C'è un'enorme differenza tra studiare e imparare. A scuola si studia, cioè si pretende che il bambino o il ragazzo ingoi a forza le cose, costretto da un'autorità, anzi da più di una. Ma questo atto coercitivo genera necessariamente odio da parte dello studente nei confronti del sapere scolastico e della scuola, un senso di forte repulsione. Almeno il 99% degli studenti percepisce la scuola noiosa, faticosa, orribile, uno sforzo di cui farebbero volentieri a meno. Non è colpa dei ragazzi, anche se gli insegnanti questo continuano a non capirlo, perché anche loro hanno subìto lo stesso processo di normalizzazione e di formazione coatta, e più un ragazzino è svogliato o insofferente nei confronti della scuola, più gli insegnanti tradizionali pensano che sia necessaria una più severa 'scolarizzazione'. Conoscere le cose è uno dei processi naturali e vitali di ogni essere vivente, ma questo processo a scuola diventa persino atto sistemico omologante, quindi profondamente ingiusto, violento e innaturale.
Imparare è un'altra cosa, è la gioia di conoscere in maniera naturale, ognuno secondo i propri ritmi, secondo i propri tempi, secondo i propri desideri e le proprie modalità. Ed è il gioco che conduce spontaneamente alla conoscenza delle cose, gioco inteso come condizione libera dell'individuo, naturale, non soggetta a costrizioni o a leggi autoritarie da parte di qualsivoglia autorità, docente, genitore o 'adulto' che sia. Per cui nel gioco tutto diventa piacere, anche imparare. I colleghi insegnanti ('adulti, quindi seri') troppo spesso confondono il concetto di 'gioco' e capiscono un'altra cosa, credono cioè che sia sufficiente trasformare un'informazione in un momento ludico prestabilito, preorganizzato, pre-pensato, magari facendo una battuta o trasportando quella nozione sul piano degli esempi figurati, drammatizzati, scenici. Quei colleghi dovrebbero sapere che non è sufficiente far scattare il sorriso collettivo, l'educatore non dovrebbe essere un duce sul pulpito dell'adunata che lavora di psicologia, gli studenti finiranno molto presto per capire la sua menzogna scenica, capirebbero -e capiscono- che la nozione viene calata sempre dall'alto, che viene comunque imposta, e in quel teatro il docente si aspetta comunque (pretende) che tutti -come prima- sappiano quella nozione in quel dato modo, in quel preciso momento, nell'identica struttura normalizzante e uguale per tutti, seppur sorridendo. Il gioco, invece, rispetta la diversità naturale di ogni individuo predisponendolo all'apprendimento in modo spontaneo. Certo, per il gioco occorre tempo libero, cosa che l'umanità si è lasciata rubare. Tempo libero, altrimenti detto scholḗ, ovvero scuola.
Imparare è un'altra cosa, è la gioia di conoscere in maniera naturale, ognuno secondo i propri ritmi, secondo i propri tempi, secondo i propri desideri e le proprie modalità. Ed è il gioco che conduce spontaneamente alla conoscenza delle cose, gioco inteso come condizione libera dell'individuo, naturale, non soggetta a costrizioni o a leggi autoritarie da parte di qualsivoglia autorità, docente, genitore o 'adulto' che sia. Per cui nel gioco tutto diventa piacere, anche imparare. I colleghi insegnanti ('adulti, quindi seri') troppo spesso confondono il concetto di 'gioco' e capiscono un'altra cosa, credono cioè che sia sufficiente trasformare un'informazione in un momento ludico prestabilito, preorganizzato, pre-pensato, magari facendo una battuta o trasportando quella nozione sul piano degli esempi figurati, drammatizzati, scenici. Quei colleghi dovrebbero sapere che non è sufficiente far scattare il sorriso collettivo, l'educatore non dovrebbe essere un duce sul pulpito dell'adunata che lavora di psicologia, gli studenti finiranno molto presto per capire la sua menzogna scenica, capirebbero -e capiscono- che la nozione viene calata sempre dall'alto, che viene comunque imposta, e in quel teatro il docente si aspetta comunque (pretende) che tutti -come prima- sappiano quella nozione in quel dato modo, in quel preciso momento, nell'identica struttura normalizzante e uguale per tutti, seppur sorridendo. Il gioco, invece, rispetta la diversità naturale di ogni individuo predisponendolo all'apprendimento in modo spontaneo. Certo, per il gioco occorre tempo libero, cosa che l'umanità si è lasciata rubare. Tempo libero, altrimenti detto scholḗ, ovvero scuola.
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