Una citazione al giorno

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Data Rivoluzionaria

L'autorità e l'obbedienza. (la costruzione del male)

Obbedire all'autorità è ciò che questo tipo di società ci impone di fare dacché siamo nella culla. Tutta la nostra vita è un continuo allenamento all'obbedienza. E massimamente i bambini, per ovvie ragioni, sono quelli che da questo allenamento rimangono più indelebilmente condizionati. E siccome siamo stati tutti bambini, nessuno di noi è stato esentato dalla frequentazione di questa palestra dell'obbedienza. Voglio dirlo subito, l'atto dell'obbedienza in sé non è un male, bisogna solo capire a chi si vuole ubbidire, a chi giovano tutti gli effetti dell'obbedienza, e quali sono questi effetti; infatti io posso scegliere di obbedire a un ordine se questo significa per me e per gli altri ricevere un vantaggio effettivo che volge al bene, ma vorrei anche essere libero di poter scegliere di non obbedire a un ordine capace di generare un male. Capiamo bene che la questione è molto complessa e le domande possono essere varie: perché la gente obbedisce a quegli ordini i cui effetti sono palesemente criminali? Pensiamo ad esempio a chi parte per la guerra. Perché colui che parte in guerra, pur sapendo l'orrore che dovrà compiere o vedere, obbedisce all'ordine ricevuto? Quale giovamento ne trae? Chi è stato a convincere il soldato (o tutto un popolo) che gli effetti di una guerra sono un bene? Tutti sanno che una guerra si prepara con una lunga e minuziosa campagna propagandistica dove alle persone vengono inculcate una serie di elementi atti a convicerle della bontà (o necessità) di una guerra. E tutti sanno -non foss'altro per esperienza storica- che quegli elementi sono fasulli, pretestuosi, funzionali soltanto al mantenimento dei privilegi delle classi governative. Eppure tutti -o quasi- si lasciano convincere del fatto che una data guerra sia giusta, e che obbedire a quell'ordine bellico significa trarre giovamento personale. Ma quasi nessuno si pone la questione relativa al mandante di tale ordine e alla sua natura: l'autorità. E infatti, non si crede tanto alla guerra in sé, quanto all'autorità che la vuole. I soldati, come i cittadini, obbediscono agli ordini delle autorità, non certo a delle supposte esigenze omicide-suicide.
 L'autorità è l'elemento più importante nel meccanismo dell'obbedienza, ma questo non vuol dire che essa pre-esiste nella società, tutt'altro, l'autorità nasce solo quando la persona si fa suddito, e sparisce quando il suddito ridiventa persona, con tutta la sua dignità. Non se ne parla mai abbastanza dell'autorità, e c'è ovviamente un motivo. Il processo relativo all'obbedienza è tanto più efficace quanto meno l'obbediente riconosce il meccanismo psicologico-identitario che si cela dietro la figura dell'autorità in quanto tale (sia essa una persona o un gruppo di persone). Conoscere il nemico significa porsi sulla buona strada per vincerlo, perciò l'autorità non divulga la vera storia della sua 'ragion d'essere'. Le persone allenate all'obbedienza non si pongono la questione, accettano come un dato de facto l'esistenza dell'autorità: è gioco-forza, dal momento che le persone nascono e 'vivono' in questo sistema autoritario. Questione di imprinting. E la non conoscenza della 'ragion d'essere' dell'autorità pone quest'ultima su un piano percettivo metafisico, dogmatico. L'autorità si comporta come una religione a cui si crede per cieca fede. E lo Stato, con tutte le sue istituzioni e le impalcature gerarchiche, è una religione, il bambino ne assorbe ogni aspetto e ogni liturgia già nella famiglia tradizionale, patriarcale, gerarchica. In nome dell'autorità religiosa in cui si identificano, i fedeli sono disposti a commettere i crimini più atroci o ad accettare supinamente qualsiasi ordine, è sufficiente che l'autorità inventi per loro un nemico o un infedele. Ritorna la questione dell'autorità come elemento fondamentale del meccanismo che genera cieca obbedienza. 
Abbiamo un aspetto da non sottovalutare, quello della dignità personale. Di fronte a un ordine i cui effetti sono nefasti, l'obbediente che sceglie di disobbedire si sgancia dal suo essere automa fidelizzato e si riappropria della dimensione umana e viva, cioè di quella identità autonoma e mossa dalle leggi naturali; diceva Denis Diderot in una voce dell'Enciclopedia: 'nessun uomo ha ricevuto dalla natura il diritto di comandare gli altri'. Il disobbediente acquista così, nella sua disobbedienza, dignità personale ed esalta i princìpi della vita che, ricordiamolo, ha come scopo l'affermazione di se stessa nell'armonia generale dei fenomeni in continua relazione tra loro. Il fatto inquietante, però, in questo sistema di cose palesemente artificiale, è che l'obbediente è stato portato a credere che la propria devozione verso l'autorità sia un fatto naturale, e in genere l'obbediente -che ignora molti aspetti delle leggi che regolano gli equilibri naturali- trova giustificazione esponendo la questione relativa alla gerarchia presso gli animali, questione ampiamente opinata e che, in ogni caso, non giustifica l'impianto artificiale in cui l'autorità ci costringe e che non tende affatto al bene e all'armonia delle cose, tutt'altro. Ma ammesso e non concesso che si possa ancora fare un parallelismo tra organizzazione coercitiva umana e organizzazione libera bestiale, soltanto il fatto di pensare a un animale che può decidere liberamente se staccarsi dal suo gruppo senza per questo venire assediato dai suoi consimili-poliziotti, dovrebbe far riflettere sul fatto che il nostro sistema è del tutto innaturale e pretestuoso. La bestia disobbediente che decide di abbandonare il gruppo sociale a cui appartiene non soffre la paura di essere braccata e punita dai suoi compagni, non troverà mai un carcere, né condizioni di vita diverse e alienanti tali da farle rimpiangere ciò che ha lasciato, mentre il nostro sistema è stato costruito per infondere paure e obbligare le persone a rimanere all'interno del sistema. Vorrei ricordare che la libertà non consiste nel fare una data cosa, ma nel sapere di poterla fare serenamente, e questo nel nostro sistema non è concesso, a meno che non si disubbidisca. Questo divieto di sapere di poter fare, avviene già a monte, a livello mentale, perché moltissime persone provano terrore soltanto al pensiero di disubbidire all'autorità. Pensare alla disobbedienza diventa un'eresia perché, dicevo, l'autorità viene percepita come un fatto religioso, dogmatico, metafisico. 
Di fronte a popoli obbedienti e sottomessi alle autorità, dobbiamo perciò credere che ogni aspetto umano sia stato soffocato, ogni dignità personale fagogitata, annullata. Ma possono mai, interi popoli, per millenni, rinunciare alla loro dignità? Difficile crederlo. In verità la dignità continua ad esistere in maniera latente anche nei più oppressi, ma essa può manifestarsi soltanto nella volontà di affermarla con la disobbedienza alla coercizione, con la possibilità data alla scelta, con la sovversione delle leggi imposte. Tutti possono scegliere, a ben vedere. Ma il sistema, per evitare che i popoli scelgano una posizione di dignità antiautoritaria, ha costruito per loro un mondo di giustificazioni, scusanti, risposte, tutti i possibili palliativi per dissimulare lo stato di schiavitù facendola accettare, per nascondere la realtà, e per dare a questi popoli dei sostituti pseudovitali, che sono veri e propri simulacri di vita. Ma sono tutte prigioni, illusioni di libertà, come quella di scegliere i governi, cioé quei professionisti del sistema che non possono avere altro scopo se non quello di sottomettere il popolo per un loro tornaconto personale e per rigenerare la macchina del sistema. 
La questione dell'autorità intesa come forza sacra, come presenza ineluttabile nella 'vita' del popolo è il centro di tutto. Dicevo prima che bisogna capirne la sua 'ragion d'essere' per smascherare ogni suo intento malevolo e capire la sua inutilità effettiva, anzi, peggio, la sua pericolosità non soltanto per gli esseri umani, ma anche per il contesto naturale. Se noi guardiamo ai popoli ancora liberi, dove le regole non vengono calate dall'alto ma vengono decise direttamente dalla comunità e dalla libera associazione, possiamo notare che l'autorità come la intendiamo noi non esiste. Questi popoli che decidono insieme e autonomamente le norme, lo fanno non in nome di un sistema che opprime e discrimina, ma in nome di un concreto benessere collettivo. Presso quei popoli, i dissidi che possono manifestarsi vengono affrontati e risolti con metodi di giudizio molto più efficaci e umani rispetto a quello di cui il nostro sistema si fa vanto (diritto romano). Nel nostro sistema gerarchico, l'autorità pretende obbedienza in nome di un presunto ordine sociale che vuol dire sostanzialmente e concretamente oppressione e repressione. Certo, se non siamo abituati a chiederci il perché delle cose, può sembrare piacevole vedere una comunità apparentemente serena, ma se questa apparente serenità è dovuta alla coercizione espressa con il ricatto della punizione, bisogna ammettere che è come vedere degli studenti che stanno ordinatamente nei banchi per mezzo di lacci e promesse di punizioni alla minima obiezione. Il parallelo con la scuola non è un caso, essa è nata per esigenze militari e di sistema. Nella scuola, i bambini (futuri cittadini), attraverso la paura, vengono addestrati ad obbedire e ad annullarsi come persone, non hanno diritto di scelta se non a rischio di una punizione, non hanno alcuna libertà effettiva. Si dirà che devono imparare l'educazione. Certo, dipende però quale tipo di educazione, nel loro caso si tratta di educazione alla sottomissione. Addestramento all'obbedienza verso le autorità (che da adulti ossequieranno e vorranno). L'addestramento non avviene solo a scuola, anche se -è il caso di dirlo- a scuola i giovani passano anni della loro vita. Prima della scuola c'è stata la famiglia tradizionale, e dopo la scuola lo studente incontrerà la società scolarizzata e già perfettamente obbediente, disumanizzata. E non dimentico certo l'azione dei media. L'addestramento è continuo.
L'autorità è un'entità fisica che controlla e punisce, e se deve premiare lo fa per manifestare pubblicamente tutta la sua soddisfazione nei confronti del 'miglior obbediente', in questo modo l'autorità incoraggia gli obbedienti ad esserlo sempre di più. Anche il premio è un ricatto in un sistema competitivo e gerarchico. Se fai come dico io ti premio. Il bau bau di approvazione dell'obbediente è il suo ossequio verso l'autorità-padrone. Ma se il premio, per ogni autorità, può essere una medaglia come anche del danaro o l'adulazione pubblica o un passaggio di grado, questo premio però non consiste mai nella libertà, cioè nella facoltà di lasciare libere le persone di scegliere il modo in cui vivere con piena dignità e autonomia. L'autorità è però anche un'entità metafisica che agisce -nel suo ruolo di controllore- per mezzo di incursioni nella coscienza. Naturalmente, quella dell'autorità percepita come elemento metafisico è una costruzione artificiale e pretestuosa. Chi conosce la storia sa infatti bene che i re hanno dovuto montare il mythos della loro venuta in terra per volere divino, instillando così nelle coscienze dei sudditi la paura di disobbedire alla divinità, paura di una punizione spirituale e fisica in caso di dissidenza o di protesta o, appunto, di disobbedienza all'autorità incensata. Chi disobbedisce al re, disobbedisce a dio. Quindi, quella dell'autorità, è un'illusione mentale collettiva, un falso credo ideologico costruito abilmente dalle antiche caste religioso-temporali che avevano ed hanno ancora come unico scopo quello di arricchirsi sfruttando la manovalanza dei popoli che non devono ravvedersi, non devono disubbidire, non devono scoprire l'inganno, e quand'anche lo dovessero scoprire, il timore della punizione dovrà risultare sempre più forte della dignità ormai annullata. Ecco anche perché le persone non vogliono liberarsi, non vogliono cambiare sistema, ma cercano invece (trovandole) tutte le scuse per giustificare l'autorità e per perpetuare il sistema stesso. Non è facile abbandonare un dogma, anche se palesemente artificiale e fasullo, soprattutto quando il dogma viene inculcato 'amorevolmente' già in età neonatale. Ormai l'80% delle popolazioni sottomesse agli Stati credono davvero che il simulacro di esperienze che l'autorità ha costruito loro sia una normalissima condizione di libertà. Uno dei simulacri più cinici e spietati è quello del lavoro salariato, che infatti ai più sembra uno strumento per raggiungere la dignità, in realtà è una prigione. Ciò è stato crudelmente evidenziato nell'insegna 'Arbeit Macht Frei' posta all'ingresso di Auschwitz. E' solo una questione di intensità della coercizione e dei suoi effetti: in una catena di montaggio non si muore nei forni crematori, ma ci si ammala molto e ci vengono rubati anni di preziosa vita e grandissima parte delle ricchezze prodotte, rimanendo costantemente sotto ricatto e sotto paura, in un processo di produzione che arricchisce solo la classe dominante e il sistema. 
 E' stato condotto un esperimento scientifico sugli effetti catastrofici legati all'obbedienza all'autorità (vedi video sotto), è un esperimento inquietante che dimostra quanto la coscienza, abituata ad adattarsi agli ordini di un'autorità (che in questo caso può essere anche la televisione), possa portare la gente ad infliggere dolore fisico ai loro cari, ai loro simili, fino anche a farli morire se lo decide l'autorità. E dimostra anche come tutto il sistema sia effettivamente un tragico e artificiale gioco abilmente progettato per sottomettere le masse e privarle della loro dignità e della loro dimensione autenticamente umana. 
Ultima riflessione per questo già lungo articolo (ma dovrei scrivere un libro intero per parlare in modo più puntuale di questo argomento). E' arcinoto il fatto che la televisione possieda un potere autoritario straordinario. Attraverso la tv le masse vengono infatti manipolate con estrema facilità, ed è proprio la televisione a sfornare tutti quei personaggi che, investiti di un'autorità mediatica potentissima, possono in qualsiasi momento decidere di presentarsi al popolo come leader di un partito o di un movimento o di un gruppo organizzato gerarchicamente. Per questi personaggi non serve avere una riconosciuta abilità politica, poiché la loro è un'investitura fondata sull'apparenza, sul bell'aspetto, sulla simpatia, sull'abilità oratoria e modulatoria della voce o dei gesti... Tutta apparenza fidelizzante, che pretende -riuscendoci- di ergersi ad autorità per risolvere i problemi di un popolo (quale ambizione mai raggiunta!), sia da sola, sia per mezzo di altri soci (parlamento). Un cattivo affare per tutti noi. Oggi siamo all'interno di un'oppressione autoritaria fondata sul mito costruito televisivamente. Al mito dell'autorità in sé, si aggiunge il mito della sua costruzione. Anticamente l'autorità veniva costruita per mezzo del sentimento religioso (investitura divina), oggi la nuova religione che custodisce i segreti della nascita delle autorità è la televisione. Il mio consiglio è quello di vedere lo spezzone di video che segue, sottotitolato, tratto dal film-documentario 'Le jeu de la mort' di Christophe Nick, con la partecipazione di France Télévision, che si rifà all'esperimento chiamato 'il Milgram', condotto all'Università di Yale negli anni '60. Augurandovi una buona ma soprattutto cosciente visione. 


A cosa serve l'autorità e quali effetti produce obbedire ad essa. from Scuola Libertaria on Vimeo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Mamma mia, veramente potente il video!
Degli esperimenti avevo sentito parlare, ma certo che visti così fanno un effetto diverso.
Mi ricordano alla lontana il pannotico di bentham, come funzionamento automatico del potere.
Certo che sarebbe bello sapere dove si forma la frattura, dove l'empatia smette di essere il motore delle azioni. Non sono sicura sia solo questione di autorità. Certo è tantissimo questione di empatia ricevuta ...
Grazie del post!
C

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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