I bambini sono
egocentrici, ma non nel senso che intendiamo noi comunemente.
L'egocentrismo dei bambini non è quell'aspetto culturale che ci fa
credere di essere al centro dell'universo, o al centro di un gruppo
di persone da sottomettere, ma è quella forma naturale di
autoconvincimento secondo cui il punto di vista del bambino non è
uno tra i tanti possibili, ma l'unico. Se fino ai quattro anni il
bambino crede che le nuvole abbiano una propria coscienza (poiché si
muovono da sole), negli anni successivi avrà necessità di credere
che a far muovere le nuvole sia una qualche forza esterna: 'il
vento', dirà a se stesso; ma la curiosità innata gli farà sorgere
anche la domanda conseguente: 'e chi fa muovere il vento'? A questo
punto, se il bambino non avrà ricevuto alcun tipo di risposta dal
contesto culturale, egli svilupperà un proprio pensiero, delle
proprie idee, delle risposte originali e singolari sul moto del
vento, la sua fantasia sarà completamente libera di creare
performances cognitive diverse, esaltanti, e a ritmi sostenuti,
finché non sarà più o meno soddisfatto della risposta trovata.
Avrà cioè indagato e attivato tutti i processi della critica e
della speculazione intellettuale. Il bambino potrà anche arrivare
alle risposte che in qualche misura si avvicinano a quelle date
dalla scienza, ma cosa succede se al bambino vengono
preventivamente date delle informazioni perentorie e soprattutto di
carattere morale o metafisico? Il processo di critica logica svanisce in cambio di
una più comoda soluzione fornita da altri. Niente sforzo
intellettivo (se non quello mnemonico), ma anche niente capacità
analitica, niente fertile travaglio creativo, niente spirito critico.
In sostanza, quando il bambino cresce e comincia a capire che possono
esistere diverse interpretazioni della realtà e della irrealtà, è
sufficiente che a quel bambino sia stata precedentemente introdotta
una morale qualsiasi affinché egli se ne serva per abbracciarla in
toto e darsi le spiegazioni che cerca, quelle che egli definirà 'le
mie certezze'. Poiché la morale gli giunge da parte di un esterno
ritenuto dogmatico (autorità, prete, maestro, genitore, media...),
questa morale non soltanto ha necessariamente carattere autoritario,
ma segue scopi precisi, finalità prestabilite. Il bambino avverte
quella morale come una solida sicurezza per tutte le sue paure e i
suoi dubbi, si normalizza perfettamente ai modelli culturali imposti,
si incammina sulla strada tracciata da altri, e diventa esattamente
come il sistema desidera che sia. Attenzione, qui non si sta
dichiarando che il teorema di Pitagora sia sbagliato, ma che in questo processo
formativo fatto di nozioni predigerite e calate dall'alto viene meno l'identità
personale, sostituita da quella culturale.
Occorre saper distinguere
tra identità personale e identità culturale, quest'ultima è una
costruzione storica, un elemento formativo che muta nel tempo a
seconda di molti fattori (geografici, economici, religiosi, politici,
scientifici...), l'identità culturale non ha e non può avere carattere assoluto e
perenne. Ma le pedagogie progettate dai sistemi statali, pur
considerando le dovute differenze tra stato e stato, hanno tutte il
solo scopo di innestare nei fanciulli segni moralizzanti che inclinano gli individui alla competizione,
all'autoritarismo, o all'accrescimento esponenziale della cifra
competitiva in direzione autoritaria. Il bambino cercherà e userà
quei riferimenti morali imposti come grimaldelli per tutte le sue
questioni. E poiché il bambino vede che i meccanismi della realtà
sociale collimano perfettamente con la morale imposta, avrà molta
difficoltà a concepire idee diverse, soluzioni diverse, persino
emozioni diverse. A quel bambino, il sistema culturale ha soffocato
l'identità personale, la sua incomparabile unicità, la capacità
critica, e tenderà sempre di più a identificarsi nella massa
dogmatizzata che riproduce a sua volta il dogma.
3 commenti:
Ti seguo sempre con grande interesse.
Nell'ottica di tendere a preservare l'identità personale, in caso di bambini non scolarizzati, come potrebbe dunque rispondere il genitore a domande di questo tipo? Io cerco di stimolare le sue ipotesi e poi passiamo insieme a cercare la risposta (per le domande che hanno una risposta, altrimenti congetturiamo a oltranza).
Scusa se porto la questione a una banale situazione pratica, ma sono appunto questioni che si calano nella pratica ogni giorno...
Pippi. La salvaguardia dell'identità personale di un bambino, con tutto ciò che essa comporta (ad esempio l'autostima), passa sempre attraverso la libertà di decidere cosa, come, quando, dove, e con chi imparare. In sostanza, tutto deve partire dal bambino, dalla sua curiosità innata. Nella pratica, il bambino che chiede informazioni potrebbe avere uno stimolo esterno (educatore/trice) che non imponga 'la' soluzione, ma che appunto stimoli la ricerca in varie direzioni (ascoltare il bambino sempre, con attenzione) per trovare molte altre soluzioni, e tra queste può certamente esserci la risposta fornita dal sistema culturale che, se davvero conveniente, il bambino la sceglierà liberamente senza che su di lui sia gravato il fattore 'dogma', e avrà imparato qualcosa con gioia. Se nel ventaglio delle soluzioni trovate il bambino sceglie quella che l'educatore ritiene essere la più 'assurda', l'educatore non ha il diritto di intervenire coercitivamente, anche perché la 'soluzione assurda' di oggi potrà essere messa in discussione domani dallo stesso bambino, che riformulerà la stessa domanda all'educatore o a chi ha intorno (libri compresi).
Ti ringrazio.
Leggendoti trovo una preziosa conferma del fatto di "essere sulla buona strada". Speriamo di essere capace di proseguire via via, sempre con il loro (delle mie bambine) passo.
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