Quando ero bambino, gli adulti della mia famiglia mi minacciavano dicendomi che se non avessi fatto il bravo a scuola mi avrebbero mandato al riformatorio, facendomi peraltro capire con l'espressione della voce ed un gesto della mano eloquente che là, al riformatorio, le avrei buscate di santa ragione finché non avrei imparato a stare finalmente ed educatamente in una scuola. Anche da ciò si capisce che la natura della scuola non è benigna. L'istituzione dei riformatori, ritenuti necessari affinché gli spiriti più creativi e liberi venissero sedati e ricondotti a forza sul percorso dell'obbedienza remissiva, dimostra chiaramente che ciò che la scuola vuole è soltanto vederti rassegnato, indebolito, incattivito, e ben disposto ad accettare ogni tipo di coercizione e addestramento da parte dell'autorità. Il pretesto degli adulti è rimasto inalterato nel tempo: 'lo facciamo per il tuo bene, per la tua sicurezza, per il tuo futuro, obbedisci e un giorno ci ringrazierai'.
Vorrei dirlo apertamente senza troppi giri di parole: se nel mio modo di essere c'è forse qualcosa di buono, come alcuni sostengono, dove per 'buono' si intende un carattere incline al senso di giustizia e al rifiuto categorico dei valori autoritari, questo non lo devo certamente all'educazione scolastica, né alla convinzione degli adulti che mi hanno mandato a scuola, ma lo devo a qualcosa che, da essere umano, mi porto dentro dalla nascita, come un istinto; ma lo devo anche alla mia autonoma capacità di riflessione e di analisi evolutasi nel tempo nonostante la scuola e a dispetto della società adultocratica.
C'è stato un tempo, a dire il vero, in cui anche io ho creduto alla teoria della scuola come strumento di emancipazione personale e collettiva. Ero giovane e ingenuo, e anche presuntuoso: guai a chi osava mettere in discussione le mie convinzioni granitiche sulla scuola. Oggi non posso più credere che la scuola sia uno strumento di emancipazione, anche alla luce degli effetti visibili prodotti dalla scuola su questa società, per questa società specifica, che è sempre più vittima della propria pedagogizzazione obbligatoria di massa. Emancipazione da che cosa, poi? Dal sistema oppressivo che non ci rende liberi? Bene, ma un giorno mi son dovuto chiedere: com'è possibile che la scuola, che è uno strumento del sistema, voluto dal sistema, possa servire a liberarci dal sistema? Da lì, poi, la riflessione ha seguito la via più logica ed evidente nel definire la scuola come mero strumento di perpetuazione del sistema. Forgiare servi affinché questi si creino i padroni. Et voilà!
Niente da fare, con me la scuola ha fallito totalmente, non ha saputo raggiungere uno dei suoi obiettivi più nascosti e pervasivi: farsi percepire come indispensabile, come luogo massimo e unico del sapere, come un dogma ineludibile. Ciò che la scuola predica per propagandare se stessa, poi, non ha alcun riscontro nella realtà, perché, come ho avuto modo di ripetere più volte, un conto è predicare bene, un altro conto è agire esattamente per come si predica. E la scuola, come la società che da essa scaturisce, è fatta in modo tale che ogni azione dei singoli, nonostante le loro buone intenzioni, vada nel verso opposto alle cose che si predicano, va cioè nel verso opposto alla solidarietà, all'armonia, alla giustizia, alla libertà. Le eccezioni rimangono tali, confermano la norma, e puntualmente vengono pure criminalizzate.
Io credo che le voci assolutamente critiche sulla scuola e sui suoi obiettivi nascosti, sui suoi metodi coercitivi e ricattatori, voci che hanno ormai radici profonde nella storia e che ci esortano ad abbandonare il dogma scolastico, debbano essere non soltanto ascoltate, ma tradotte urgentemente in pratica per un fine davvero umano e universale, autenticamente emancipatore, perché, come diceva anche H. D. Thoreau, la scuola non può mai essere un edificio in cui i bambini vengono rinchiusi escludendoli dalle infinite relazioni quotidiane, escludendoli dai veri e gioiosi insegnamenti che la vita ci dona; la nostra scuola, diceva Thoreau, deve essere il mondo intero! La maggior parte delle cose che sappiamo le abbiamo imparate fuori dalla scuola, dalla gente più diversa e dall'esperienza diretta, e con la gioia di farlo, senza strumenti premiali e punitivi, senza ricatti e voti sul registro, senza orari prestabiliti e cultura competitiva. Apprendimento incidentale, gioco come naturale strumento di conoscenza, rovesciamento della cultura attuale e dei dogmi educativi, pensare a una società liberata dalla scuola... di questo si dovrebbe parlare, e questo dovremmo fare dopo due secoli di critica alla scuola istituzionale, e non parlare di competenze (dei futuri automi produttivi) o di merito (come e quanto si è diventati automi). Forse un giorno racconterò di un ragazzo che non è mai andato a scuola, potrebbe aiutare qualcuno a togliersi dalla testa la necessità di tale nefasta istituzione, qualora ci fosse ancora bisogno di dimostrare qualcosa oltre ai già eloquenti dati di fatto.
Nel tempo in cui le caratteristiche autoritarie della scuola si stanno inasprendo e i suoi strumenti violenti si stanno potenziando, arrivando persino all'istituzione di classifiche di merito (leggi demerito) per i docenti, classifiche deliberate dagli stessi docenti (c'è qualcosa di più aberrante?) che ora dovranno lottare miserevolmente tra loro per un tozzo di pane in più tolto dalla bocca del collega, io non credo che la scuola stia morendo o che sia già morta, come si potrebbe pensare. Dico invece che la scuola non è mai stata così viva, purtroppo, a tutto vantaggio di un programma capitalista molto preciso e raffinato, occulto, che fino ad oggi non ha mai sbagliato un colpo, perché conosce fin troppo bene la materia sulla quale opera, una materia che proprio il capitale ha creato per sé e forgiato a proprio vantaggio, proprio per mezzo della scuola, e non ha ancora finito. Le nuove esigenze del capitale, sempre più voraci, non possono essere concretizzate se non passando attraverso un'educazione di massa obbligatoria e istituzionalizzata tesa a far accettare di buon grado, anzi, persino con grande approvazione delle masse appositamente istruite, le nuove istanze del sistema produttivo. La scuola intesa nel senso etimologico del termine (scholé = tempo libero), se mai ne è esistita una veramente, si perde nella notte dei tempi, ormai non esiste più da molti secoli. Quella sì che è morta, ma è morta soprattutto nella mente istruita delle persone, che ormai non sanno più immaginarsi una società del tempo libero, senza scuola e senza autorità, senza competizioni e senza gerarchie, senza prigioni e senza polizie.
Non ci serve una nuova scuola, bensì la sua abolizione, ci serve la descolarizzazione del mondo. E' vero che facciamo tutti molta fatica ad abbandonare i dogmi, le credenze storicizzate e i pregiudizi, ma a un certo punto bisogna pur guardare in faccia noi stessi, i nostri secoli di storia e il tipo dis-umano che la scuola ha creato progressivamente nei secoli. Parlare di emancipazione mi sembra persino offensivo nei confronti dell'intelligenza, oltre che del buon senso. D'altra parte, so bene che è facile cadere nella trappola del riformismo, come se il disastro in atto non fosse dovuto a tutte le riforme ministeriali, ma oltre ad essere, il riformismo, una cosa comoda e vigliacca, utile solo al capitale, dobbiamo domandarci con chi avesse mai parlato Ivan Illich quando nel 1971 scriveva 'Descolarizzare la società', o quando John Holt respingeva categoricamente l'educazione con la quale - diceva - bisogna assolutamente farla finita. Due esempi tra gli altri, s'intende.
Anche le scuole libertarie, beninteso, se fanno di loro stesse il fine ultimo e non il mezzo, se cioè non riescono ad essere degli archi tesi attraverso cui gli individui prendono uno slancio vitale e si scagliano autonomi verso il proprio modo di sentirsi e costruirsi, diventano come quelle scuole democratiche, apparentemente libere, ma aventi sempre un controllo a monte, come le istituzioni che hanno come scopo finale se stesse, la loro perpetuazione. Quale dovrebbe essere, dunque, secondo il mio parere, il fine ultimo di una scuola libertaria? Mi sto occupando di questo argomento in altre sedi, forse un giorno vi dirò quello che penso in merito a questo argomento. Intanto grazie dell'attenzione, come sempre.
Corollario'Negli anni ‘60, quando la mia prima figlia doveva iniziare il percorso scolastico, mi sono guardato intorno alla ricerca di una buona scuola, pubblica o privata, a cui affidare la mia amata bambina. Non sono riuscito a trovarne una in tutta Città del Messico. Alcuni amici si trovavano nella stessa difficile situazione. Allora ci siamo inventati la nostra scuola. Abbiamo fatto un meraviglioso cocktail, mescolando alla nostra creatività una grossa dose di Freinet, un po’ di Montessori, un po’ di Steiner e delle scuole Waldorf, un po’ di Summerhill, ecc. Era molto bello. Ogni anno aggiungevamo una classe, perché mia figlia potesse continuare gli studi. L’esperienza le piaceva. Ma quando lei ha finito le medie, abbiamo chiuso la scuola. A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo). Siamo dunque stati costretti a cercare percorsi alternativi'.
(Gustavo Esteva, da 'Senza insegnanti, descolarizzare il mondo' - Asterios Editore)