La buona pedagogia esige coerenza
Non è semplicemente predicando il bene che lo si ottiene. Se fossero sufficienti le parole avremmo risolto i nostri problemi da un pezzo. Servono invece azioni che siano esempi per la costruzione di un sistema culturale diverso da quello in cui siamo imprigionati. Noi, con le nostre azioni, con le nostre scelte, nei nostri rispettivi àmbiti e secondo le nostre diverse capacità, siamo in grado di cambiare il modello dominante autoritario.
E' perfettamente inutile predicare ai ragazzi l'eguaglianza nei diritti, la libertà, la pace, la solidarietà, la giustizia, se tutte queste belle parole non si traducono in fatti concreti. I ragazzi imparano copiando dal mondo degli adulti, dalle scelte e dalle azioni di questi ultimi, spetta agli adulti agire in coerenza con ciò che essi stessi predicano, ma dato che nella stragrande maggioranza dei casi questo non succede, possiamo affermare che gli adulti vivono continuamente dentro questa incoerenza. Purtroppo l'incoerenza è anch'essa un modello, e nella scuola tradizionale l'incoerenza è ovunque. Vorrei fare un esempio. Se un giorno una maestra spiega ai bambini che la parola 'democrazia' significa 'potere del popolo', e lo spiega mentre tutti gli altri giorni impone al suo popolo di studenti ogni tipo di ordine, utilizzando il ricatto del premio o la paura della punizione, questa è tutt'altro che democrazia, è dittatura, che si fa modello da copiare. Se vogliamo che il modello sociale rimanga per molti altri secoli quello che è, allora quella maestra farà bene a fare come ha sempre fatto, dichiarando attraverso ogni sua azione e dall'alto del suo scranno che non esiste alcuna eguaglianza nei diritti, poiché in questo tipo di società gerarchizzata qualcuno dev'essere più uguale degli altri, deve avere più diritti degli altri. Se quella maestra ritiene un pericolo il fatto che i bambini decidano in autonomia o che abbiano gli stessi suoi diritti, allora è perfettamente inutile che quella maestra parli di democrazia o di libertà o di giustizia, anzi è dannoso, poiché ciò che insegna a quei bambini è l'ipocrisia, un comportamento sociale fondato sulla falsità, un modello che è violento in sé, strutturalmente, nella gerarchizzazione dei ruoli. Se quella maestra ritiene che il suo modello sia quello più utile alla società, per coerenza con le sue azioni e con le sue convinzioni quella maestra dovrebbe predicare la presunta bontà della dittatura, non della democrazia, allora può darsi che i bambini apprezzeranno anche la coerenza tra il suo dire e il suo fare. Ma è bene sapere, quantomeno, che è molto stupido sperare di cambiare le cose facendo le stesse cose.
Certamente in questo tipo di società dittatoriale e punitiva cambiare le proprie scelte o distruggere le convinzioni tradizionali richiede non soltanto determinazione e autocritica, ma anche la consapevolezza che ciò che si è sempre fatto è sbagliato, e credo sia questo lo scoglio più grande da superare: avere consapevolezza degli errori, ammetterli, e saper cambiare nei fatti. Gli adulti, attraverso le loro scelte quotidiane, non fanno altro che adattarsi alla società autoritaria, e obbligano figli e studenti ad adattarvisi loro malgrado, non per cattiveria consapevole, ma perché pensano davvero che le loro scelte siano giuste, da insegnare; d'altra parte, sono loro quelli 'seri' -dicono- non certo i bambini che devono imparare a stare in questo tipo di società. Ma quando qualcuno chiede agli adulti il motivo delle loro scelte, essi non hanno altre risposte da dare che un retorico 'perché si è sempre fatto così' o 'perché è giusto così', che suona davvero come un'ammissione di colpa, un non voler cambiare nulla a tutto vantaggio del sistema. Non c'è la consapevolezza del fatto che un'altra strada esiste e la si può percorrere soltanto se riusciamo ad abbandonare le vecchie idee, la morale imposta. Da qui l'esigenza di cambiare noi adulti per primi, affinché si possa diventare esempi per i piccoli e, sembra un paradosso, ma sono proprio i più piccoli a darci gli esempi più concreti per un'umanità libera: seguiamoli, non indottriniamoli, cerchiamoli in noi stessi, assecondiamoli. Pascoli docet.
La stragrande maggioranza delle persone è convinta di fare il bene, di conoscere la verità delle cose, di essere nel giusto, salvo poi scontrarsi con la realtà, con la Storia, con i fatti di tutti i giorni, che smentiscono radicalmente le convinzioni comuni. Che cosa ha prodotto ad esempio la scuola fino a oggi? Quale tipo di società, se non la solita, abbrutita ed ebbra di autoritarismo e ignoranza? Eppure, sfido chiunque a trovare un solo docente che non si dichiari nel giusto, che non dichiari la propria bontà pedagogica, la propria comprensione, persino il proprio amore nei riguardi degli allievi. Sono pronto a dar loro ragione qualora ammettessero finalmente che tutta la loro indubbia professionalità e dedizione, tutto il loro amore e la comprensione, sono al completo servizio di questo tipo di società, non certo di un'altra, magari proprio quella che essi predicano ma non praticano. Ma ammettere il proprio servile servizio vuol dire anzitutto essere consapevoli di ciò che realmente si sta facendo, delle colpe che si hanno. E le stesse colpe della scuola tradizionale le ha ugualmente la famiglia tradizionale, come tutta la società che fa di tutto per insegnare ai bambini il suo conformismo, l'adattamento al sistema, il 'si è sempre fatto così'.
Allora badiamo ai fatti, alle azioni. Supponendo adesso che tutti gli insegnanti ammettano a se stessi che la direzione intrapresa è quella sbagliata, e che finalmente trovino anche la volontà di re-agire per lasciare crescere i bambini liberamente secondo il loro individuale e naturale progetto di vita, scoprirebbero presto che l'atto educativo non è il riempire la testa di informazioni prestabilite, già codificate; e non è neppure avere l'assurda pretesa di valutare e classificare le persone in base alle prestazioni ottenute. Scoprirebbero che tutto quel che hanno sempre fatto è esattamente l'opposto di quel che vuol dire educare, si accorgerebbero che il processo educativo è invece una relazione tra pari, è autoeducazione reciproca e continua che si svolge in un ambiente libero dove l'apprendimento è gioioso, 'incidentale' -per dirla alla Paul Goodman- non programmata, autonoma, dove il motore dell'apprendimento è la curiosità innata dei bambini, la loro naturale e gioiosa predisposizione alla scoperta, all'esperienza. Scoprirebbero con la pratica che il rispetto nei fatti delle singole diversità -ben lungi dall'essere un fatto retorico- è una ricchezza che si moltiplica esponenzialmente in termini di umanità, di solidarietà, di dignità e di informazioni. Scoprirebbero che non possono esistere campanelle, orari prestabiliti e decisi dall'alto per creare un'opera d'arte o per terminarla, o per leggere e far di conto, e neppure che un caporale nella classe-cella stia sullo scranno più alto a sorvegliare affinché tutti eseguano gli ordini da lui impartiti (pena la futura dissoluzione del consorzio umano). Scoprirebbero che adattare i giovani a questa società vuol dire addestrare, plasmare, indottrinare, creare coscienze credute inesistenti, allenare all'obbedienza, alla competizione, alla vendetta, alla paura, istruire i futuri lavoratori-sudditi alla catena del sistema, renderli il più possibile aderenti al modello mercantile e autoritario. Scoprirebbero tante altre cose, e si stupirebbero di quanto genocida fosse il loro 'prima' così strenuamente difeso e imposto.
Sarei anche io un ipocrita incoerente se scrivessi tutte queste parole senza dare e avere il mio bel contributo nella pratica quotidiana, sia a scuola che fuori. Ma voglio dirlo, la pedagogia libertaria che metto in pratica in una scuola di Stato non ha certo vita facile, struttura e persone sono ostacoli non da poco, ma credo che sia proprio dentro una scuola di Stato che serva una pedagogia libertaria, così come è proprio dentro la nostra società che servono altri percorsi, altre conoscenze, altre pratiche, altre persone. E nonostante tutti gli ostacoli anche fisici che la scuola tradizionale pone al mio essere e a quello dei ragazzi, a cominciare dalla reclusione obbligata in una classe, ci sono pratiche libertarie che oltrepassano tutti gli ostacoli. In una scuola di Stato, ad esempio, è già cambiamento in senso umano far decidere ai ragazzi, farli scegliere in autonomia, non terrorizzarli con i ricatti attraverso quella mannaia dei giudizi sempre pronta a colpire e che genera ansia da prestazione, conflitti, litigi, vendette, sperequazioni... Lasciare liberi i ragazzi di discutere su un argomento, se vogliono discuterne, anche relativo al programma istituzionale, significa scoprire che questi ragazzi hanno anche visioni diverse, mondi diversi, muovono critiche, trovano altre soluzioni. Non ho studenti al mio cospetto, ma persone intorno a me. Chi può pensare che tutto questo sia un male? Io non obbligo i ragazzi a dare la risposta fornita dal libro, non obbligo neppure a comprare il libro di testo, ma neanche a non comprarlo. La libertà è anche questo. Ci sono scelte e azioni che si possono fare anche nella scuola di Stato, anche se con evidenti difficoltà, alcune di queste azioni le ho riportate qui nel blog Scuola Libertaria. Si può fare, non basta dire.
1 commento:
come hai ragione...
aggiungo questo: come insegnante e come mamma mi sento dire spesso che "bisogna preparare i ragazzi alla durezza del mondo" e penso sempre che il mondo è anche loro, soprattutto loro, è più loro che nostro, loro sono il futuro e non vedo perché non dovrebbero migliorarlo.
i bambini educano, questo lo dico come mamma, ho un figlio di quattro anni che adora il rosa e gioca con le bambole, la cosa straordinaria è che sta educando anche gli amichetti, nessuno più intorno a lui bada a questa "anomalia". perché si tratta di sessismo e il sessismo è culturale.
ti stimo, edmondo, difficile essere quel che si desidera alle superiori, che casino...
anna
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