Una citazione al giorno

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Data Rivoluzionaria

Il 'caso' particolare del ragazzo G.

  A scuola, dietro ai banchi, non ci sono persone, ma 'casi' o 'elementi', come in prigione o in clinica. Peccato che la clinica in questione faccia tutt'altro che curare. Bando alle lunghe premesse, questa è una storia amara, ma con un finale che tende al dolce, se mi lasciassero lavorare come vorrei, e se non avessi così poche ore settimanali per ogni classe (due). Questa è la storia del ragazzo G., storia di denunce, di carabinieri, di zuffe e cazzotti sia in classe che fuori, di genitori allarmati e arrabbiati, di punizioni, di dirigenti menefreghisti e impotenti, di colleghi impauriti con le automobili graffiate per rappresaglia. Il ragazzo G., un anno in più degli altri, non è italiano, ha un fisico da sollevatore di pesi, due spalle da pugile, da tre anni tiene in pugno non solo la sua classe, ma tutta la scuola. Inutile dire che non ha mai studiato. E' costantemente punito, ma lui ovviamente se ne frega, anzi, lo fa apposta e... mena, molesta le ragazze, non sta mai fermo, sale sui banchi, tira schiaffi ai professori, insulta tutti, sfascia le porte, manda in ospedale. Che fare?
La scuola tradizionale non ha soluzioni, intendo dire soluzioni valide, se non quelle di sempre (ahimé), autoritarie, punitive, coercitive, che alimentano a dismisura l'aggressività. Nella scuola tradizionale succede che, a forza di punizioni e ricatti, l'opera di addomesticamento degli animaletti selvaggi spesso si rivela una soluzione valida solo per i docenti, i quali, dopo aver terrorizzato per bene gli alunni, possono finalmente fare la loro lezione senza essere disturbati, e possono anche vantarsi della loro presunta capacità educativo-formativa. Ma cosa succede quando l'animale se ne infischia delle punizioni e non si terrorizza, ma, anzi, terrorizza gli altri? Niente, la scuola tradizionale non può farci niente. Tutt'al più la scuola tradizionale esaspera il suo innato autoritarismo chiamando in causa gli assistenti sociali, i cosiddetti 'educatori' (prussiani), gli psicologi. Questo è avvenuto anche con il ragazzo G., che però se ne infischia anche di questi figuri e minaccia e terrorizza anche loro. 'Caso' particolarmente aggressivo, direbbe chiunque. Ma qui di particolare c'è solo il fatto che questo ragazzo non è come gli altri, nel senso che non si fa addomesticare a forza di punizioni come la massa degli studenti. E qui sarebbero in troppi a cadere nell'errore e a dire: 'ma allora gli permettiamo di fare qualsiasi cosa'? Si dice questo perché, ragionando col modello autoritario tradizionale, non si conoscono altre vie che la seguente: il reato va punito. Punto. C'è qualcosa di umano in questo rimedio secolare e non soltanto scolastico? No, non c'è alcuna umanità. Perché se ci concentrassimo sull'umanità non ci sarebbe anzitutto questo tipo di scuola, e poi si troverebbero facilmente le soluzioni.
Perciò di questa storia mi sono stancato, e ho preso le mie decisioni: da un po' di tempo trascuro la classe e mi occupo soltanto dell'umanità di questo ragazzo, tutto il tempo, e se necessario anche fuori dalla scuola. Questione di urgenza umana, il resto della classe saprà ben fare a meno delle mie stupide lezioni. Ne ho abbastanza. Ho parlato con questo ragazzo in privato molte volte, questo ragazzo non è cattivo, tutt'altro. Questo ragazzo è un poeta, ha scritto pensieri profondissimi sul suo profilo facebook che mi hanno fatto capire, e ha parlato con me di cose che mi hanno fatto ragionare. Perché bisogna capire, conoscere, per agire bene. Tempo fa questo ragazzo è andato a dire alla segretaria che io sono l'unico insegnante che gli piace. Perché? Forse perché quando G. mi ha invitato a chiacchierare su una chat creata da lui io gli ho risposto di sì? Anche. Forse perché sono l'unico che si interessa a lui come persona? Certo. E cosa vuol dire interessarsi della persona e non dello 'studente'? Vuol dire leggere dentro l'individuo, capire le sue attitudini, cercare di farle emergere, dar loro sfogo, sì che la persona possa appagarsi della sua libertà di fare, di pensare, sapendo pure di non ricevere critiche o punizioni. Così nel parlare, nell'osservare, nel capire, oggi questo ragazzo sta portando avanti un suo esclusivo progetto, lo fa in classe insieme a me. E' un progetto cinematografico.
Il ragazzo non vede l'ora di affrontare le due ore settimanali. Ogni volta mi si siede vicino, alla cattedra. Gli ho spiegato come si fa uno story-board, e lui a poco a poco sta costruendo il suo film. Si è inventata la sceneggiatura di sana pianta, ora sta scrivendo tutti i dialoghi. Gli ho detto di scrivere in una colonna a lato della sceneggiatura tutti gli effetti sonori corrispondenti alle scene. Quando gli ho spiegato le regole delle inquadrature era attento come mai prima. E' molto preso da questo progetto, in classe non disturba più nessuno, anzi, quando ogni tanto va dagli altri per distrarsi un poco non si mostra più aggressivo, gli altri non hanno quasi più paura di lui, lo vedo ridere e interagire positivamente. Ma cosa è successo davvero? Perché questo enorme cambio di atteggiamento? Non bisogna pensare che il medico della situazione sia stato il progetto in sé. No. Il progetto è solo il medium. E' quel che rappresenta il progetto che ha avuto la forza di far cambiare le cose. Questo progetto cinematografico non gliel'ho proposto soltanto perché ho letto le sue attitudini, ma perché ho capito che G. ha un altissimo bisogno di contatto umano, di comunicare le sue storie, di avere amici con cui condividere le sue emozioni. Dunque un film. Un film d'amore. E guarda caso, l'altro giorno mi ha detto che gli piacerebbe tantissimo se gli attori fossero i suoi stessi compagni di classe; di più, tra tutti i compagni, lui ha scelto proprio quelli su cui in passato ha alzato gravemente le mani.
Problema: la scuola, con tutto ciò che di nefasto si porta addosso. Due ore sono poche, e per questo ragazzo sono come l'ora d'aria concessa al carcerato. Troppo poche. Poi, dato che questo film lo si dovrebbe realizzare col telefonino, la scuola vieta il telefonino acceso in classe. Come la mettiamo con la stupidissima retorica de 'la legge è legge e va rispettata'? Fanculo alla legge, vero? Non c'è nulla di umano nelle legge di Stato. Ma posso seguirlo fuori dalla scuola, e lo farò, anche se devo mettere a dura prova la mia resistenza fisica dopo le ore svolte al mattino. Inoltre è ancora presto affinché i suoi compagni possano accettare di fare gli attori: un conto è la chiacchierata tra i banchi, un altro conto è organizzare le uscite e girare le scene con loro. Ci vuole più fiducia reciproca tra lui e i suoi compagni, auguriamoci che possa venire.

2 commenti:

poggello ha detto...

mi sembra un ottima soluzione, alternativa alla punizione, facci sapere come va a finire

neb ha detto...

tanti adulti, fuoriusciti dalle scuole, vorrebbero poter scrivere il loro film, ma non ne hanno più il coraggio.

che bello essere liberi di esprimersi senza nessuno che ci giudica. questo ragazzo sarà un adulto migliore di tutti noi (o quasi).

un abbraccio.

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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