Una citazione al giorno

Una citazione al giorno - I bambini hanno molto più bisogno di una rivoluzione che i proletari (William Morris)
Data Rivoluzionaria

Manifestazioni per la pace? Ancora? E quale pace?

 E adesso, tutti i sostenitori dello stato, cioè tutti coloro che hanno sempre accusato gli anarchici di essere degli utopisti, dei sognatori, quando non dei terroristi e chi più ne ha più ne metta, dovranno ammettere, se ne hanno il coraggio, che i loro bei discorsi sulla pace e sull'amore fra i popoli garantiti dalla loro 'civiltà statuale' non erano soltanto delle falsità e anche piuttosto palesi, ma anche tutta una serie di frasi fatte, una vera dottrina religiosa, un catalogo di locuzioni retoriche tirate fuori alla bisogna. Che la pace sia impossibile da raggiungere attraverso lo stato, questo, i sopracitati, non lo ammetteranno mai! Infatti, proprio in questi giorni, stiamo assistendo a uno spettacolo mediatico indecoroso, miserevole, deprimente e imbarazzante, quello dove intellettuali e giornalisti, arrampicandosi sugli specchi, fanno a gara, con l'uso esagerato della retorica propagandistica, a chi nasconde meglio la verità, quella che dice palesemente che lo stato non è altro che un'organizzazione militare e non può fare a meno delle sue  care armi e delle guerre.

In tv e altrove non vediamo altro che cicisbei di stato, vassalli di regime, che non sanno più come fare per dire, nonostante l'evidenza, che la pace è una bella cosa, ma alla fine dobbiamo usare sempre le bombe, e i nostri arsenali devono essere sempre pieni e pronti. Pronti a cosa? Ovviamente pronti alla difesa da qualche attacco. Attacco da parte di chi? Degli anarchici o degli altri stati? La risposta è ovvia, e smentisce tutta la loro propaganda, ed eccola qui la risposta: lo stato, in qualunque modo lo si voglia aggettivare, e nonostante tutte le manifestazioni per la pace, è sempre guerra. E' questa la verità che si tende a nascondere, che non si può ammettere. Una tale ipocrisia da parte dei suddetti vassalli riassume perfettamente il carattere di un sistema organizzativo che si fonda sulla cultura della competizione e del disciplinamento, che è quella che viene inculcata a tutti i bambini attraverso l'addestramento scolastico prima, e il proseguimento di quell'addestramento nella società scolarizzata dopo. 

I popoli, le persone ancora sane di mente, non vogliono la guerra, vogliono la pace, quella totale, la attendono da 5000 anni, ma non hanno capito che devono prendersela, come la libertà, ma senza delegare a chi dice loro 'ghe pensi mi'! Infatti le persone, i popoli oppressi, non potranno mai ottenere la pace, e nemmeno la libertà e la giustizia, finché continueranno a credere e sperare in questo sistema oppressivo chiamato 'status', finché crederanno nei governi, nelle loro promesse. Avete mai visto un governo rinunciare all'esercito o alle spese militari? Parliamo dei tagli alla sanità? Quelli sì che li fanno, eccome! Insomma, al di là della retorica pacifinta, tutti sanno che questo è un sistema violento e guerrafondaio di cui sbarazzarci, ma è difficile ammetterlo perché lo stato è come la religione, è una religione a cui si crede per fede, cioè a prescindere, per cultura assorbita! Liberiamo i bambini dalla scuola e dalla cultura competitiva con cui vengono allevati. Liberiamo i bambini dal loro obbligo di dover essere, dover fare, dover dire, dover pensare...e avremo finalmente un mondo diverso, giusto, libero! 'Giro giro tondo, cambia il mondo', canta Gaber! E' l'unica via! Viva la controcultura!


Il motivo della rinascita del fascismo nel mondo civilizzato

 

Negli anni che seguirono la fine della Seconda guerra mondiale, alcuni intellettuali, riunitisi già negli anni '20 del XX secolo, potenziarono i loro studi in merito ai motivi socioculturali che, anche in quegli anni, stavano producendo guerre e dittature. Com'è possibile che un tipo di società come la nostra, debitamente acculturata*, civilizzata*, possa far maturare personalità autoritarie e mostruose come quella di Hitler? E com'è possibile che masse di persone possano annullare la loro coscienza per sottomettersi al volere di queste personalità? Perché il razzismo? Eccetera. Venne quindi a formarsi la famosa Scuola di Francoforte
Gli studi condussero a delle risposte - famoso è il saggio di Theodor W. Adorno su 'La personalità autoritaria' - ma stando ai fatti, inequivocabili, il tema rimane ancora purtroppo attuale e inevaso. E' allora questa, secondo noi, la domanda che oggi dovremmo tutti porci: come mai, nonostante le risposte già date, nonostante l'esperienza storica, nonostante tutto il sapere che sappiamo, siamo di fronte a un escalation del nazifascismo nel mondo civilizzato? 
Eppure, la Scuola di Francoforte sembrava avesse analizzato proprio tutto. Sembrava, appunto. I fautori di quel consesso non avevano considerato l'elemento chiave, cioè quel fattore educativo capace di trasformare una persona autodeterminata, come lo è un bambino, in un perfetto adulto adattato, un produttore ubbidiente e remissivo, un seguace e adoratore di chiunque si presenti autoritariamente a lui come suo padrone. Quell'elemento non venne preso in considerazione, colpevolmente, tant'è vero che quegli intellettuali se lo adottarono persino per denominare il loro atto costitutivo: scuola. Quale errore!
Ancora oggi, nonostante l'individuazione dell'elemento chiave da parte di vari intellettuali (anarchici e non) che risiede nell'azione pedagogica direttiva - massimamente quella appunto della Scuola - esistono resistenze mentali fortemente dogmatiche che impediscono di accettare la realtà dei fatti e finalmente di additare la scuola come IL problema, come il luogo deputato alla (de)formazione delle coscienze, la palestra dove fare 'ginnastica d'obbedienza', come diceva giustamente Fabrizio De Andrè
Non è un caso se nessuno degli intellettuali prezzolati (pedagogisti in testa) si sia mai prodigato nell'analisi profonda e onesta degli effetti che l'azione reclusivo-coercitiva della scuola produce sulle personalità ancora in formazione come quelle dei bambini. Se lo facessero, si accorgerebbero anche loro che quegli effetti, frutto dell'obbligo di anni e anni passati tra i banchi, tradotti in migliaia di ore di ubbidienza all'autorità e reclusione forzata, conditi da paura costante e ansia da competizione, sono incredibilmente devastanti per un bambino, profondamente disumani, formativi in senso autoritario e, alla fine, non farebbero altro che darci la risposta veramente giusta riguardo al motivo per cui il mondo produce ancora oggi fascismo. 
I bambini non nascono fascisti, tutto il contrario! Il fascismo è un fatto culturale, di un tipo preciso di cultura, la nostra! E se il lettore adesso sente l'istinto di difendere la scuola (e di conseguenza il sistema) adducendo i suoi soliti luoghi comuni che hanno sempre lasciato il tempo trovato, lo invitiamo a liberarsene, magari cominciando da QUESTO e gli diciamo: ma se fossero bastati i vostri cinque o sei luoghi comuni per spiegare il fatto sociale e antropologico, pensate che migliaia di tonnellate di libri sulla questione sarebbero stati scritti o che migliaia di intellettuali avrebbero speso tutta la loro vita nei loro studi in questo campo?

* Parole come cultura e civilizzazione, così come molte altre, dovrebbero essere considerate in modo diverso, opposto a quello che comunemente ci hanno insegnato a pensare. Cultura (quale tipo di cultura? Specificare sempre). Civilizzazione (che cosa ha prodotto la civilizzazione e cosa ancora produce?). Riforma (se un male continua a insistere, è giusto ri-formarlo o dobbiamo eliminarlo?). Eccetera, eccetera. Mettere insomma tutto in discussione e abolire la scuola.

L'essere umano nasce cattivo?

 

'Vedo in giro tanta violenza, l'essere umano è così, nasce cattivo'. Quanto c'è di vero in questa affermazione? Ci concederemo una sintesi estrema per rispondere. 
Dovremo anzitutto constatare che le violenze perpetrate dalle persone che hanno ricevuto un potere, e specialmente quelle che esercitano quel potere nel nome della legge, sono violenze enormemente superiori ed estese a quelle che potrebbero commettere se il potere non lo avessero, ammesso che commetterebbero ancora delle violenze. 
La violenza che affligge il mondo statualizzato da circa 5000 anni non è infatti data dalla cosiddetta 'natura umana cattiva' (come ancora qualcuno si ostina a pensare che sia, nonostante questa convinzione sia stata smantellata già da molto tempo), ma è data sia dal possesso legalizzato di un potere da parte di qualcuno - e più grande è il potere, ad esempio quella di un governo, più estesa è la violenza - sia dalle varie appartenenze ideologico-dogmatiche che fanno dell'individuo un elemento qualunque e brutale del branco, un anonimo assoggettato/adattato incapace di pensarsi libero, e che vede nella libertà propria e altrui un attentato all'integrità del mondo. Se una persona singola ha un potenziale di violenza proporzionato al suo essere singola (potenziale affrontabile da altri singoli), nella società statuale la cosa cambia radicalmente, e abbiamo persino due livelli di violenza, quella che discende dal legislatore con la sua legge (non più affrontabile dai singoli), e quella esercitata dal branco nei confronti di tutti i nemici 'pari-grado'; e a decidere chi sia il nemico di turno sono il legislatore, una morale costruita, una ideologia, una religione, e questo insieme di cose che diventano cultura
Se all'interno del branco (dalla patria-famiglia, alla patria-nazione) esistono persone che mettono in dubbio tutto l'apparato culturale su cui poggia questo sistema di violenze, queste persone diventano per il branco nemiche da combattere, ed ecco ancora emergere una violenza dal basso. E poiché il branco sociale è diviso in mille altri modi diversi, le mille altre categorie formate anche per colpa degli effetti della scuola sulla società non possono che dare origine a odii, dissidii e conseguenti altre violenze. 
Ecco in breve il motivo per cui esiste ancora qualcuno che, ignorando il ragionamento e navigando sempre nel mare della banalità o del luogo comune, dice sempre: 'io vedo tanta violenza in giro, vuol dire che l'essere umano è fatto così'. Come scriveva anche Erich Fromm che su questi temi ha scritto abbastanza, l'uomo è potenzialmente molto più violento delle bestie feroci, è vero, ma la sua enorme distruttività è dovuta a un costrutto sociale specifico, non alla sua biologia. E tutto nasce dal concetto di potere, che dovrebbe essere abolito, non conquistato. 'Chi ha il potere è automaticamente pericoloso', dice un vecchio motto anarchico. E' così! 
Esistono popoli ancora liberi e felici che isolano immediatamente quei singoli che, all'interno della loro comunità, vorrebbero ergersi a padroni di qualcuno o qualcosa. Ci sono popoli evidentemente non scolarizzati, quindi ancora intelligenti e umani, che capiscono la gravità del potere in sé e il pericolo mostruoso della creazione di capi o padroni. C'è da imparare. O da reimparare.

La banalità dell'Intelligenza Artificiale

Vi parlo di un'attività personale, ancorché effimera e ludica, perché penso sia utile in questo caso diffondere l'esperienza vissuta. Sto interrogando da giorni la cosiddetta 'Intelligenza Artificiale' per capire, capirla, prevederla, sondarla e scoprire - ed ho scoperto - come in realtà non sia altro che un potenziamento del sistema di comunicazione, in termini di velocità, relativa a una cultura specifica, la nostra, la stessa cultura che da 5000 anni sta conducendo l'umanità alla sua estinzione precoce. 
Quello che ho scoperto, in estrema sintesi, è che sui temi cari alla massa conformata la cosiddetta IA è insuperabile, fenomenale, risponde quasi bene a tutto (dico 'quasi' perché ci sarebbe da dire anche sul modo inutilmente ridondante con cui risponde), mentre se l'argomento è quel grande e complesso àmbito filosofico, politico, sociologico e antropologico che è l'anarchia, noto come questa IA cada in sterili semplificazioni e contraddizioni; insomma, risponde in modo superficiale, banale, stereotipato, proprio come se stessi discutendo con una persona che di anarchia sa ripetere soltanto tutti i luoghi comuni a essa colpevolmente riferiti e diffusi dall'ignoranza collettiva scolasticizzata. Anche se sollecitata a fare di più, a entrare nel merito di precisi argomenti o distinti pensatori, ad esempio sui libri di Proudhon, questa IA, una volta messa alle strette, commenta anzitutto così: 'effettivamente è come dici tu...', ricadendo però subito dopo nei soliti luoghi comuni. Se la correggo e ricorreggo mille volte, accade esattamente come prima: 'hai ragione, effettivamente è come dici tu...', ma continua a riportare il discorso sul campo dello stereotipo, sul pensiero unico. 
L'IA non acquisisce alcuna nuova conoscenza, né ne produce, ma propina le stesse cose, rielaborate, rimescolate, con una ridondanza direi persino stucchevole per i miei gusti. Quindi posso dire questo, associandomi a quanto dice anche Chomsky: la cosiddetta IA non è affatto un'intelligenza, ma un grande archivio di cose già date, già conosciute e codificate, quindi risponde solo in base a ciò che il sistema ha sempre voluto che la massa conoscesse. La differenza con quanto succedeva fino a qualche anno fa risiede nel fattore-tempo: se prima impiegavi qualche giorno nel fare una semplice ricerca sui libri avallati dalla cultura dominante, con l'IA ottieni le stesse risposte di prima, proprio identiche, ma le ottieni subito. 
E oltre a tutto quello che si potrebbe dire e che è stato già detto altrove intorno al 'pericolo IA' (ad esempio che è da sempre in mano alle forze militari o che è una tecnologia incredibilmente energivora), alcuni ricercatori puristi o filosofi come Ivan Illich potrebbero - a mio avviso con diritto - sostenere che con l'IA sparisce anche il gusto della ricerca fatta di biblioteche, archivi, schedari, appuntamenti, spostamenti, esplorazioni, interviste... che sono anche fonte di conoscenze, relazioni, convivialità... in una parola, di umanità! Se posso farvi un invito, è questo: riguardo a certi temi come l'anarchia, è sicuramente cosa utile e buona leggere direttamente i testi dei suoi pensatori, senza alcuna mediazione; di quei testi la rete e le biblioteche sono fornite. Fate dunque delle belle ricerche, ma di quelle vere, gratificanti e umane!

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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