La gente sotto sotto ha ancora un cuore, una coscienza ancora umana, integra, nonostante questa coscienza sia messa a dura prova da una condizione in cui le individualità sono sparite, fagogitate dal conformismo, oltre che perseguitate laddove siano rimaste ostinatamente ancora sane e uniche. Cuore e coscienza: le loro esigenze hanno bisogno di essere soddisfatte in qualche modo, per questo motivo la classe dominante, che regge le redini del potere politico, ha saputo costruire con le parole tutto un immaginario di meraviglia, un fenomenale catalogo di articoli per la felicità. Ma quelle del potere sono solo parole, promesse, illusioni, idee, che i fatti smentiscono senza possibilità di appello. E non potrebbe essere altrimenti. Una politica di Stato che dovesse mettere in pratica le sue stesse parole si appresterebbe a compiere il proprio suicidio.
Con questo voglio dire che le folle conformate, adattate così bene al sistema che le imprigiona senza che esse se ne accorgano, si nutrono delle parole del potere, perché il cuore e la coscienza le esigono come proprio cibo. Non importa se la politica di Stato non farà mai quello che promette con le sue parole, quel che importa è coltivare presso la gente l'illusione che lo Stato, con le sue istituzioni e i suoi governi, sia l'unico mezzo con cui realizzare la felicità. Fino ad oggi il giochino illusionistico ha funzionato. Prodigi pavloviani.
Le folle istruite difendono le istituzioni: nell'immaginario collettivo le istituzioni rappresentano le appendici attraverso cui si può giungere all'Iperuranio, sono i necessari agganci per il raggiungimento della felicità, della perfezione e di ogni altra amenità che stuzzichi positivamente le coscienze. Questo viene fatto credere e questo viene creduto. Stiamo parlando ovviamente di mitologia, ma che serve al cuore e alla coscienza della gente. Disilludere la gente, svegliarla da questo incantesimo o stato di ipnosi dogmatica può risultare pericoloso. Pericoloso per chi grida pubblicamente che il re è nudo, ma anche per gli ipnotizzati che non hanno mai voluto credere che il re fosse nudo.Nel primo caso si rischia la denigrazione nella migliore delle ipotesi, nel secondo la servitù volontaria rischia di non poter più nascondere la propria complicità col sistema ponendosi dietro a falsi parapetti ideologici o di retorica, come fa d'abitudine.
Prendendo ad esempio l'istituzione scolastica, dalla cui azione indottrinatrice obbligatoria emerge una precisa e corrispettiva conformazione sociale (la nostra, indubbiamente orribile), possiamo notare il modo in cui le folle scolarizzate la difendano malgrado i fatti, nonostante i risultati che molti di noi, in passato, avevano preconizzato. Come dicevo, i fatti in questi casi contano poco, anzi nulla: al suddito fedele non importa sapere se il re è nudo, importa invece avere l'idea che il re sia sempre vestito. Basta solo l'idea. Questo fa la scuola: infonde e perpetua l'idea che essa sia necessaria e giusta, non importa se i fatti dicono tutto il contrario. E ancora, proprio come diceva Ivan Illich, più la scuola e le istituzioni in genere dimostrano di fare esattamente il contrario di ciò che promettono, e più le masse istruite pensano che per risolvere il problema sia necessario il rafforzamento di quelle stesse istituzioni.
Quello della scuola è un vestito fatto di una retorica formidabile, mistica, ma falsa, che il suddito scolarizzato sa declamare ogni qual volta la scuola viene messa in discussione da qualche eretico descolarizzatore. Il vero servo è quello che difende l'indifendibile. Voglio fare un esempio concreto: la società scolarizzata crede che la scuola serva, tra l'altro, a far socializzare i bambini, nonostante le evidenze dicano esattamente il contrario a volte con esiti persino drammatici come il bullismo (che è la punta emergente di un iceberg sottostante mastodontico fatto di violenza culturale e strutturale, fatto cioè di scuola in quanto tale). Come può una struttura istituzionalizzata come la scuola, nata per separare e costringere i corpi (suddivisione anche fisica per classi, e obbligo di rimanere seduti nei banchi, attenti, disciplinati, possibilmente divisi, escluso il quarto d'ora di intervallo, pena punizione), dal cui modello sono nate le moderne prigioni (vedi Foucault), come può, dicevo, la scuola promuovere e addirittura agevolare la socializzazione delle persone? Si intende una socializzazione conviviale e pacifica, è ovvio. E' una contraddizione evidente e colossale!
Eppure lo scolarizzato medio lo crede possibile, perché l'idea della socializzazione è bella in sé, ci appartiene atavicamente in quanto siamo animali sociali, e proprio sui caratteri atavici lavora il potere, che fino ad oggi si è premurato di toglierci il primato dell'autorganizzazione e dell'autoaffermazione per costruire specializzati e specializzazioni, cioè agenzie esterne alle quali la gente non può far altro che delegare tutto, con le buone o con le cattive (obbligo scolastico, obbligo di medicalizzazione, obbligo di burocratizzazione delle vite, obbligo di certificazione di ogni cosa...). E infatti nell'immaginario collettivo tutte le istituzioni, primariamente la scuola, sono ormai diventate le superagenzie indiscusse che, a loro dire, condurrebbero al giusto, al buono, al bello, alla sapienza. Le istituzioni sono le nuove chiese. E la scuola è una chiesa talmente potente che il fedele scolarizzato, essendo tale, tende ad opporsi a qualsiasi evidenza che gli dimostri concretamente che, giusto per agganciarmi all'esempio di prima, dei bambini che giocano liberi e chiassosi non hanno alcun bisogno di istituzioni (e istruzioni) sedicenti socializzanti, perché i bambini liberi sono essi stessi, in quanto tali, individui naturalmente sociali, ma già anche liberi. Serve altro? No. Ma un devoto della scuola continuerà a difendere l'istituzione nonostante tutto, a meno che l'adepto non sia in grado di fare un lavoro su di sé, autonomo, intimo, di decostruzione critica, che lo liberi finalmente dalle sovrastrutture culturali menzognere. Dopodiché possiamo anche pensare di iniziare a camminare tutti insieme nel segno della pace e della libertà. Nel segno, e non verso. Pace e libertà non hanno bisogno di un cammino iniziatico, come dicevo nel post precedente, perché sono il cammino.
Quello della scuola è un vestito fatto di una retorica formidabile, mistica, ma falsa, che il suddito scolarizzato sa declamare ogni qual volta la scuola viene messa in discussione da qualche eretico descolarizzatore. Il vero servo è quello che difende l'indifendibile. Voglio fare un esempio concreto: la società scolarizzata crede che la scuola serva, tra l'altro, a far socializzare i bambini, nonostante le evidenze dicano esattamente il contrario a volte con esiti persino drammatici come il bullismo (che è la punta emergente di un iceberg sottostante mastodontico fatto di violenza culturale e strutturale, fatto cioè di scuola in quanto tale). Come può una struttura istituzionalizzata come la scuola, nata per separare e costringere i corpi (suddivisione anche fisica per classi, e obbligo di rimanere seduti nei banchi, attenti, disciplinati, possibilmente divisi, escluso il quarto d'ora di intervallo, pena punizione), dal cui modello sono nate le moderne prigioni (vedi Foucault), come può, dicevo, la scuola promuovere e addirittura agevolare la socializzazione delle persone? Si intende una socializzazione conviviale e pacifica, è ovvio. E' una contraddizione evidente e colossale!
Eppure lo scolarizzato medio lo crede possibile, perché l'idea della socializzazione è bella in sé, ci appartiene atavicamente in quanto siamo animali sociali, e proprio sui caratteri atavici lavora il potere, che fino ad oggi si è premurato di toglierci il primato dell'autorganizzazione e dell'autoaffermazione per costruire specializzati e specializzazioni, cioè agenzie esterne alle quali la gente non può far altro che delegare tutto, con le buone o con le cattive (obbligo scolastico, obbligo di medicalizzazione, obbligo di burocratizzazione delle vite, obbligo di certificazione di ogni cosa...). E infatti nell'immaginario collettivo tutte le istituzioni, primariamente la scuola, sono ormai diventate le superagenzie indiscusse che, a loro dire, condurrebbero al giusto, al buono, al bello, alla sapienza. Le istituzioni sono le nuove chiese. E la scuola è una chiesa talmente potente che il fedele scolarizzato, essendo tale, tende ad opporsi a qualsiasi evidenza che gli dimostri concretamente che, giusto per agganciarmi all'esempio di prima, dei bambini che giocano liberi e chiassosi non hanno alcun bisogno di istituzioni (e istruzioni) sedicenti socializzanti, perché i bambini liberi sono essi stessi, in quanto tali, individui naturalmente sociali, ma già anche liberi. Serve altro? No. Ma un devoto della scuola continuerà a difendere l'istituzione nonostante tutto, a meno che l'adepto non sia in grado di fare un lavoro su di sé, autonomo, intimo, di decostruzione critica, che lo liberi finalmente dalle sovrastrutture culturali menzognere. Dopodiché possiamo anche pensare di iniziare a camminare tutti insieme nel segno della pace e della libertà. Nel segno, e non verso. Pace e libertà non hanno bisogno di un cammino iniziatico, come dicevo nel post precedente, perché sono il cammino.
Vorrei ripetermi anche qui. Poiché le persone sono intimamente guidate dalle esigenze naturali del cuore e della coscienza, esse amano in maniera viscerale l'idea del bello, del buono, del giusto, della sapienza, della fratellanza..; la gente è profondamente innamorata di chi le promette queste cose, quindi è innamorata dell'idea che la scuola dà di se stessa alle folle da ben 26 secoli, è innamorata di un'immagine retorica, di maniera, olografica e millenaria, perciò la difende fideisticamente. Ma come si fa a difendere per così tanto tempo un qualcosa che produce l'esatto opposto di ciò che promette? Come dicevo, soltanto una cieca fede, ovvero l'obnubilazione del raziocinio, riesce a ottenere questo risultato.
Ecco il motivo per cui il potere necessita di autoriformarsi continuamente. Le riforme della scuola servono anche a questo, a rivitalizzare l'illusione iniziale, a riportare in alto il livello di speranza del suddito, a rifidelizzare la società alla scuola, a irrobustirne la sua retorica e la liturgia, a riproiettare nelle coscienze l'ologramma iperuranico. E' come se il re di prima, accorgendosi del mugugno della gente che nel frattempo si è accorta della sua nudità e quindi comincia a dubitare, dicesse al popolo: 'sudditi amati, è giunto il momento che io indossi altri vestiti, da domani questi miei vestiti avranno un'altra foggia, e sarà più bella'. Applausi al re, dubbio sparito, l'illusione ha rifatto centro. Ma la questione, in realtà, non è mai stata quella di cambiare o meno i vestiti, o farsi illudere ancora dalle belle parole del potere, qui si tratta di non volere più il potere in quanto tale, si tratta di demolire il dogma culturale imperante e far implodere la macchina scolastica istituzionale che lo crea.
Ecco il motivo per cui il potere necessita di autoriformarsi continuamente. Le riforme della scuola servono anche a questo, a rivitalizzare l'illusione iniziale, a riportare in alto il livello di speranza del suddito, a rifidelizzare la società alla scuola, a irrobustirne la sua retorica e la liturgia, a riproiettare nelle coscienze l'ologramma iperuranico. E' come se il re di prima, accorgendosi del mugugno della gente che nel frattempo si è accorta della sua nudità e quindi comincia a dubitare, dicesse al popolo: 'sudditi amati, è giunto il momento che io indossi altri vestiti, da domani questi miei vestiti avranno un'altra foggia, e sarà più bella'. Applausi al re, dubbio sparito, l'illusione ha rifatto centro. Ma la questione, in realtà, non è mai stata quella di cambiare o meno i vestiti, o farsi illudere ancora dalle belle parole del potere, qui si tratta di non volere più il potere in quanto tale, si tratta di demolire il dogma culturale imperante e far implodere la macchina scolastica istituzionale che lo crea.
'Lungi dal realizzare l'eguaglianza delle opportunità che promette, la scuola infatti riproduce e consolida la stratificazione sociale e funge da moderno cerimoniale di iniziazione alla società dei consumi. Essa appare come un grande rituale mitopoietico, generatore di miti che rendono tollerabile la sua controproduttività paradossale, ovvero la paralisi dell'apprendimento che il monopolio scolastico produce inevitabilmente' (Antonio Airoldi, nota bibliografica pubblicata in 'Disoccupazione creativa' di Ivan Illich, Red edizioni, 1996)
'La ricostruzione della società ha inizio quando i cittadini cominciano a dubitare' (Ivan Illich).
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