Una citazione al giorno

Una citazione al giorno -
Data Rivoluzionaria

Condividere le unicità e rispettarle in quanto tali

La libera condivisione delle idee, delle soluzioni, delle esperienze, dei modi di pensare e di agire, ecc. rappresentano da sempre una ricchezza fenomenale, non solo in termini pedagogici. Culture diverse che viaggiano, che si incontrano, che si opinano frizionandosi o si sposano, sono da sempre caratteristiche fondamentali dell'umanità in evoluzione, dell'essere umano libero e curioso che vive, che cerca, che scopre, che inventa e che si muove verso nuovi spazi di conoscenza. Filogenesi e ontogenesi, con il conseguente progresso, non possono fare a meno dell'Uomo che incontra l'Uomo. E' un fatto naturale. E spinge naturalmente in direzione libertaria.
Per questo motivo le ideologie razziste o nazionaliste, che spesso si declinano nel più rassicurante - ma ugualmente pericoloso e becero - patriottismo, non hanno alcun senso, se non quello votato al pensiero autoritario e alla edificazione di una società come la nostra: distopica. 
Il libero scambio di conoscenze, voluto o incidentale, non porta necessariamente alla fusione o all'omologazione degli individui, e nemmeno alla loro chiusura ri-vendicativa. Queste due tendenze appartengono soltanto alle comunità autoritarie gerarchizzate, agli Stati nazionali, alla cultura che impera attualmente. No, lo scambio di conoscenze e l'incontro delle civiltà può e dovrebbe essere pensato e vissuto per quello che è, come un primo atto di rispetto reciproco delle rispettive identità culturali, ben distinte tra loro. Se poi, col passar del tempo, da questo incontro avviene un sincretismo o una sintesi, questo non sarà certamente qualcuno a deciderlo dall'alto, pedagogicamente, ma sarà la viva spontaneità a crearla, senza per conseguenza creare frizioni e ingiustizie. Ma sarà sempre tutto in libero e continuo movimento, vivo!
L'idea di una società necessariamente omologata e massificata è quella che ci viene insegnata e prescritta fin dalla nascita, ma è anche quella più distruttiva per noi, è contro natura, va contro i nostri stessi interessi, contro la vita stessa. L'adattamento massificante è sempre quantomeno irrispettoso, se non assassino, della ricchezza che connota ogni esperienza di diversità condivisa. Non si tratta, allora, di fare la guerra agli altri per sostenere ed affermare una nostra presunta superiorità (la vita è vita, nessun individuo ha il diritto di classificarla), ma non si tratta neanche di inglobare, massificare, integrare, diluire tutti gli individui nel brodo del pensiero unico, di un unico sistema culturale. Si tratta semplicemente di avere la voglia e la capacità di essere se stessi, unici, all'interno di una varietà, rispettando chi, nella sua preziosa e naturale unicità diversa dalla nostra, vuole essere altrettanto se stesso e unico; se stessa e unica.
Credo che i razzisti soffrano sostanzialmente di una grande fragilità della personalità, tale da impedire loro di sentirsi unici all'interno di una varietà. Essi percepiscono la varietà e l'unicità come loro acerrime nemiche e, di conseguenza, ne hanno terribilmente paura. Non a caso amano le uniformi, tendono a sottomettersi a un capo o a volerlo diventare... Tutto è ricondotto, alla fine, alla classica e stolta paura della libertà, propria e altrui. Così i razzisti, i nazionalisti, i seguaci del 'prima noi' (leggasi 'solo noi'), incapaci di rimanere se stessi e unici in un contesto di smagliante varietà (dal quale potrebbero imparare ed evolvere), aspirano a sottomettere con la forza tutti gli altri, volendoli perfettamente uniformati al loro modo di pensare, e in questo modo si illudono di eliminare le stupide paure che vivono in loro sottoforma di infantili fantasmi. Tutti i pensieri e le ideologie omologanti sono necessariamente autoritarie, e lo Stato non è altro che la loro espressione più compiuta e pericolosa.

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Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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