Possiamo riconoscere senza alcuna difficoltà che l'esperienza diretta è quella che sta alla base di ogni buon apprendimento. Lo si scrive da almeno 2600 anni. Eppure la nostra cultura ritiene ancora, attraverso una reiterata e immutata serie di pretesti e di fasulle convinzioni, che i bambini e le bambine debbano imparare fin da subito a sapersi privare della possibilità di fare esperienze dirette e ad essere rinchiusi/e dentro coloratissimi loculi scolastici o familiari. Divieto di esperienza, dunque, che vuol dire anche divieto di trarre piacere dall'autonoma scoperta, dalla libera ricerca, dalla spontanea creatività, dal naturale autoapprendimento, ecc.
Per l'anno nuovo, quello solare che sta per aprirsi, io non ho buoni propositi, perché ce li ho tutti cattivi, come sempre. E quelli farò. Mi auguro infatti di poter dare ancora ai bambini la voglia di evadere o sabotare tutti quei luoghi 'dove molti uomini si rinchiudono o vengono rinchiusi', in cui viene vietata l'esperienza e la gioia, come pure la possibilità di essere pienamente se stessi o quel che si desidera essere. Vorrei continuare a rimanere vicino ai bambini per non imporre loro nulla, per non ostacolare il loro bisogno naturale di vivere, di rifiutare la pedagogia del dover essere, della competizione, della noia ripetitiva, dell'obbedienza, della prevaricazione come valore indispensabile. Se eresia vuol dire creatività, opportunità di emancipazione per il genere umano, liberazione dai dogmi di ogni genere, allora vorrei continuare ad essere additato come eretico di fronte all'oscurantismo di colleghi e colleghe, di dirigenti scolastici e società educata. Continuerò a lasciar decidere i bambini e le bambine le cose che vogliono fare o non fare. Questo, seppur rimanendo - ahimé - all'interno di una cella, ma stabilendo con loro nuovi legami di complicità fondati sul rispetto reciproco, e decidendo sempre insieme il da farsi.
Certo, di vincoli ce ne sono una infinità dentro una scuola istituzionale, vincoli ed ostacoli anche materiali che non permettono di mettere in pratica una reale pedagogia dell'esperienza, né di attivare tutti gli strumenti per favorire lo sviluppo della responsabilità personale, perché, vorrei ricordarlo, libertà vuol dire anche assunzione di responsabilità che si esprime sulla base di una moralità propria, umana, non condizionata. E l'unico modo per imparare la libertà (e quindi la responsabilità) è quello di viverla. Ma come dice Marcello Bernardi:
'Tutti i tipi di esperienza sono guardati con grandissimo sospetto dai genitori, insegnanti e padri spirituali, e impediti nei limiti del possibile. A meno che non si tratti di esperienze programmate e controllate da coloro che si dicono educatori, preferibilmente nell'ambito di quei due istituti di reclusione che sono la casa e la scuola'.
La nostra società, purtroppo, ed ogni eccezione conferma la regola, continua a plasmare/produrre bambini e bambine sull'identico modello pedagogico mercantile e competitivo, antropocentrico e fascista, e questo modello, a sua volta, genererà cloni sociali della stessa caratura valoriale che lo difenderanno e perpetueranno. E' un cane che si morde la coda, e se la morde essendo spinto da falsi pretesti, dai soliti luoghi comuni. Diciamolo: 'chi si fida a concedere un'autonomia a questi scapestrati ragazzini? E' la domanda che si pone Marcello Bernardi scimmiottando gli adulti terrorizzati all'idea di dover lasciare i bambini liberi.
'E se si allontanassero dal loro terreno di cultura, se riuscissero a sfuggire alla custodia familiare e scolastica, se incontrassero delle cattive compagnie, se imparassero che si può essere diversi da come li vogliono i grandi che sanno qual è il loro bene? No, no, andiamoci cauti. L'autonomia, per i nostri bravi educatori, va bene solo per chi non ne ha più bisogno, cioè per l'adulto ormai inserito nel sistema. Non ne ha più bisogno, costui, semplicemente perché non è più capace di farne nessun uso.Si vorrebbe che l'individuo, dalla nascita al servizio militare, facesse e conoscesse solo quello che scelgono gli altri, quelli che 'ne sanno più di lui'. Lo si vorrebbe sempre a portata di mano, sempre sotto controllo. Che poi non ci si riesca, è un altro affare. Il fallimento, giustificano gli aspiranti controllori, è un segno di questi tempi nefandi, è la conseguenza della generale corruzione e del ben noto 'tramonto dei Valori'.Se un bambino, o un ragazzo, può disporre degli strumenti che gli servono, e in primo luogo di quel tanto di autonomia che gli permetta di fare le sue esperienze, egli evolve e progredisce. E da questa sua autocostruzione nasce in definitiva la sua regola di vita. Non dalle indicazioni più o meno autoritarie che gli vengono date dagli altri [...] Il compito del rapporto educativo, diciamolo ancora una volta, non è quello di stampare in un individuo determinate qualità, ma bensì quello di aiutare l'individuo a sviluppare le sue qualità'. (M. Bernardi: 'Educazione e libertà', Rizzoli).
A scanso di equivoci, sempre facili a venire a galla in questi casi, direi che 'aiutare' non dovrebbe mai tradursi con il pretestuoso 'te lo impongo per il tuo bene'. Aiutare significa anzitutto incontrarsi in un rapporto non gerarchico, paritario, libero, dentro un contesto altrettanto libero, svincolato da burocrazie e strutture competitive. Il resto è vera vita. Buon anno nuovo a voi.
Nella foto: la scuola La Ruche di Sébastien Faure