nei riguardi del tema trattato.
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