A chi stiamo passando il testimone del futuro dell'umanità se non a coloro che oggi siedono a scuola? E come potrà mai cambiare questa società ingiusta (ammesso che la si voglia cambiare, ammesso che la si trovi ingiusta) se ci ostiniamo a inculcare al bambino gli stessi modelli e le stesse conoscenze che abbiamo assorbito noi adulti, nostro malgrado? Se noi, nella nostra presunzione di giustizia e di sapienza, continuiamo a imporre ai bambini l'identica matrice che ci ha forgiati, è evidente che dalla madre-forma uscirà sempre la stessa forma. Perché illudersi ancora, dopo tremila anni di Storia, che da un modello di forma X si debba generare una forma diversa da X? L'errore di fondo è poi credere che il bambino abbia davvero necessità di 'madre-forme', dovrebbero essere piuttosto gli adulti a ri-formarsi imparando dalla forma-bambino, riadattandosi ad essa. Troppo avvilente? Sacrilego? Indisponente? Impertinente? Se proprio non si vuol ammettere che un bambino possa inseganre all'adulto, non sarebbe allora il caso di cominciare a ripristinare i modelli e i valori che hanno caratterizzato il genere umano prima della nascita degli Stati e del loro connesso sistema capitalistico-guerresco-gerarchico-competitivo-autoritario?
Come forse qualcuno sa già, parallelamente al mio 'lavoro ordinario' nelle classi medie, sto indirizzando i miei studi e le mie osservazioni verso i bambini delle elementari. Faccio quel che posso, nel senso che sfrutto le mie ore-buca per andare nelle aule dove vengono rinchiusi i più piccoli, con i quali parlo, se e quando essi lo desiderano. Ecco un breve dialogo intercorso ieri in una classe seconda elementare. Se tutti i bambini rispondono come hanno risposto Franco e Maria, capirete per quale motivo il futuro dell'umanità ha ben poche possibilità di cambiare in meglio. I due bambini hanno 7 anni.
Ero seduto a terra, zitto, con le spalle appoggiate al muro. Osservavo attentamente i bambini nell'aula, stavano a gruppetti. Uno di loro, Franco, si avvicina a me e esordisce così:
- Lo conosci Batman?
- Certo che lo conosco, conosco anche Robin.
- Lo sai che a me piace Batman?
- Perché ti piace?
- Perché è un super eroe.
- A me non piace Batman.
- Perché?
- Perché è un super eroe.
- Perché?
- Perché a me piace la gente semplice, quella che costruisce le case, quella che aggiusta le sedie, quella che coltiva la frutta che stai mangiando, la gente di tutti i giorni.
(qualche secondo di silenzio, poi Franco 'cambia' discorso)
- Lo sai che io a casa ho i videogiochi?
- Io no.
- Perché?
- Non mi piacciono i videogiochi, preferisco giocare con altre cose.
- E con che cosa giochi?
- Con le cose vere, per esempio mi piace la trottola. Mi piace giocare con i colori, mi piace toccare il legno, mi piace suonare la chitarra, mi piace arrampicarmi sugli alberi, mi piace giocare con la sabbia del mare.
- Io a casa ho tanti videogiochi.
- Quale videogioco ti piace di più?
- Quello dove devo difendere il castello dai nemici. Ma tu sei un maestro?
- No, sono una persona.
(nel frattempo arriva Maria e il dialogo adesso è solo con lei)
- Lo sai che io sono famosa?
- Sei famosa? E perché?
- Perché mi hanno messa sul giornale. Mio padre ha comprato il giornale e mi ha chiamato e mi ha fatto vedere che c'era il mio nome. Sono famosa e da grande voglio fare l'atleta famosa.
- E cosa vuol dire 'sono famosa'?
- Che sono importante.
- E cosa vuol dire essere importanti?
(silenzio, ci pensa)
- Che tutti mi conoscono.
- Io non sono famoso, però mi conoscono in tanti lo stesso. Forse essere importanti vuol dire che sei come un capo. Ti senti come un capo?
- Sì.
- E cosa vuol dire essere un capo?
- Che comando tutti.
- Vuoi comandare tutti?
- Eh, così tutti fanno quello che voglio io.
- Sei contenta di essere famosa perché così puoi comandare tutti?
- Sì.
- E non pensi che gli altri possano soffrire se li costringi a fare quello che non vogliono fare?
(si alza e se ne va)
A sette anni il modello autoritario è già innestato e ben delineato, sia in Franco, sia in Maria. L'ambiente familiare, la cultura teleimposta e quella borghese, nonché l'ambito scolastico (che hanno tutte almeno tre elementi in comune: l'autoritarismo, la competizione e la disciplina) hanno già formato il loro carattere, gli hanno già dato la piega voluta dal sistema. Se il modello autoritario e competitivo assorbito dai due bambini trova riscontro anche nei comportamenti e nei pensieri degli altri bambini, non dovremo aspettarci un cambiamento dell'umanità in senso cooperativo e pacifico, ma in quello ancora più sperequativo, gerarchico e aggressivo. La mia osservazione non si limiterà a quesi casi, peraltro già da altri ampiamente documentati, ma da qui devo partire se voglio arrivare alla chiusura di tutti i cerchi in merito alla metodologia del sistema statalizzato, ed avanzare in quelle analisi che rafforzano le ragioni e le urgenze della pedagogia libertaria, al fine di adattarla ad un presente sempre in divenire (verso il peggio).
Come forse qualcuno sa già, parallelamente al mio 'lavoro ordinario' nelle classi medie, sto indirizzando i miei studi e le mie osservazioni verso i bambini delle elementari. Faccio quel che posso, nel senso che sfrutto le mie ore-buca per andare nelle aule dove vengono rinchiusi i più piccoli, con i quali parlo, se e quando essi lo desiderano. Ecco un breve dialogo intercorso ieri in una classe seconda elementare. Se tutti i bambini rispondono come hanno risposto Franco e Maria, capirete per quale motivo il futuro dell'umanità ha ben poche possibilità di cambiare in meglio. I due bambini hanno 7 anni.
Ero seduto a terra, zitto, con le spalle appoggiate al muro. Osservavo attentamente i bambini nell'aula, stavano a gruppetti. Uno di loro, Franco, si avvicina a me e esordisce così:
- Lo conosci Batman?
- Certo che lo conosco, conosco anche Robin.
- Lo sai che a me piace Batman?
- Perché ti piace?
- Perché è un super eroe.
- A me non piace Batman.
- Perché?
- Perché è un super eroe.
- Perché?
- Perché a me piace la gente semplice, quella che costruisce le case, quella che aggiusta le sedie, quella che coltiva la frutta che stai mangiando, la gente di tutti i giorni.
(qualche secondo di silenzio, poi Franco 'cambia' discorso)
- Lo sai che io a casa ho i videogiochi?
- Io no.
- Perché?
- Non mi piacciono i videogiochi, preferisco giocare con altre cose.
- E con che cosa giochi?
- Con le cose vere, per esempio mi piace la trottola. Mi piace giocare con i colori, mi piace toccare il legno, mi piace suonare la chitarra, mi piace arrampicarmi sugli alberi, mi piace giocare con la sabbia del mare.
- Io a casa ho tanti videogiochi.
- Quale videogioco ti piace di più?
- Quello dove devo difendere il castello dai nemici. Ma tu sei un maestro?
- No, sono una persona.
(nel frattempo arriva Maria e il dialogo adesso è solo con lei)
- Lo sai che io sono famosa?
- Sei famosa? E perché?
- Perché mi hanno messa sul giornale. Mio padre ha comprato il giornale e mi ha chiamato e mi ha fatto vedere che c'era il mio nome. Sono famosa e da grande voglio fare l'atleta famosa.
- E cosa vuol dire 'sono famosa'?
- Che sono importante.
- E cosa vuol dire essere importanti?
(silenzio, ci pensa)
- Che tutti mi conoscono.
- Io non sono famoso, però mi conoscono in tanti lo stesso. Forse essere importanti vuol dire che sei come un capo. Ti senti come un capo?
- Sì.
- E cosa vuol dire essere un capo?
- Che comando tutti.
- Vuoi comandare tutti?
- Eh, così tutti fanno quello che voglio io.
- Sei contenta di essere famosa perché così puoi comandare tutti?
- Sì.
- E non pensi che gli altri possano soffrire se li costringi a fare quello che non vogliono fare?
(si alza e se ne va)
A sette anni il modello autoritario è già innestato e ben delineato, sia in Franco, sia in Maria. L'ambiente familiare, la cultura teleimposta e quella borghese, nonché l'ambito scolastico (che hanno tutte almeno tre elementi in comune: l'autoritarismo, la competizione e la disciplina) hanno già formato il loro carattere, gli hanno già dato la piega voluta dal sistema. Se il modello autoritario e competitivo assorbito dai due bambini trova riscontro anche nei comportamenti e nei pensieri degli altri bambini, non dovremo aspettarci un cambiamento dell'umanità in senso cooperativo e pacifico, ma in quello ancora più sperequativo, gerarchico e aggressivo. La mia osservazione non si limiterà a quesi casi, peraltro già da altri ampiamente documentati, ma da qui devo partire se voglio arrivare alla chiusura di tutti i cerchi in merito alla metodologia del sistema statalizzato, ed avanzare in quelle analisi che rafforzano le ragioni e le urgenze della pedagogia libertaria, al fine di adattarla ad un presente sempre in divenire (verso il peggio).
2 commenti:
vorrei scrivere -che tristezza-...ma fai finta che non l'abbia detto, perchè voglio credere e ancora sperare in qualcosa di migliore.
Dopo più di 20 anni ho ripreso fra le mani "vivere,amare,capirsi" di Leo Buscaglia docente universitario di una materia strana un corso sull'"amore" sopratutto a quel tempo...spesso nel libro fa riferimento agli insegnati e al modo d'insegnamento stereotipato, freddo e schematico che già in quegli anni si stava propagando, quindi nulla da allora è mutato, ti assicuro leggerlo scalda l'anima...ti potrebbe interessare come insegnate per nulla lontano dal tuo sentire.
Ciao
Oh sì, Carolina, non hai per niente torto, proverò a leggerlo. Mi viene persino facile rincarare la dose, dicendoti che di scuola autoritaria ne parlava già Lev Tolstoj. Il modello è sempre Stato quello.
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