Di solito guardo con sospetto quelli che si definiscono 'filo-qualcosa'. Io credo che amare qualcosa o qualcuno non possa essere fatto a distanza, o anteponendo delle barriere, o delle riserve, o degli alibi vari per mantenere la distanza. Essere filo-qualcosa esprime sempre un timore a monte, di qualsiasi natura, o una ipocrisia di base.
Non ha senso, ad esempio, dire di amare il proprio partner senza essere parte organica di quell'amore: o si è parte di quell'amore, altrimenti non si è, non è neppure amore. Allo stesso modo, in campo sociale, non ha senso dire di amare la libertà senza volerla amare nella sua espressione più alta e compiuta: l'anarchia. O si ama pienamente l'anarchia, tanto da identificarci totalmente in essa e diventare noi stessi espressioni di libertà, o si può essere soltanto dei filo-anarchici.
Credo anche che, in merito alla libertà e al suo volerne prendere le distanze con qualsiasi pretesto, anche dicendo di essere 'filo-anarchici', Erich Fromm abbia centrato il problema ponendo la questione sul piano della paura, che è ormai di massa. Del resto, quante volte abbiamo appurato che è soltanto la paura che spinge il suddito, divenuto tale con l'educazione, a dire che la libertà è certamente bella, ma che necessita di governatori esterni per normarla, misurarla, reprimerla? Il che equivale al farsi normare con apposite leggi (morali e non) l'intensità e la durata del rapporto di coppia. Cosa che in questa società avviene, peraltro.
Non c'è nemico della libertà più pericoloso di un suddito che crede sia giusto che qualcuno imbrigli la sua libertà e quella degli altri, spacciandosi al contempo per amante della libertà. Meglio non essere filo-qualcosa, specialmente quando si tratta di libertà, ma essere pienamente ciò che si ama, senza paura. Al bando l'ipocrisia!
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