Una citazione al giorno

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Data Rivoluzionaria

William Godwin: sui danni cagionati agli studenti da parte dello Stato

William Godwin è stato un pensatore inglese vissuto a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, precursore del pensiero anarchico in età moderna. In qualità di pedagogista, Godwin è stato il primo a segnalare e a denunciare la pericolosità del controllo statale sull'educazione dei giovani, segnatamente nelle scuole.
Da 'Enquiry Concerning Political Justice', trascrivo le seguenti righe, che sono state opportunamente riportate anche nel libro di Colin Ward 'Anarchia come organizzazione'. Godwin parte da una domanda:

Se l'educazione della nostra gioventù sarà affidata interamente alla saggezza dei genitori, o alla casuale benevolenza di privati, non si avrà come necessaria conseguenza che alcuni saranno allevati alla virtù, altri al vizio, e altri ancora saranno totalmente trascurati?
I danni di un sistema di istruzione pubblica derivano, in prima istanza, dal fatto che tutte le istituzioni dello Stato includono in sé l'idea di conservazione... l'educazione pubblica ha sempre speso energie nel sostegno del pregiudizio; insegna non il coraggio morale di portare ogni affermazione alla prova dell'esame, ma l'arte di sostenere princìpi che sono stati casualmente stabiliti in precedenza... Persino nella insulsa istituzione delle scuole domenicali, i principali insegnamenti sono una venerazione superstiziosa della Chiesa anglicana, e l'inchinarsi a ogni persona che abbia un giubbetto elegante...
In seconda istanza, l'idea di una scuola statale nasce da una scarsa conoscenza della natura della mente umana. Qualsiasi cosa un uomo faccia per se stesso, questo è ben fatto; qualsiasi cosa il suo prossimo o il suo Paese si incarichino di fare per lui, questo è male... Colui che studia perché desidera imparare, presterà attenzione agli insegnamenti che riceve e comprenderà il loro significato. Colui che insegna perché desidera insegnare, assolverà il suo compito con entusiasmo ed energia. Ma quando una istituzione politica si incarica di assegnare a ciascun uomo il suo posto, tutti svolgeranno le loro funzioni con indifferenza e passività...
In terza istanza, il progetto di una scuola statale dovrebbe comunque essere combattuto nella previsione di una sua inevitabile dipendenza dal governo centrale... Il governo non perderà l'occasione di strumentalizzarla per rafforzarsi e perpetuare le sue istituzioni... Il loro scopo come organizzatori di un sistema di istruzione sarà senza dubbio analogo al loro scopo nell'esercizio del potere politico...
Queste parole sono state scritte nel 1793. Sarebbe bello se gli odierni insegnanti si rendessero conto che da allora non è stato compiuto nessun passo avanti in senso di autonomia e centralità della persona (cosa di cui la scuola si vanta di perseguire, ipocritamente), al contrario, tutto è rimasto modellato sul sistema autoritario e subdolamente conservato. Invito pertanto i miei colleghi a ragionare sull'esattezza dell'affermazione di Godwin: 'i danni di un sistema di istruzione pubblica derivano, in prima istanza, dal fatto che tutte le istituzioni dello Stato includono in sé l'idea di conservazione'.

Parlando con due bambini di sette anni

A chi stiamo passando il testimone del futuro dell'umanità se non a coloro che oggi siedono a scuola? E come potrà mai cambiare questa società ingiusta (ammesso che la si voglia cambiare, ammesso che la si trovi ingiusta) se ci ostiniamo a inculcare al bambino gli stessi modelli e le stesse conoscenze che abbiamo assorbito noi adulti, nostro malgrado? Se noi, nella nostra presunzione di giustizia e di sapienza, continuiamo a imporre ai bambini l'identica matrice che ci ha forgiati, è evidente che dalla madre-forma uscirà sempre la stessa forma. Perché illudersi ancora, dopo tremila anni di Storia, che da un modello di forma X si debba generare una forma diversa da X? L'errore di fondo è poi credere che il bambino abbia davvero necessità di 'madre-forme', dovrebbero essere piuttosto gli adulti a ri-formarsi imparando dalla forma-bambino, riadattandosi ad essa. Troppo avvilente? Sacrilego? Indisponente? Impertinente? Se proprio non si vuol ammettere che un bambino possa inseganre all'adulto, non sarebbe allora il caso di cominciare a ripristinare i modelli e i valori che hanno caratterizzato il genere umano prima della nascita degli Stati e del loro connesso sistema capitalistico-guerresco-gerarchico-competitivo-autoritario?
Come forse qualcuno sa già, parallelamente al mio 'lavoro ordinario' nelle classi medie, sto indirizzando i miei studi e le mie osservazioni verso i bambini delle elementari. Faccio quel che posso, nel senso che sfrutto le mie ore-buca per andare nelle aule dove vengono rinchiusi i più piccoli, con i quali parlo, se e quando essi lo desiderano. Ecco un breve dialogo intercorso ieri in una classe seconda elementare. Se tutti i bambini rispondono come hanno risposto Franco e Maria, capirete per quale motivo il futuro dell'umanità ha ben poche possibilità di cambiare in meglio. I due bambini hanno 7 anni.

Ero seduto a terra, zitto, con le spalle appoggiate al muro. Osservavo attentamente i bambini nell'aula, stavano a gruppetti. Uno di loro, Franco, si avvicina a me e esordisce così:
- Lo conosci Batman?
- Certo che lo conosco, conosco anche Robin.
- Lo sai che a me piace Batman?
- Perché ti piace?
- Perché è un super eroe.
- A me non piace Batman.
- Perché?
- Perché è un super eroe.
- Perché?
- Perché a me piace la gente semplice, quella che costruisce le case, quella che aggiusta le sedie, quella che coltiva la frutta che stai mangiando, la gente di tutti i giorni.

(qualche secondo di silenzio, poi Franco 'cambia' discorso)

- Lo sai che io a casa ho i videogiochi?
- Io no.
- Perché?
- Non mi piacciono i videogiochi, preferisco giocare con altre cose.
- E con che cosa giochi?
- Con le cose vere, per esempio mi piace la trottola. Mi piace giocare con i colori, mi piace toccare il legno, mi piace suonare la chitarra, mi piace arrampicarmi sugli alberi, mi piace giocare con la sabbia del mare.
- Io a casa ho tanti videogiochi.
- Quale videogioco ti piace di più?
- Quello dove devo difendere il castello dai nemici. Ma tu sei un maestro?
- No, sono una persona.

(nel frattempo arriva Maria e il dialogo adesso è solo con lei)

- Lo sai che io sono famosa?
- Sei famosa? E perché?
- Perché mi hanno messa sul giornale. Mio padre ha comprato il giornale e mi ha chiamato e mi ha fatto vedere che c'era il mio nome. Sono famosa e da grande voglio fare l'atleta famosa.
- E cosa vuol dire 'sono famosa'?
- Che sono importante.
- E cosa vuol dire essere importanti?

(silenzio, ci pensa)

- Che tutti mi conoscono.
- Io non sono famoso, però mi conoscono in tanti lo stesso. Forse essere importanti vuol dire che sei come un capo. Ti senti come un capo?
- Sì.
- E cosa vuol dire essere un capo?
- Che comando tutti.
- Vuoi comandare tutti?
- Eh, così tutti fanno quello che voglio io.
- Sei contenta di essere famosa perché così puoi comandare tutti?
- Sì.
- E non pensi che gli altri possano soffrire se li costringi a fare quello che non vogliono fare?

(si alza e se ne va)

A sette anni il modello autoritario è già innestato e ben delineato, sia in Franco, sia in Maria. L'ambiente familiare, la cultura teleimposta e quella borghese, nonché l'ambito scolastico (che hanno tutte almeno tre elementi in comune: l'autoritarismo, la competizione e la disciplina) hanno già formato il loro carattere, gli hanno già dato la piega voluta dal sistema. Se il modello autoritario e competitivo assorbito dai due bambini trova riscontro anche nei comportamenti e nei pensieri degli altri bambini, non dovremo aspettarci un cambiamento dell'umanità in senso cooperativo e pacifico, ma in quello ancora più sperequativo, gerarchico e aggressivo. La mia osservazione non si limiterà a quesi casi, peraltro già da altri ampiamente documentati, ma da qui devo partire se voglio arrivare alla chiusura di tutti i cerchi in merito alla metodologia del sistema statalizzato, ed avanzare in quelle analisi che rafforzano le ragioni e le urgenze della pedagogia libertaria, al fine di adattarla ad un presente sempre in divenire (verso il peggio).

Simone lascia la scuola!

Oggi ho ricevuto una bellissima notizia da Simone: tra pochi giorni lascerà la scuola e anche la comunità dov'è stato rinchiuso, e tornerà in seno alla sua amata e lontana famiglia. Ora, io non so quanti dei lettori di questo blog si ricordano di Simone (nel caso potete cliccare qui), ma coloro che hanno una buona memoria sapranno anche il motivo della mia gioia.
Arrivo a scuola, già le 11, non mi accorgo di Simone ma lui di me sì, quindi mi corre incontro e mi abbraccia, solo il tempo per dirgli 'ciao' e subito mi annuncia: 'a fine mese non verrò più qui'. Uno sguardo d'intesa e ce ne siamo andati subito in cortile a parlare di questa magnifica notizia. Simone mi ha spiegato che il motivo risiede esclusivamente nel fatto che la comunità dove è stato rinchiuso non riceve più i soldi dal Comune, e dato che quella comunità stava in piedi solo per Simone (di fatto l'unico recluso), il Comune ha chiuso quel lager. Quindi alla base di questa notizia non c'è una decisione presa per motivi umani e pedagogici, ma meschinamente economici. E infatti gli esseri umani non sono considerati tali dalle istituzioni, ma pedine e servi del sistema economico capitalistico. Però quando all'inizio Simone era stato rinchiuso in quel lager, i 'servizi sociali' e la scuola avevano addotto propositi educativi ('lo facciamo per il suo bene'). Naturalmente erano tutte scuse. E' sufficiente che una persona si configuri come un intralcio economico alle istituzioni perché queste si scordino delle loro ipocrite 'promesse di protezione' (proprio come la favoletta della 'sicurezza'). Le autorità e le istituzioni sono 'solo chiacchiere e distintivo'. Ma tutto torna a favore di Simone, perché non c'è mai stato nessun principio umano in quella comunità, men che meno valori educativi, esattamente come a scuola.

In subordine è successo che:
1) il Comune chiude la comunità per questioni economiche.
2) la comunità non può più accompagnare Simone a scuola.
3) Simone non è più vincolato alla comunità, né alla scuola.
4) Simone ritorna ai suoi lontani genitori.

(Quindi tutto si presenta come all'inizio di questa brutta storia, solo con un Simone annichilito e alienato dalle mille coercizioni subite e dalla mancanza di affetto dei genitori. Complimenti alle istituzioni ipocrite che si ergono a tutrici del bene umano!)
Poi è sopraggiunta la tristezza di non vedersi più, ma anche questo fa parte della libertà e del viaggio della vita di ogni persona. Simone mi ha detto che ci si potrà tenere in contatto via internet. Ci sarò.

Studiare e imparare

C'è un'enorme differenza tra studiare e imparare. A scuola si studia, cioè si pretende che il bambino o il ragazzo ingoi a forza le cose, costretto da un'autorità, anzi da più di una. Ma questo atto coercitivo genera necessariamente odio da parte dello studente nei confronti del sapere scolastico e della scuola, un senso di forte repulsione. Almeno il 99% degli studenti percepisce la scuola noiosa, faticosa, orribile, uno sforzo di cui farebbero volentieri a meno. Non è colpa dei ragazzi, anche se gli insegnanti questo continuano a non capirlo, perché anche loro hanno subìto lo stesso processo di normalizzazione e di formazione coatta, e più un ragazzino è svogliato o insofferente nei confronti della scuola, più gli insegnanti tradizionali pensano che sia necessaria una più severa 'scolarizzazione'. Conoscere le cose è uno dei processi naturali e vitali di ogni essere vivente, ma questo processo a scuola diventa persino atto sistemico omologante, quindi profondamente ingiusto, violento e innaturale.
Imparare è un'altra cosa, è la gioia di conoscere in maniera naturale, ognuno secondo i propri ritmi, secondo i propri tempi, secondo i propri desideri e le proprie modalità. Ed è il gioco che conduce spontaneamente alla conoscenza delle cose, gioco inteso come condizione libera dell'individuo, naturale, non soggetta a costrizioni o a leggi autoritarie da parte di qualsivoglia autorità, docente, genitore o 'adulto' che sia. Per cui nel gioco tutto diventa piacere, anche imparare. I colleghi insegnanti ('adulti, quindi seri') troppo spesso confondono il concetto di 'gioco' e capiscono un'altra cosa, credono cioè che sia sufficiente trasformare un'informazione in un momento ludico prestabilito, preorganizzato, pre-pensato, magari facendo una battuta o trasportando quella nozione sul piano degli esempi figurati, drammatizzati, scenici. Quei colleghi dovrebbero sapere che non è sufficiente far scattare il sorriso collettivo, l'educatore non dovrebbe essere un duce sul pulpito dell'adunata che lavora di psicologia, gli studenti finiranno molto presto per capire la sua menzogna scenica, capirebbero -e capiscono- che la nozione viene calata sempre dall'alto, che viene comunque imposta, e in quel teatro il docente si aspetta comunque (pretende) che tutti -come prima- sappiano quella nozione in quel dato modo, in quel preciso momento, nell'identica struttura normalizzante e uguale per tutti, seppur sorridendo. Il gioco, invece, rispetta la diversità naturale di ogni individuo predisponendolo all'apprendimento in modo spontaneo. Certo, per il gioco occorre tempo libero, cosa che l'umanità si è lasciata rubare. Tempo libero, altrimenti detto scholḗ, ovvero scuola.

Quel che conta

Che strano vuoto intorno, lunare, freddo, azzurro, opaco, nessuna voce, nessuna presenza. Mi riferisco al vuoto-web dei miei colleghi, delle mie colleghe; ma non i colleghi di cui è strapiena la società, non quelli che vedo tutti i giorni a scuola, mi riferisco invece agli educatori libertari. Magari l'avevate già capito. Proprio per il fatto che siamo ancora così pochi dovremmo quantomeno lanciarci delle voci: 'hey, io sono qui, e tu? Cos'hai fatto oggi in classe? Hai avuto problemi? Mi dài un consiglio? Che ne pensi di questo disegno'? Invece il silenzio. Ma più di questa umana esigenza relazionale, potrebbe l'urgenza o la priorità di mettere in rete quanti più nostri contributi al fine di divulgare la pratica pedagogico-libertaria. Forse più che di contributi dovrei parlare di con-tributi, perché se è vero che gli insegnanti libertari esistono, è altrettanto vero che questi hanno forse finito per assumere l'esclusiva sembianza di un libro. Va benissimo, ma un po' di divulgazione della nostra pratica anche in rete non guasterebbe. Non mi si fraintenda, non lo dico per far piacere a me personalmente (anche se non disdegnerei imparare dai colleghi), ma proprio per quell'urgenza di cui sopra, per quella necessità gridata dalla comunità, dai bambini, dalla società normalizzata e beffata dalla sua stessa autorità.
Aver sentito da parte mia l'esigenza di aprire questo blog-diario rispondeva anche (sottolineo anche) alla necessità di compartire le esperienze e di confrontarle, ma vedo che questo risulta difficoltoso. Per conoscere quel che fanno i miei colleghi libertari a scuola devo andare in libreria. Va bene, ma quale logica ci sia dietro non riesco a immaginare, se quella del profitto tout-court, o quella del 'muoviti, fai un salto in centro che ti fa bene', o quella che 'l'esperienza è mia e non la regalo a nessuno'. Non importa. Anzi, non m'importa. Sono contento -e anche tanto- per questo blog da cui qualcuno so che attinge per i suoi esercizi di libertà, ne vado fiero; e se sono contento anche per i miei colleghi associati-italiani-autori-editori, lo sono molto meno per il mancato senso tutto libertario e anarchico della condivisione aperta, libera, utile a tutti, per il bene di tutti. Una volta una mia collega 'regolare' mi aveva chiesto come si svolgessero le lezioni in una scuola libertaria ('in maniera pratica', insisteva a chiedere), e io non avevo neanche capito che quella che per me era una domanda alquanto illogica, invece nascondeva un'esigenza assolutamente comprensibile, quella che tutti i non conoscitori della pedagogia libertaria hanno. Ma cosa dovrei dire a quella mia collega, oggi? Scusa, amica mia, posso solo dirti quello che faccio io in classe, ma di ciò che fanno gli altri miei colleghi libertari non ne so nulla? Sì, le dico così, o tutt'al più le suggerisco qualche libro.
Senonché, mentre riflettevo su quest'assenza-web del tutto legittima da parte dei colleghi libertari, mi ricordavo anche di un articolo apparso su Umanità Nova, e allora certe sfumature sono diventate tratteggi più precisi, proprio come una rete, ma di un'elasticità troppo simile alla gomma.
Per carità, nessuno obbliga nessuno, è assolutamente possibile che il mio blog non interessi ai colleghi libertari, e poi, davvero, per quale motivo essi dovrebbero interessarsi ai miei esercizi e ai miei pensieri? Sembrerò forse intristito e disilluso, non so in quale chiave mi stiate leggendo, invece sono contento -e dico sul serio- di questo blog, dei miei studenti, dei lettori che mi seguono, sia qui, sia su facebook, sono felicissimo del fatto che io condivida con gli altri ciò che faccio e ciò che penso, senza scontrini di mezzo. Oggi so che il mio lavoro ha ancora più valore poiché, oltre ad essere clandestino e 'in direzione ostinata e contraria', oltre a procurarmi continue soddisfazioni, viene svolto in esemplare e assoluta autonomia. Io e i miei amabili studenti. Stop. Forse è ciò che conta davvero.

All'inizio del bivio

Comincio adesso uno studio più approfondito e diretto che riguarda la relazione tra i bambini delle elementari e quelli delle medie, una relazione non certo interpersonale (che nelle scuole tradizionali non esiste, purtroppo). Mi prefiggo sostanzialmente di individuare, nella scuola dove insegno, il momento in cui il sistema scolastico comincia ad agire col suo progetto (occulto) di normalizzazione dell'individuo, cioè quando la scuola comincia a distruggere l'autostima e a innestare il senso di paura. Oggi ho cominciato ad osservare i bambini di 6 anni. Quello che però è balzato immediatamente agli occhi è stato lo sguardo stupito e allarmato delle mie colleghe che non capivano (manco fossi stato un alieno) per quale motivo un insegnante delle medie fosse lì alle elementari. Ecco, quegli sguardi allarmati delle colleghe insegnano tanto ai bambini, in male ovviamente.

Esonda il fiume: che fare?

Quello di oggi è stato un esercizio basato su un ipotetico problema da risolvere con il contributo di tutti e per il bene di tutti. Le soluzioni vengono analizzate e discusse. Alla fine si sceglie la soluzione ritenuta più saggia e proficua, e si traggono le conclusioni.
Entrando nel merito, oggi il problema è stato il seguente: abitiamo tutti al villaggio di Lapillodoro. Il nostro villaggio è stato inondato dalle acque del fiume che nella notte ha tracimato in maniera violenta e inaspettata. I danni sono stati ingenti, l'acqua ha travolto i piani bassi delle case, ma non ci sono state vittime tra le persone, ogni orto è stato spazzato via. Il danno maggiore lo ha avuto l'unica fattoria del villaggio. Questa fattoria, trovandosi in prossimità del fiume, ha ricevuto l'ondata di piena con molta violenza, molti animali non ce l'hanno fatta, solo il mulo e due mucche si sono salvate, le mangiatoie non esistono più, tutto il fieno è disperso ed è mischiato al fango, il trattore è fuori uso, fango e pietre ricoprono ogni cosa fino a un metro di altezza. Giovanni il fattore è disperato, ma anche tutta la comunità, perché la fattoria garantiva a tutti cereali, latte, formaggio, uova, pollame, ecc. Che fare?

Qualcuno dei ragazzi ha cominciato a esporre la sua soluzione.
  1. Aiutiamo il fattore a ripulire e al contempo puliamo anche le nostre case.
  2. Andiamo tutti ad aiutare il fattore.
  3. Raccogliamo tra di noi i soldi e ricompriamo sia gli animali, sia gli attrezzi della fattoria.
  4. Mio papà fa il muratore e il papà di Luca è elettricista. Loro possono aiutare.
  5. Mia mamma ha il ristorante, possiamo fare da mangiare.
Ma i ragazzi, che sono ancora umani, non hanno giustamente badato a un 'particolare' che è invece prerogativa degli adulti incancreniti nel modello autoritario. Quindi ho posto loro il primo ostacolo, quello della proprietà privata. Ho detto ai ragazzi che alcune persone, constatata la buona condizione della loro casa, accetterebbero sì di aiutare il fattore a pulire la fattoria, ma non di contribuire economicamente all'acquisto di ciò che gli serve. 'In fondo -dicono quelle persone- la fattoria appartiene al fattore, e dev'essere lui a preoccuparsi dei suoi attrezzi, come noi ci preoccupiamo da soli di comprare gli attrezzi per la cura dei nostri frutteti che, anche quelli, servono per rifornire tutti di frutta al mercato'.
Come si fa?

Risposte.
  1. Non si dovrà più permettere a quelle persone di acquistare i prodotti del fattore.
  2. Quelle persone potranno acquistare i prodotti del fattore solo dopo un certo periodo di tempo.
  3. Quelle persone potranno acquistare tutto dal fattore, ma chi ha contribuito economicamente ad aiutare il fattore non dovrebbe comprare la frutta di quelle persone.
  4. Si parla con quelle persone e si cerca di convincerle.
  5. Quelle persone possono continuare a beneficiare dei prodotti del fattore, come hanno fatto sempre, questo può insegnare loro il senso del bene comune, però una sgridatina ci vorrebbe.
Dato che i ragazzi non sapevano cosa decidere tra le ultime due risposte, ho ritenuto doveroso aiutarli dicendo che poteva essere scelta più di una soluzione, e alla fine hanno deciso come segue: parliamo con quelle 'persone proprietarie' e, se non dovessero convincersi, diciamo loro che potranno lo stesso beneficiare di tutti i prodotti della fattoria, esattamente come facevano prima. In questo modo nessuno si priverebbe di nulla, ma 'i proprietari' verrebbero spronati a considerarsi 'in debito' nei confronti della comunità.
Risolto questo problema, rimaneva ancora quello della fattoria distrutta. Sì, perché a parole sembra tutto facile e risolvibile, in realtà ho posto ai ragazzi il più grosso dei problemi: l'autorità costituita. Il villaggio ha un sindaco, il quale, dopo aver dichiarato lo stato di calamità naturale, deve attendere istruzioni precise, un'équipe di tecnici venuti da Roma per le analisi dei danni, il sopralluogo dei pompieri, le maestranze per il transennamento, la protezione civile, e cosa più importante i soldi dallo Stato. Il sindaco ci ordina di non fare nulla e di attendere, possiamo solo togliere il fango dalle nostre case, ma solo dopo l'ispezione dei pompieri e l'ok della protezione civile. Passano i giorni e nulla si muove, andiamo avanti solo grazie agli aiuti degli abitanti delle città vicine, il sindaco emette ordinanze restrittive 'per la sicurezza dei cittadini', ma i soldi pubblici rimangono bloccati e i lavori, che erano stati affidati in appalto a una ditta sconosciuta, non partono. Di fatto, non possiamo più agire come avevamo deciso, e siamo obbligati a subire passivamente gli ordini di tutte quelle autorità.
A quel punto ho visto nella classe le smorfie di sdegno da parte di tutti, alcuni si sono lamentati vistosamente. Ho detto ai ragazzi che è quel che accade normalmente. Alla fine ho chiesto loro: a cosa serve l'autorità? Mi hanno risposto: 'a creare problemi alla gente'.

L'anonimo artista, libertario in un'ora

Il disegno che vedete è stato realizzato con un intento preciso: procurare nell'osservatore un senso di caos, di violenza e di disordine. Pensate che l'opera abbia raggiunto il suo scopo? Tenete a mente la vostra risposta e poi, caso mai, rispondete nello spazio dei commenti.
La particolarità di quest'opera non risiede tanto nella tecnica o nel messaggio contenuto (sì, anche), ma soprattutto nel fatto che io non conosco il nome dello studente che l'ha realizzata. Occorre spiegare bene. Chi legge questo blog forse saprà già che ogni tanto, quando mi capita, per diletto o per supplenza, vado a far visita nelle classi che non conosco. In queste classi sono solito aprire il discorso sulla pedagogia libertaria, utilizzando anche una certa pratica libertaria che gli studenti immediatamente colgono, apprezzano e imitano. I discorsi vertono anche sul ruolo degli Stati e sulle persone oppresse dai medesimi, costrette dentro schemi imposti, obbligate a seguire leggi che vogliono avere la presunzione di renderci giusti e liberi, eccetera. Insomma, facile poi fare anche esempi agli studenti visto che subiamo tutti questo tipo di scuola (modello di Stato in miniatura, ma altrettanto oppressivo e burocratico).
L'altro giorno meditavo nel cortile su cui si affacciano le finestre delle aule al piano terra. Una di queste finestre era aperta. Mi sono avvicinato e ho scorto i ragazzi e le ragazze intente a disegnare. Erano gli alunni di una classe non mia, ma essi avevano potuto ascoltare uno di quei miei discorsi sulla libertà, due mesi prima circa, nel corso di una supplenza di un'ora. Ed ecco che un ragazzo, quello che ha realizzato l'opera in alto, quando mi ha visto si è avvicinato alla finestra e, mostrandomi la sua opera, mi ha detto: 'prof, questo disegno rappresenta il caos e la violenza degli Stati'. Avevo la macchina fotografica e ho fatto clic.
Perché è importante questo fatto, tanto da sentire da parte mia la necessità di riportarlo in questo diario pubblico? Perché quel discorso sulla libertà, fatto velocemente, è rimasto nella coscienza di questa persona, e ci è rimasto così tanto da esprimerlo ben due mesi dopo in un disegno. Evidentemente quello della libertà è un tema a lui caro, ma so che molti in quella classe hanno colto e capito il messaggio libertario. Anche questa esperienza mi dà conferma del fatto che i ragazzi più sono giovani e più in fretta capiscono l'anarchia. E non ne hanno paura, anzi.

Un esempio di quel che avviene in soli cinque minuti di 'supplenza libertaria' (clicca qui)

Questo è Fabio

Fabio è un ragazzo dall'animo sensibile e dolce, e la sua 'erre moscia' sembra addolcirlo ancora di più. E' anche un poco timido e profondo nei suoi pensieri. Al primo anno manifestava dislessia e disgrafia, ma si sono ambedue affievolite nell'arco dei tre anni. Sovente si isolava dai compagni, ma poiché la classe è una di quelle dove il senso di umanità non si fa certo desiderare, oggi Fabio si relaziona con tutti in maniera naturale. Se devo dirla tutta, negli ultimi tre anni questa classe è stata quella che, fin dall'inizio e rispetto alle altre, ha saputo meglio interagire con i discorsi sulla società e sulle problematiche ad essa connesse, politica in testa. Appena entro in classe c'è sempre qualcuno/a che chiede con fervore: 'prof, ha sentito di quella cosa...'?
L'anno scolastico sta per concludersi ed oggi Fabio ha sentito l'esigenza di esprimere il suo ringraziamento nei miei confronti con il biglietto che vedete qui in alto. In tutte le classi dove si affrontano esercizi di libertà e si parla di anarchia, c'è sempre la persona che sente più di altre lo schiocco di un risveglio di coscienza (ricorderete Matteo), come un aprire repentinamente una porta che era tenuta nascosta, chiusa. E in questa classe sono due i ragazzi che maggiormente hanno interiorizzato l'anarchia, riconoscendosi totalmente in essa, non come una dottrina che si impone dall'esterno e dall'alto, ma come un fattore interiore, proprio, naturale, venuto finalmente alla luce; uno di questi due ragazzi è dunque Fabio.
Dato che in tre anni ho potuto parlare in questa classe dei vari aspetti dell'anarchia, Fabio ha scoperto quello che ha sentito più aderente a se stesso: l'aspetto Uomo-Natura e le leggi armoniche che giocano in questo rapporto. Allora dovreste vederlo, Fabio, quando in giardino o in cortile scopre un papavero e ne osserva meticolosamente ogni parte, e poi mi chiama perché vuole condividere con me la sua emozione nell'annusare le varie erbe, o quando mi parla delle sue preferenze circa quegli odori naturali.
Un pomeriggio l'ho incontrato che era con dei suoi amici, ha voluto accompagnarmi in un appezzamento di terra incolta. Una volta giunti su quel terreno pieno di sterpaglie mi ha detto: 'qui potremmo fare il nostro orto sociale'. Lo faremo, Fabio, lo faremo, insieme ai tuoi amici. Ti abbraccio.

Goran disegna un'assemblea

Lascio qui il disegno di Goran (11 anni) che restituisce l'immagine di una nostra assemblea. In quell'occasione i ragazzi e le ragazze avevano discusso una regola a causa di un litigio che era parso a tutti/e particolarmente fastidioso. E' stato deciso che tutto il gruppo classe, da quel momento in poi, si sarebbe interessato di tutti gli eventuali futuri attriti, aiutando i diretti interessati a fare pace. Grazie, Goran. Gran bel disegno!

Come affrontare il test INVALSI?

Oggi test nazionale Invalsi. Non c'era solo Italiano e Matematica, c'era anche un questionario individuale, roba che non ha nulla a che vedere con la didattica, ma con il controllo coatto sulla persona, un'ispezione neanche tanto mascherata. Come abbiamo affrontato, noi libertari (intendo i miei ragazzi ed io), questa schedatura obbligatoria?
Il problema era sostanzialmente quello di affrontare un obbligo dello Stato, ma con la coscienza data dalla conoscenza, la quale procura dignità personale. Viviamo in un sistema autoritario e di controllo costante sugli individui, quindi è chiaro che gli obblighi più nefasti che ci piovono dall'alto dobbiamo spesso subirli, anche noi libertari, nostro malgrado. Come si fa? Bisognerebbe quantomeno essere consapevoli del sopruso che si riceve e non considerarlo invece, ciecamente, 'cosa giusta' perchè 'lo dice l'autorità'. E allora...
Nei giorni precedenti ho cercato di chiarire ai ragazzi il discorso sull'Invalsi. Praticamente ho riferito sul come l'Invalsi voglia farsi percepire e su cosa, invece, realmente sia. Alla fine ho sintetizzato il discorso dicendo che questa somministrazione calata dall'alto serve sostanzialmente a registrare quale grado di appiattimento e omologazione hanno ricevuto e raggiunto gli studenti da parte della scuola fino ad oggi.
Durante la schedatura ho accuratamente cercato di sdrammatizzare il clima pesante e grigio da inquisizione istituzionale, sapete quel genere di paura strisciante di cui si serve sempre l'autorità per poter governare meglio i sudditi? Ecco, sono bastate due battute ed è sparita la paura. Ho visto volti inclini alla risata che poi naturalmente è arrivata, esplodendo come una bomba provvidenziale che ha riempito di vitalità la cella. Evviva!
La consapevolezza dei ragazzi riguardo alla schedatura e al test sulla normalizzazione ha generato un clima molto rilassato, a tratti però anche contrariato. Mi sono ben guardato dal vietare loro di aprire le pagine solo dopo 'il via', e infatti, dato che tutti erano curiosi di vedere come l'autorità avesse strutturato il loro fascicolo, si sono precipitati ad affondare lo sguardo in quelle pagine (quanti soldi sprecati!). Intanto, tra un espletamento burocratico e l'altro, si erano già fatte le 9:30, i ragazzi cominciavano anche ad avere fame. Secondo 'gli ordini superiori' non avrebbero potuto mangiare se non dopo aver finito il primo test (Italiano). Ma sarebbe stato troppo tardi per loro. Quindi, ho detto ai ragazzi di sentirsi liberi di mangiare quando volevano, anche durante il test. Così è stato. Non è morto nessuno.
La cosa più interessante è stata però il fatto che siamo riusciti a trasformare la schedatura dell'Invalsi in un proficuo esercizio di cooperazione. Certo, in origine il test è individuale, ma come non approfittare del fatto che le domande sono uguali per tutti? Se una comunità vuole vivere davvero in armonia, è necessario che si sviluppi un senso di collaborazione tra le varie individualità, al fine di risolvere meglio tutti i problemi che riguardano quella comunità. E' scattata perciò l'operazione solidarietà, dove certe domande del test, nozionistiche fino all'inverosimile, si sono trasformate in una sorta di gioco comunitario, quindi diventate oggetto di discussione e di ragionamento collettivo. Molto bene. Ho ascoltato a mezz'orecchio soluzioni diverse per lo stesso tipo di problema, ma che però non potevano essere prese in considerazione dal piano di normalizzazione dell'individuo, che invece ne prevede solo una, la soluzione pre-stabilita, che magari sarà anche la migliore (non è detto, dipende), ma che nella scuola viene sempre imposta ai ragazzi, già impacchettata, senza che questi possano trovarla da soli col ragionamento e con il gioco (cosa che irrobustirebbe le conoscenze).
Ho lasciato i ragazzi che erano quasi tutti in piedi: chi ancora mangiava, chi si raccontava storielle, chi si faceva i fatti suoi. Il turno per Matematica dovevo lasciarlo a un altro collega, perciò al suo ingresso tutti zitti, tutti seduti, tutti immobili, tutti redarguiti. Ma tutti con una forte coscienza di ciò che stavano subendo. In ciò sta la differenza!

P.S. Giorno 16 maggio molti studenti alle superiori boicotteranno la prova Invalsi (consegnando in bianco, non entrando a scuola o depennando il numero di codice individuale che viene attaccato su ogni fascicolo). Questa si chiama disobbedienza. Disobbedienza civile. Ieri , test nelle elementari, molti docenti non hanno 'somministrato' e molti genitori non hanno mandato i figli a scuola.

Lettera aperta a Massimo Gramellini

Nel programma di Fabio Fazio Che tempo che fa del 5 maggio scorso, Massimo Gramellini richiama i padri e i professori al loro ruolo tradizionale (che secondo lui, in base a una sua arbitraria interpretazione di un fatto sportivo, sono diventati troppo buonisti nei confronti dei giovani) che dovrebbero tornare ad adottare 'il principio all'autorità' perché -dice testualmente il giornalista- 'un ragazzo per crescere ha bisogno di punti di riferimento precisi (perché) i genitori, i professori, gli allenatori di calcio non sono dei fratelli maggiori e neanche dei compagni di gioco, sono degli adulti, uno sporco lavoro, ma qualcuno, in questo Paese di eterni bambini, deve pur farlo'.
Intanto non capisco a che titolo parla questo signore, se come pedagogista, o come giornalista de 'La Stampa' prestato alla tv. In ambedue i casi, però, egli mostra soltanto una profonda ignoranza in materia di educazione, semmai soltanto una voglia di imitare coloro che lui stesso accusa di fronte alle telecamere per la loro demagogia.
Allora, se il signor Gramellini mi leggerà, vorrei dirgli quanto segue:
signor Gramellini, le rispondo con una certa cognizione ed etica, vista anche la mia professione. Comincio col chiedermi ancora quali siano le sue competenze per proferir parola ad alcuni milioni di persone in merito a una materia che, a quanto ne so io e da come si evince in maniera chiara, le è completamente sconosciuta, innalzandosi sul presbiterio catodico per indicare/imporre da un pulpito autoritario il come si fa sia ai genitori, sia ai docenti (per gli allenatori di calcio la sua predica sarà sicuramente risultata superflua e scontata). Perché vede, di demagogia si può anche vivere, come ha fatto lei in questo caso, e gli applausi sono pure facili e garantiti, ma non è certo cosa corretta per una comunità, obbligata anche a pagare la televisione, utilizzare una poltrona televisiva per autoproclamarsi tuttologo di turno, quindi 'nientologo', soprattutto quando si vuol dare di sé un'immagine di moralizzatore della società.
Le sue affermazioni non soltanto sono demagogiche e attingono dall'ignoranza, ma hanno quel gusto amaro di un fascismo strisciante che proprio non riesce ad essere di mio gradimento, non tanto perché lei, suo malgrado, appartiene a un sistema fascista in nuce, ma perché di fascismo ne abbiamo avuto fin troppo negli ultimi cinque millenni, e continuiamo ad assorbirlo ovunque, anche e soprattutto a scuola. Il fatto si è, signor Gramellini, che negli ultimi cento anni la pedagogia ha fatto passi avanti nella 'questione educazione' intesa come evoluzione della dimensione umana della persona, e guarda caso -mi dispiace per lei- tale pedagogia, cioè la più avanzata al mondo, ha natura anarchica e va in direzione esattamente opposta a quanto lei si è pregiato di dire in tv senza alcun contraddittorio; citando Fabrizio De André direi ovviamente 'in direzione ostinata e contraria'. E sa perché va in quella direzione contraria? Per il motivo talmente evidente che se la società è andata 'avanti' fino ad oggi in un certo modo (non certo magnifico), vuol dire che i modelli educativi di cui si pregia di essere paladino, antichi e fascisti, sono quelli responsabili del disastro sociale, morale, civile e politico (non solo dell'Italia, ma del mondo). Una pedagogia completamente opposta al suo 'principio di autorità' è diventata necessaria e urgente, ma evidentemente lei, che pur pagato da noi esegue gli ordini di un'autorità statale o del suo partito, non è tenuto né a conoscerla, né a divulgarla.
Non si tratta di essere 'fratelli maggiori' o 'compagni di gioco' tout-court, ma accompagnatori, osservatori di un mondo, quello libero dei bambini, al quale ognuno dovrebbe guardare per imparare. Sono i bambini a doverci insegnare il come si fa, non viceversa. Si rilegga Giovanni Pascoli. Invece lei, come lo stuolo dei plaudenti benpensanti borghesizzati, ritiene che solo per il fatto di essere più 'adulti' di qualcun altro ('più uguale di qualcun altro' direbbe Orwell) ci si debba arrogare il diritto di esercitare l'autorità, di autoproclamarsi superiore a lui e di insegnargli persino una morale posticcia che nella Storia ha solo dimostrato il suo fallimento. Cosa vuol dire essere adulto? Signor Gramellini, la tradizione autoritaria a cui lei fa riferimento vuole che questo termine 'adulto' debba contemplare necessariamente il suo opposto, e che quindi un adulto debba considerare l'opposto bambino come una specie di idiota, un sacco vuoto da riempire (di cosa, se lo è mai chiesto?), senza invece considerare che il bambino è un universo di perfezione, di unicità e di libertà, valori che le sue regole hanno sempre soffocato e ucciso, in favore della sottomissione all'autorità, quindi dell'avvilimento della persona in quanto tale, dell'uccisione dell'autonomia e dell'autostima. Sì, certo, niente sberle -lei si affretta a dire per non essere percepito così palesemente a favore della violenza- ma ogni divieto e ogni coercizione imposta al bambino magari col sorriso sulle labbra in nome di un supposto 'diritto all'autorità', non sono forse anch'esse violenza?
Signor Gramellini, se proprio non riesce a leggere qualcosa di più specifico in materia di pedagogia, come ad esempio Marcello Bernardi (il più illustre pediatra e pedagogista in Italia), le consiglio una cosa più semplice da fare: ascolti le parole di Giorgio Gaber nella canzone intitolata 'non insegnate ai bambini', e si domandi il perché di quelle parole.
E' ovvio che tutti, anche lei e non solo i ragazzi, hanno bisogno di 'punti di riferimento'. Ma ancora una volta la invito a riflettere e a darsi una risposta: quali sarebbero i punti di riferimento per un ragazzo? Quel 'dio, patria, famiglia' di natura fascista e autoritaria che permea tutta la nostra società e la fonda? Qual è il modello corrente da dover seguire a tutti i costi per far sì che alla fine non cambi mai nulla? Forse la figura di un genitore che, con la sua autorità, impone quelle regole vomitevolmente tradizionali da 'capo famiglia'? Le sembra questo (lei che -immagino- si ritenga anche progressista), un modello di progresso sociale e umano? Oppure la figura di quel padre che arriva a casa dal lavoro e pretende, in nome del conservatorismo borghese e del 'diritto all'autorità', di trovare la cena pronta, il pavimento lucido, le pantofole allineate, il marmocchio che non rompe le scatole (e neanche la moglie) perché magari c'è la partita in tv? No perché, signor Gramellini, se si deve parlare di autorità, lo si deve fare veramente, non buttando lì una formuletta demagogica strappa-applauso. L'autorità è sostanzialmente quel presunto diritto di esercitare legalmente i propri diritti togliendoli però agli altri, se si vuole, quando si vuole, perché si vuole, per trarne un vantaggio personale o di casta. L'autorità, signor Gramellini, è l'espressione più alta del modello gerarchico fascista, lo è per forza! E chi esercita l'autorità, quindi chi si pone al di sopra di un'altra persona, secondo lei, quale modello pensa che possa trasmettere al fanciullo, abituato per natura anche a copiare? Cosa facciamo, signor Gramellini, vogliamo una società ancora autoritaria per altre migliaia di anni, oppure vogliamo un'umanità fatta di fratelli e sorelle (maggiori o minori a noi anarchici non importa)?
Lei dovrebbe farsi un esame di coscienza, se ne possiede ancora una integra, perché le sue parole hanno avuto la brutalità di quel sistema di regole che lei tanto osanna e che ha condotto le persone a non essere più tali, ma umanoidi alienati, consumatori e servi, prigionieri di un modo di pensare e di agire conservatore, borghese, cattolico e fascista. E dove vuole che vada la società se si perpetua sempre lo stesso modello? Si faccia un giro nell'anarchia, magari in una scuola libertaria, si legga Bernardi o Ivan Illich prima di proferir parola in tv su argomenti che non le competono. Altrimenti taccia per il bene dei bambini, cioè per il bene del nostro futuro.
E la cosa che pure mi dispiace è vedere che, di fronte alla tanto sbandierata 'libertà di espressione' sancita dalla costituzione (di cui lei è sicuramente un fervente ammiratore e difensore), tra me e lei, signor Gramellini, quello che non ha nessun diritto ad esercitarla di fronte alle telecamere sia soltanto io.


P.S. La speculazione di natura lessicale in merito alla differenza tra le parole 'autoritario' e 'autorevole', qualora le fosse venuto in mente, è un tranello nel quale certamente non cado.

Scuola-famiglia: quando il rapporto è distruttivo

Le istituzioni dello Stato insistono nel porre in stretta relazione la scuola e la famiglia al fine di migliorare l'educazione degli studenti. In linea di principio è corretto, anzi auspicabile, necessario per l'educazione delle persone, infatti tutte le scuole libertarie adottano tale principio. Il problema però è sempre quello: quale famiglia e quale scuola? Quali sono i modelli familiari dominanti? E quali quelli della scuola? Ambedue le realtà rispondono ad un medesimo fine occulto, ma generalmente sia i genitori, sia i docenti non conoscono questo fine.
Ad un'osservazione superficiale, ognuno di noi, pensando all'educazione che ha avuto e guardando la famiglia in cui si trova, metterebbe la mano sul fuoco sulla propria incrollabile moralità e capacità educativa. Ciò perché la maggior parte delle persone intende l'educazione (in famiglia e a scuola) come una sorta di palestra dove è giusto che si debbano seguire norme ed esercizi precisi. E anche qui dovremmo domandarci qualcosa: quale tipo di norme e quali esercizi? Quale natura hanno? Naturalmente quelli della famiglia e anche quelli della scuola sono norme ed esercizi di stampo autoritario, borghese, moralistico-cattoliche, gerarchizzanti, cioè norme ed esercizi che, comunque la si pensi, vanno a sostituire la parte umana e pura della persona con una regolamentazione che è assolutamente artificiale, normalizzante, omologante, coercitiva, autoritaria. L'insieme di queste norme formano la morale alternativa e predominante in cui tutti siamo calati.
A partire da questa morale artificiale imposta per tradizione e codificata dal pensiero borghese autoritario, ognuno tende a valutare il proprio metodo educativo per i figli secondo criteri ritenuti corretti e che hanno come fine l'annientamento della fiducia dell'educando e la sua conseguente e futura dipendenza ad un'autorità, e come mezzo la paura costante di sbagliare, di infrangere la norma, di non essere all'altezza di, di essere inferiore a. Più i figli accettano le norme borghesi e le rispettano, cioè più il figlio si annienta in termini di fiducia in se stesso, di pensiero critico e di autodeterminazione, più gli adulti tendono a valutare positivamente l'effetto dell'educazione impartita e il metodo educativo stesso. Anche da queste cose ci si può rendere conto di come tutto l'impianto pedagogico tradizionale sia antiumano e profondamente sbagliato, sia a scuola, sia in famiglia.
Se le istituzioni vogliono che vi sia uno stretto rapporto tra famiglia e scuola non è certo un caso. In questo modo, infatti, l'effetto del metodo educativo autoritario familio-scolastico si raddoppia e si autoalimenta in un circolo vizioso, secondo cui da una parte la scuola interviene nel rapporto figli-genitori, dall'altra parte i genitori intervengono sulla 'buona condotta' scolastica del figlio, agendo coercitivamente su di lui, spronandolo (con punizioni o premi) nella disciplina voluta da tutto il sistema, non solo da quello scolastico e familiare. Un cane che si morde la coda. E tutti, anche i figli costretti in questo circolo vizioso, sono convinti che questo sia il metodo educativo migliore, anzi l'unico e giusto.
Ed è anche qui la chiave per comprendere come la maggior parte degli individui pensi che la gestione sociale di cui soffriamo, condotta dalle mani dello Stato (di cui i governi sono la sua imago operativa), sia l'unica possibile, l'unica esistente e giusta. Crescendo nel e col modello educativo tradizionale, normato dall'alto, e non sapendo o non volendo approfondire, studiare, conoscere altre pedagogie, altri modelli umani, rispettosi delle esigenze individuali, difficilmente le persone riusciranno a trovare -e persino ad accettare- un'altra concezione di gestione sociale. Sembrerà loro di non aver più il terreno sotto i piedi.
Non è neppure un caso che il fascismo abbia adottato come slogan: dio, patria, famiglia. A queste tre paroline, le istituzioni 'democratiche' e 'repubblicane' ne hanno aggiunta un'altra: la scuola. Il quadrato si chiude perfettamente a formare un ferreo recinto mentale e comportamentale. Le quattro parole, deformate nel loro intimo, ovvero rivestite di norme artificiali e autoritarie che sostituiscono la morale naturale degli esseri umani, vanno così a formare i quattro pilastri portanti del sistema culturale attuale e imperante. Cos'hanno in comune queste parole svuotate di quel che forse avrebbero anche di buono? La disciplina. E quest'altra parola meriterebbe ancora molte pagine di riflessione. Non qui. Non ora. Solo dico: non è forse la disciplina il culmine educativo del militarismo? E da dove pensate che arrivi il modello statale, se non da una originaria e criminale imposizione gestionario-militare sui popoli?

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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