Una citazione al giorno

Una citazione al giorno -
Data Rivoluzionaria

A scuola di discriminazione.

Un incredibile, fenomenale, ineccepibile, infallibile strumento di divisione tra gli individui, questa è la scuola! Una divisione che porta dritti dritti al conflitto, alla caccia alle streghe, alla cultura biasimevole del punire e premiare, della vendetta covata e realizzata. Questa, tra le altre terribili cose, è la scuola! Una scuola così tanto ignorata sotto questo aspetto, seppur evidentissimo, ma così tanto idealizzata nella sua narrazione contraddittoria
La divisione che compie la scuola sull'unità organica degli individui, insegnando a questi ultimi a compierla a loro volta su se stessi, è qualcosa di abnorme, di incontrollabile. E lo fa in vari modi, a vari livelli. Il livello più evidente è quello anagrafico: la scuola separa e classifica gli individui in base all'età, e li deposita nelle aule-pollaio corrispondenti e deputate (celle ricolme di germi e di paura infusa, ma coloratissime). Poi vi è la divisione effettuata dai voti e dai giudizi espressi dai vari 'specialisti del settore': una vera marchiatura che decreta l'uccisione della bella narrazione scolastica che suole esaltare, tra le altre meraviglie irrealizzabili a scuola, la fantomatica 'uguaglianza': ma una volta stabilito chi sarebbe 'asino' e chi 'intelligente' secondo i criteri stabiliti dagli 'specialisti' che coincidono con una morale autoritaria perfettamente rispondente alle istanze del capitale, c'è ben poco da perorare cause a favore di una 'scuola-idolo' che promuoverebbe, a suo dire, l'eguaglianza e la socializzazione! Chi si loda s'imbroda!
Altre divisioni attendono e imparano gli studenti nel corso degli anni nelle loro celle, come la divisione autoselettiva basata sul perseguimento dell'obiettivo automatico e strutturale della competizione tra simili, attraverso la quale anche due bambini che sono amici da sempre arrivano spesso a litigare, a non parlarsi più. Abituarsi all'odio reciproco è ciò che si impara in queste agenzie d'istruzione! Per fortuna interviene spesso la natura, soprattutto in tenera età, e i due bambini, normalmente, ritornano spontaneamente a giocare insieme. Ma è merito della loro natura, del loro buon senso innato, dall'istinto di socialità, non della scuola! Per questo motivo possiamo affermare che se dalla scuola esce qualcosa di buono, non è grazie ad essa, ma malgrado essa!
La divisione più odiosa e subdola, però, quella più nascosta e terrificante, è la discriminazione generata per mezzo dei certificati scolastici, i noti titoli di studio, cioè per mezzo della scuola stessa in quanto dispositivo che produce consumatori suddivisi in gradienti qualitativi prestabiliti e certificati. Significa che la scuola, come diceva Ivan Illich, opera un severissimo discrimine tra chi possiede un titolo di studio e chi non lo possiede (e anche tra i titoli di pari grado, a seconda del tipo di Istituto in cui sono stati acquisiti), arrivando a far credere, in modo disgustoso, che colui che non ha acquisito un certificato scolastico, o che ne ha acquisito uno di 'rango inferiore' rispetto allo standard assunto come 'accettabile' in quel preciso momento storico e in quel dato luogo, od uno acquisito in un Istituto 'poco rinomato', non soltanto sarebbe un individuo 'ignorante' (che secondo la nostra terribile cultura scolastica autoritaria equivarrebbe a dire uno 'stupido' o 'incapace di ragionare'), ma sarebbe considerato anche un figuro ignobile che, per giunta, essendo 'ignorante', è sicuramente meritevole di essere considerato il capro espiatorio per tutti i guai della società, un reietto da tramutare in una preda per un branco di 'colti' che vorrebbe fargliela pagare in qualche modo e riversare su di lui le colpe di una società ingiusta fatta proprio da loro, dai laureati (l'atteggiamento discriminatorio si traduce in prima istanza nello scherno: 'ma cosa vuoi saperne tu che hai solo la licenza media? Non puoi capire, non vali niente, lascia fare a noi che siamo quelli intelligenti'). Ecco che la scuola, essendo una chiesa e una religione, crea la sua setta fondamentalista.
In barba a cosa, tutto questo? In barba alla bella retorica sul valore dell'eguaglianza, del rispetto nei confronti di ogni individuo in quanto tale, della vita stessa, della comprensione, della solidarietà, dell'umanità, ecc. Insomma, la scuola da un lato predica sempre bene per autopromuoversi, ma nei fatti contraddice sempre se stessa e i suoi finti obiettivi di facciata. E' ciò che vediamo.
Ma come potrebbe funzionare diversamente un dispositivo inventato espressamente dal potere che serve proprio per dividere la gente, generare sperequazione e odio già tra i bambini, e porre le basi culturali per agevolare le guerre fra poveri? Io penso che sia davvero ora di guardare in faccia la realtà, i fatti, i risultati, anziché rifugiarsi nella bella narrazione con la quale il potere ha rivestito ogni sua espressione, prima fra tutte la scuola. E non trascurerei nemmeno il fatto che non è conoscendo bene la Divina Commedia o i precetti della buona grammatica che si diventa antifascisti (come si può credere a questa sciocchezza?). Anche perché per natura siamo tutti anarchici, nasciamo tutti antiautoritari, ma si può diventare facilmente fascisti con un'educazione e una cultura specifiche come la nostra, se non rimaniamo vigili su noi stessi, in barba alle grammatiche e agli Alighieri vari! E a proposito di libri e informazioni, se dobbiamo dirla tutta come si dovrebbe, ciò che impara lo studente dai libri di scuola, stando nella cella, non è tanto il loro contenuto, che passa in secondo piano, quanto 'un sistema di ordini, un sistema di comando che permetterà e costringerà gli individui a formare degli enunciati conformi agli enunciati dominanti. La scuola serve soprattutto a questo' (Gilles Deleuze).
Il discorso non si esaurisce qui, sono stato fin troppo sintetico, non ho preso in considerazione altri aspetti, come ad esempio il fatto che è proprio la scuola, con queste sue discriminazioni strutturali (o struttura discriminatoria), a generare il problema del bullismo (in questo blog ho riportato prove a supporto, casi evidenti e vissuti). Ma io credo che le poche righe che ho scritto fin qui siano già largamente sufficienti a far ragionare sui fatti e la realtà. Dico i fatti e la realtà, non i paradisi vagheggiati e le inesistenti proprietà taumaturgiche della scuola.

Altro.
La scuola giustifica le divisioni sociali.

Piccola storia di un delitto

Se io ho nella testa solo alcuni determinati elementi, il senso della mia vita sarà dato da quei soli elementi. Anche tutta la mia esistenza sarà organizzata in base a quei soli elementi e penserò di essere libero e colto. In questa condizione, normalmente, pensare a un cambiamento della mia vita significa  che ho solo bisogno di prendere gli elementi che ho nella testa, mescolarli tra loro e ricomporli. Ma è come se io avessi cambiato soltanto la disposizione delle suppellettili nella mia cella, la mia vita non cambia. 
Per analogia, io non posso fare una rivoluzione sociale usando gli elementi che già conosco, cioè gli stessi strumenti che qualcuno mi ha messo nella testa e che sono all'origine stessa del mio malessere. Se mi hanno insegnato che per vivere ci vogliono i governi, i parlamenti, una società divisa in classi, delle leggi esterne a me, delle agenzie educative, dei moralizzatori, un apparato gigantesco autoritario repressivo e la convinzione che tutto questo sia giusto e civile, allora per me sarà completamente inutile rimescolare questi elementi, dar loro un altro colore, e sperare di cambiare la società e la mia condizione. 
Per cambiare realmente io devo saper essere dinamico, aperto, curioso e creativo, devo uscire dalla statica normalità e dalle convenzioni, cioè devo fare come fanno i bambini, i quali, quando il loro giocattolo preferito finisce di soddisfarli, non lo guardano più, lo gettano via d'istinto, lo calpestano con disinvoltura e, se non ne hanno un altro di diversa natura a portata di mano, se lo inventano e, se è il caso, esplorano altri territori (fisici o mentali). 
Questa capacità creativa e anarchica di ogni bambino svanisce non appena qualcuno dall'esterno comincia a inculcargli la convinzione che per vivere ci vogliono i governi, i parlamenti, una società divisa in classi, delle leggi esterne a lui, delle agenzie educative, dei moralizzatori, un apparato gigantesco autoritario repressivo e la convinzione che tutto questo sia giusto e civile. Quando in seguito ad una specifica azione educativa il bambino sarà diventato un vero adulto o, per meglio dire, quando il bambino sarà stato opportunamente soffocato, per lui, che anche da adulto conserverà l'istinto naturale di migliorare la sua condizione, sarà completamente inutile rimescolare gli elementi che gli hanno inculcato al fine di sperare di cambiare le cose; di più, ringrazierà chi glieli ha inculcati così bene, e con così tanto amore, da farlo diventare 'un adulto serio con la testa sulle spalle'. 
A quel punto l'essere umano è morto, si è sciolto e sepolto nella massa informe, ne è parte, non saprà più pensarsi veramente libero, la libertà lo terrorizzerà a tal punto che, per giustificare la sua serva condizione e proteggere le sue catene, dirà che essere liberi è sicuramente bello, ma è un sogno impossibile da realizzare, persino pericoloso da pensare (figuriamoci tentare!). E dirà anche molte altre cose, tirerà fuori tanti pretesti, tutti completamente stupidi ed autolesivi. E darà la colpa a qualsiasi cosa esterna a lui pur di non voler ammettere di essere stato indottrinato e ucciso quando era ancora un bambino.

La scuola è nemica del pensiero libero, non potrebbe essere diversamente.

Non facciamoci illusioni sulla presunta 'aria di libertà di pensiero' che si respirerebbe a scuola. O meglio, non alimentiamo ancora di più questa falsità, sappiamo tutti molto bene che se uno scolaro comincia a parlare in classe di anarchia (l'unica vera forza in grado di dissolvere il potere) viene subito redarguito e messo a tacere. O ridicolizzato. Altro che libertà di pensiero! Chi censura per prima è proprio la scuola, sono i suoi insegnanti (presi come come tali, non come persone, la differenza è sostanziale), specialmente quando si tratta di anarchia e di anarchici. C'è una tale ignoranza sull'anarchia che, sull'argomento, rimango sempre sconcertato dalla banalizzazione, dallo stupido conformismo che sento o che mi trovo a leggere qua e là. Chi dobbiamo ringraziare per questa profondissima ignoranza? 
Potremmo ad esempio far conoscere a scuola le bellissime poesie di Renzo Novatore proprio come si fa con quelle dei poeti noti a tutti perché letti obbligatoriamente a scuola (tutti poeti innocui, o pro sistema, o resi tali dai filtri pedagogici di Stato. E non solo i poeti). Se ne avrebbe il coraggio? E sarebbe poi giusto imporre Novatore? Se non è giusto, come credo, perché invece si impongono serenamente tutti gli altri? Questo discrimine tra il 'lui sì' ed il 'lui no', creerebbe pensiero critico e libero? Ne siamo certi? 
Di fronte alla possibilità che gli studenti si imbattano in versi come ad esempio 'l'anarchia è per me un mezzo per giungere alla realizzazione dell'individuo', e di fronte alla possibilità che versi di questo genere, mandati a memoria e posti come condizione necessaria per avere un buon voto, siano intercettati dall'autorità dirigenziale (ci sono tante di quelle spie, a scuola..!), pensiamo forse che questi docenti, sedicenti promotori del pensiero libero, lascino serenamente che ciò avvenga? Non credo proprio! Io ci ho provato, e sono stato aggredito da colleghe che si reputano rivoluzionarie e molto aperte di mente. E ho avuto le stesse reazioni avverse in tutte le scuole in cui sono stato (non sono poche), non esclusa l'attuale. Onestamente? mi stupirei se ciò non avvenisse! E non vi racconto le scene patetiche a cui ho dovuto assistere, e le convocazioni dal dirigente! Lo sapete che è probabile che non mi venga più concesso il bonus docente perché lo userei per comperare libri 'sconvenienti'? Ma di cosa stiamo parlando? 
Che la scuola sia da considerare promotrice del libero pensiero è solo mitologia, fa parte di quella narrazione autoreferenziale di cui ho già avuto modo di parlare. Io invece riassumo ed espongo i fatti, e questi contraddicono lo storytelling demagogico della scuola. I fatti veri - questi sì rivoluzionari quando si vive nella menzogna e li si vuol raccontare - rappresentano la realtà di quel che succede o di quel che non succede, ed il vero delitto è certamente ignorarli, come avviene, o rinnegarli o piegarli ad un dogma qualsiasi.
E allora vediamoli questi fatti, vediamola questa realtà. Leggete questo stralcio di giornale.  Quel che scrive Lorenzo C. di Palermo è ciò che avviene comunemente a scuola, non soltanto in sede d'esame, ma sempre. E' un imperativo categorico venato di minaccia mascherato da atto cautelativo (per una 'pacifica convivenza', si dice sempre) che viene insegnato ai ragazzi. Addirittura, quando questo modus operandi censorio viene ben assimilato (e lo si assimila molto presto), sono gli studenti stessi che redarguiscono i loro compagni che osano esternare i loro liberi pensieri. Quante liti ho visto per questo motivo! Ecco, io devo combattere ogni giorno contro questa realtà, e ci rimetto in prima persona quando devo difendere il libero pensiero, l'espressione critica, che rimangono cose assolutamente vietate. Da qui la mia esigenza di operare in clandestinità. Ma quale libero pensiero a scuola? Non scherziamo e apriamo gli occhi!


E se non dovesse bastare questa dichiarazione lampante, possiamo farci raccontare la stessa situazione, ma anche molto altro, da J. Taylor Gatto, professore a New York, che denuncia la realtà dei fatti in queste sue sette lezioni.
Insomma, ma di cosa parliamo? Vogliamo forse far leggere obbligatoriamente anche Max Stirner col suo rifiuto intelligentissimo dello Stato e della Chiesa? Portiamo questo acuto filosofo, maestro di Nietzsche, sui banchi di scuola? Magari! Portiamo anche tutti gli studiosi che affermano l'assoluta necessità di farla finita con la scuola e con l'educazione? Pensiamo davvero che la scuola e i suoi docenti-soldati acconsentano a divulgarli? E non parlo solo di pensatori anarchici morti. Vogliamo forse far maturare un pensiero davvero critico? Vogliamo forse creare una società libera fatta di non adattati e non rassegnati? Non prendiamoci in giro! Anche Lev Tolstoj viene censurato nelle sue pagine più anarchiche, antigovernative e ferocemente anticlericali (lui, per giunta da cristiano qual era!). Di cosa parliamo? Quale libertà di pensiero a scuola? Come possiamo credere che si formi una coscienza critica quando i pochi elementi che il sistema spaccia come totale e giusta Conoscenza sono sempre quegli stessi che servono al sistema per perpetuarsi? 
Che differenza c'è tra un anarco-individualista e un collettivista? Perché questa differenza non viene spiegata dai miei colleghi? Perché non viene inserita in nessun programma ministeriale? Quale tipo di reazione hanno le popolazioni aggredite dalle guerre, quali soluzioni di autogestione hanno sempre trovato? Ce lo direbbero sicuramente Rudolf Rocker, ma anche Piet Kropotkin, ammesso che si sappia però chi siano costoro. La scuola della Conoscenza non ce li fa conoscere. Curioso e strano? No, è la norma! Che cosa è successo nell'autogestione anarchica di Barcellona nel 1936? 'Perché, c'è stata davvero un'autogestione anarchica a Barcellona?', si chiederà il perfetto scolarizzato, colto, dal pensiero libero e critico. Ma di cosa stiamo parlando?
Dove mettiamo la storia reale e completa della Prima internazionale con Bakunin? E Michail Bakunin stesso? Vogliamo dirlo che era anarchico o, al massimo concesso da sua maestà, lo dichiariamo tout-court e genericamente 'socialista'? Possiamo dirlo che Pierre-Joseph Proudhon è stato il filosofo anarchico, o uno dei pensatori anarchici, che ha dato i maggiori spunti a chi si è poi incoronato padre del comunismo, talmente 'padre padrone' da trasformare il comunismo anarchico e rivoluzionario in comunismo autoritario di Stato e di partito? (se ti dà fastidio il fatto che io non scriva il suo nome, rifletti e chiediti perché tu non provi lo stesso fastidio nel sapere che la scuola censura migliaia di nomi importantissimi). E di tutti gli altri filosofi e sociologi anarchici volutamente censurati cosa ne facciamo? E del grande imprescindibile geografo Elisée Reclus? Lo censuriamo perché è anarchico? Certo, è la scuola, che altro può essere? Ma di cosa stiamo parlando?
Suvvia, non facciamoci illusioni, la scuola rimane sempre quell'agenzia pubblicitaria che ti fa credere di avere bisogno della società così com'è, diceva Ivan Illich. A proposito, 'chi è Illich?' si chiederà tutta la società scolarizzata e dal pensiero critico. Appunto! Ah! Se non ci fosse internet che vi fa conoscere un po' di sana anarchia! Perché, vedete, se l'opposizione al fascismo di stampo scolastico conduce alla fine gli studenti a concepire la lotta al fascismo come un qualcosa che si fa soltanto aderendo ad un altro partito e votandolo, allora non si è capito proprio nulla, e non vedo niente di cui la scuola debba farsi vanto, se non di un'unica cosa: della sua stessa funzione di dispositivo addestrante del sistema, che è la funzione per cui è stata concepita e alla quale, per il raggiungimento del suo programma occulto, serve anche la censura.




La scuola è scuola, non cambia la sua natura in base al tipo di governo.

Anche il popolare maestro Alberto Manzi fu sospeso dall'insegnamento e il suo stipendio venne dimezzato. Il reato fu la disobbedienza civile, fu il non aver avuto paura del Leviatano, affrontarlo, smascherare la sua ipocrisia di fondo, i suoi piedi d'argilla. Manzi si rifiutò di valutare i bambini come avrebbe voluto lo Stato, cioè si rifiutò di valutarli prendendo in considerazione anche l'espressione dell'intera personalità dell’alunno in ogni sua manifestazione (come e con chi interagisce, come e cosa pensa, come si atteggia, come obbedisce agli ordini, come reagisce a dei precisi stimoli, come e se rispetta l'autorità...). All'epoca dei fatti (1981) non c'era un governo di destra, c'era il pentapartito, una compagine di centro sinistra che, per quel provvedimento punitivo ad personam, si avvalse di una legge del 1977 (anno in cui v'era un governo che vedeva il PCI come secondo partito per numero di seggi, dietro alla DC). Presidente della repvbblica, all'epoca, era il socialista Sandro Pertini.
Il problema, in sostanza, come sempre, non è il tipo di governo in carica, ma è la funzione e la natura stessa delle istituzioni in quanto tali, una natura sempre conservatrice e autoritaria che si rinvigorisce a forza di riforme ('riforme, ci vogliono le riforme!', grida il solerte progressista!). Tutto ciò che dall'esterno regola la vita delle persone, che le norma limitandone la libertà, che le inquadra, che le moralizza, che le divide e le valuta, ha natura autoritaria. La scuola forma la società e di conseguenza forma pure i docenti che fanno parte della società. Di questo tipo di società. Se in classe un docente decide di spogliarsi del suo grembiulino da docente e prova, invece, a fare l'essere umano - il che, dato il contesto, coincide necessariamente col fare il rivoluzionario - lo fa clandestinamente e al prezzo che sappiamo e che vediamo. I casi che finiscono nelle pagine di cronaca nazionale sono punte di un iceberg. Io stesso sono stato, e sarò sempre, vittima di provvedimenti disciplinari da parte del Leviatano, come altri colleghi e colleghe che antepongono ostinatamente il loro essere umani all'uniforme da docente e agli interessi dell'istituzione. Non so fare altrimenti.


Qualche appunto su due pensieri di William Godwin

Dei materiali di filosofia di cui sono in possesso, quelli relativi a William Godwin mi dimostrano che già nel XVIII secolo la scuola produceva, presso gli studenti e i liberi pensatori, le stesse reazioni di insofferenza e sconforto di oggi, quando non di rabbia e odio. Ciò dimostra che in fondo la scuola svolge da sempre la stessa funzione, in barba alle riforme (e a chi ci crede), le quali servono soltanto a rafforzare l'istituzione stessa. 
Al tempo di Godwin la causa dei bambini e dei giovani desiderosi di libertà, ma rinchiusi in un'aula, non veniva presa in considerazione perché non era neppure concepita come una 'Causa', della quale discutere, men che meno esserne preoccupati. Come oggi. Infatti in questa società adultocentrica e disciplinare, il diritto di libertà del giovane di decidere se andare a scuola oppure no viene annullato istantaneamente dalla legge sull'obbligatorietà, non viene preso in considerazione neppure lontanamente, sarebbe un'eresia soltanto pensare a questo diritto, a dispetto di tutta una schiera di pedagogisti riformisti che nel XX secolo si sono succeduti portando l'ipocrita bandiera del 'poniamo lo studente al centro'. Ma già dire studente è cosa diversa dal dire persona, dunque niente di nuovo, come sanno bene questi giovani che sopportano, che devono imparare a sopportare da bravi schiavi e futuri efficienti produttori.
E' Godwin il primo a far emergere la causa dei bambini prigionieri, è stato lui il primo a schierarsi dalla loro parte, a denunciare i veri obiettivi nascosti della scuola, i suoi metodi, la sua ipocrisia strutturale e universale, la sua natura autoritaria. Godwin, attraverso la sua coscienza anarchica, riconosce anzitutto il fanciullo, ma lo riconosce come persona, ne riconosce i diritti, le sue peculiarità naturali, e ne rispetta ogni sua caratteristica umana e vitale. Scriverà a tal proposito:
'Dobbiamo un particolare rispetto a ogni cosa che abbia forma umana. Io non dico che un fanciullo sia l’immagine di Dio. Affermo invece che si tratta di un essere individuale, dotato delle facoltà di ragionamento, delle sensazioni di piacere e dolore e dei princìpi di moralità'.
Questo passaggio è molto importante. Quando scriveva queste righe - si era appena all'inizio dell'Ottocento - Godwin stava già dichiarando e anticipando al mondo che il bambino non è un recipiente vuoto da dover riempire o moralizzare, perché il bambino ha facoltà proprie e autonome di ragionamento, di intelligenza, conosce il senso del bene e del male, e non ha bisogno di essere educato (non certo dalla scuola, e non certo dagli adulti che ne facciano le veci e le funzioni). Infatti, Godwin, dopo aver esposto il suo pensiero sull'inaudita schiavitù che ogni bambino deve sopportare a scuola e in famiglia (bambini trattati peggio degli schiavi nelle Indie occidentali, dirà), scrive anche che:
'La libertà è la scuola dell’intelletto; cosa alla quale non si concede abbastanza attenzione. Ogni ragazzo impara più nelle sue ore di svago che in quelle di studio. A scuola si impadronisce dei materiali del pensiero, ma nei giochi pensa per davvero: qui affila le facoltà e apre gli occhi. Dal momento della nascita il bambino è un filosofo sperimentale: egli mette alla prova i suoi organi e i suoi arti, imparando l’uso dei muscoli. Chiunque lo osservi attentamente scoprirà che è questo il suo costante esercizio. Ma l’intero processo dipende dalla libertà'. 
E per quanto riguarda quei 'materiali del pensiero', ci si dovrà pur chiedere, credo oggi più di ieri, perché proprio quei materiali, sempre quelli, e non invece altri materiali, quelli che nessuna scuola oserebbe mai mettere sui banchi. Ma sono certo che la risposta, in fondo, la conosciamo tutti.

Chiese e sacerdoti del Capitale.

Il capitalismo è una religione, si concretizza e si diffonde per mezzo dell'impianto statuale. Ci sono molte chiese che raccolgono e allevano nel loro seno i fedeli del Capitale. 
Le caste sacerdotali nella nostra società sono tante, c'è una casta per ogni chiesa. Ad esempio, nella chiesa-fabbrica, col tempo gli operai hanno finito per credere ciecamente che il lavoro sia un loro diritto, quando non è che una terribile necessità dovuta al vile ricatto capitalista del 'se non lavori non mangi', ricatto che gli operai hanno oramai assunto come dogma inviolabile, come morale di vita, come ineluttabilità. Quegli operai, proprio come gli economisti, sono una casta sacerdotale perché sostengono e perpetuano una mitologia: l'illusione sociale del progresso e del benessere economico. Questi sacerdoti portano avanti l'idea di un paradiso in terra da realizzare per mezzo del lavoro. Ma rimangono poveri, schiavi e sfruttati.
Non solo gli operai, in questo tipo di società ci sono altre caste sacerdotali, e sono tutte di stampo professionale e specialistico. Tutti concorrono alla realizzazione del sogno capitalista, credendoci ciecamente. Prendiamo la 'nuova chiesa universale', come la chiama Illich, cioè la chiesa-scuola. Un esercito di docenti lavorano ogni giorno per costruire l'immagine olografica del paradiso in terra, un'immagine da dare in pasto ai bambini, ai giovani, una narrazione obbligatoria che deforma la loro meravigliosa natura, uccide la loro intelligenza, la loro creatività, e gli fa credere che senza la chiesa-scuola e senza di loro, sacerdoti di una supposta conoscenza, saranno solo dei deficienti, degli inetti, degli schiavi rassegnati. Non sanno che lo diventeranno davvero, ma proprio perché seguono quel dogma sacerdotale, quella chiesa, fatta anch'essa di promesse di progresso e di benessere economico. Quei docenti, come gli operai e gli economisti, sono una casta sacerdotale, creduta imprescindibile, perché quell'illusione sociale di progresso e di benessere economico la insegnano dottrinalmente ai più piccoli, forgiano nella mente dei più indifesi l'idea di un paradiso in terra che si realizzerebbe soltanto per mezzo dell'acquisizione di un certificato che li dichiarerà 'maturi'. Sì, maturi per il Capitale. Ma anche questi sacerdoti, che lo siano o che lo diventeranno a loro volta, rimangono lo stesso poveri, schiavi e sfruttati. 
Potrei andare avanti con le varie chiese: la chiesa-ufficio, la chiesa-ospedale, la chiesa-galera, la chiesa-famiglia... tutte hanno la loro casta sacerdotale, e tutte contribuiscono alla costruzione di una mitologia, di una 'bella narrazione', di quel miraggio fatto di un'idea di benessere economico e di progresso, ma anche di ordine e pace, di amore e giustizia. Tante belle parole. Ma adesso farei un distinguo, perché c'è una differenza nettissima tra i sacerdoti della chiesa canonica e quelli delle chiese sociali: se ambedue le specie costruiscono illusioni di pace e amore per tutti (chi paradisi in cielo, chi paradisi in terra), soltanto i sacerdoti delle chiese sociali, soprattutto i docenti, pensano che non si tratti di illusione e lavorano sotto dettatura alla costruzione del sogno capitalista, credendoci fino in fondo ed oltre, giurando sulla bontà di ciò che fanno e di ciò che promettono, nonostante siano loro i primi a non godere di nulla di cui essi stessi promettono, di alcun benessere, di alcuna pace, di alcuna libertà, e rimangano sempre e comunque poveri, schiavi e sfruttati.

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

Lettori fissi