Una citazione al giorno

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Data Rivoluzionaria

Utilità del lavoro secondo un libro di grammatica

A cosa dovrebbe servire il lavoro? Naturalmente alla formazione del benessere sociale, a soddisfare le necessità non soltanto personali, ma di tutta la collettività. In quest'ottica, va da sé che ogni lavoro diventerebbe importante e ogni lavoratore/trice rivestirebbe la medesima importanza nella società. Ma per un libro di grammatica quest'obiettivo comunitario del lavoro non deve far parte del bagaglio culturale dei giovani.
Si tratta del testo scolastico dal titolo 'Parole in riga', scritto da Silvia Fogliato, casa editrice Loescher, dove si invita l'alunno/a ad analizzare la seguente frase: 'Tu lavorerai per la gloria, ma a me interessano i soldi'.
Questo è un tipico esempio di come la scuola fornisca sempre elementi precisi (pochi e accuratamente scelti), affinché il cervello possa elaborare un altrettanto preciso pensiero, non un altro. E dato che a farne le spese sono i giovanissimi (la futura società), l'elaborazione dei dati forniti dal testo non riguarda soltanto il cervello, ma soprattutto la coscienza. Quindi, nel caso specifico, il libro offre alla mente del giovane e alla sua coscienza solo due opzioni possibili in merito all'utilità del lavoro:
1) si lavora per la gloria.
2) si lavora per acquisire superiorità economica, quindi potere sugli altri.
Abolito il valore sociale del lavoro! Non esistono altre opzioni! E ammesso che qualcuno possa scegliere di lavorare per la gloria, ciò significa che siamo di fronte a:
1) uno che possiede già tanti soldi per cui il lavoro è solo un'attività secondaria.
2) uno che pone come obiettivo la fama e il successo, quindi potere economico, quindi dominio sugli altri.
In ogni caso, come fanno tutti i mass media e coerentemente al sistema imposto, al giovane viene offerto sempre e solo un modello di superiorità, di competizione, di potere economico, di dominio sugli altri. Secondo i principii del libro in questione, sarebbe andata benissimo anche l'opzione 'a me interessa sposare il figlio o la figlia di Berlusconi'. Ecco come si aiutano i ragazzi e le ragazze a crescerli nel pensiero unico, acritico, e nell'ambizione del dominio che non genera mai armonia sociale, tutt'altro.

P.S. A scanso di equivoci, avere tanti soldi non è un problema, lo è quando il modello gestionario della società è quello attuale, statale, capitalistico, gerarchico, autoritario.

Il rappresentante dei libri di Stato

Come ogni anno, di questi tempi, nelle scuole arrivano i rappresentanti delle case editrici per proporre i libri di testo per l'anno successivo. Nella scuola dove lavoro arrivano sempre tre o quattro rappresentanti, sempre quelli, sempre quelle case editrici, come se non ne esistessero più sul territorio nazionale. Ma poi cosa importa -mi dico- anche se di rappresentanti dovessero arrivarne cento o mille, tutti i loro libri conterrebbero sempre le stesse informazioni, quelle che convengono allo Stato.
L'altro giorno arriva uno di questi signori incravattati con dei testi di 'Arte e Immagine' da propormi, tutti belli impacchettati e cellophanati, ne presentivo già il buon odore, ma solo quello. Il rappresentante comincia a parlarmi della possibilità di scaricare il materiale anche da internet (non è una possibilità, ma una recente disposizione del ministero), che la ricerca delle immagini è stata più accurata, che all'interno c'è anche un dvd, ecc. Fin qui tutto chiaro e lineare. Però alla fine l'ho invitato a sfogliare insieme a me il suo libro. Comincio sempre dall'indice, gli dico.
- Perché dall'indice?
- Ma perché basta un'occhiata per capire.
- Capire cosa?
- Il grado di censura dello Stato.

(mi guarda stralunato e indispettito)

- Senta -gli dico- ma lei ha agganci direttissimi con l'editore?
- Sì, perché?
- Allora, per favore, può dire all'editore che anche in questo libro mancano migliaia di anni?

(ancora più stralunato, ma interessato)

- E cosa mancherebbe?
- Guardi, anzitutto mancano le società gilaniche.
- Le società che?
- Le società gilaniche, o acefale, o senza Stato. Insomma, qui manca la parte dove si viveva tutti in pace, in anarchia, in cooperazione, senza guerre. E poi guardi qui, il libro parla di 'inizio della civiltà' solo in corrispondenza delle prime monarchie, dello Stato, delle guerre, dei faraoni e degli schiavi in Egitto. E' questa la civiltà?
- Eh sì, prima non eravamo civilizzati.
- Questo lo dice lei perché anche lei ha studiato su questi libri, o ha informazioni televisive, di massa. Così non conoscerà neanche l'archeologa Marija Gimbutas, e come tutti associerà l'isola di Creta al re Minosse -come dice anche il suo libro- e non sa invece che anche Creta è stata una società libera e gilanica prima di quel re, che poi non è neanche esistito, ma è sufficiente che sia un re, ancorchè inventato, perché lo Stato ne faccia il proprio vanto di 'civiltà'. Io invece penso che la civiltà sia là dove l'arte era fiorente, prima di Micene, e dove non vi sono guerre.
- Ma lo sa che mi interessa davvero questa cosa? Ora mi annoto tutto e vado a fare una ricerca.
- Il libro è zeppo di censure, questa è solo una delle tante.

(e inaspettatamente...)

- E' vero, posso confermarglielo, ci sono molte cose non scritte.
- Ma certo, posso anche capire, ma non posso tollerare che i miei studenti rimangano ignoranti su queste informazioni così preziose. Guardi, non viene scritto neanche che la maggior parte degli artisti erano anarchici, soprattutto tra il 1830 e il 1930, coadiuvati da letterati e poeti altrettanto anarchici, ma di cui non si deve conoscere la loro idea politica, mentre invece tutti devono sapere che Marinetti era interventista e abbracciò il fascismo, come D'Annunzio. Ci sarà un motivo in tutto questo, no?
- La censura ha sempre un motivo. E' ovvio che lo Stato faccia cancellare parti di Storia a lui sconvenienti. E poi, come si dice, la Storia è scritta dai vincitori. Però se lei conosce quelle parti cancellate penso sia giusto che le faccia conoscere agli studenti.
- E' quel che faccio, ne stia certo, gli dica anche questo all'editore. E gli dica anche che se volesse pubblicare uno dei miei testi, di cui già facciamo uso 'clandestino' qui a scuola, di tanto in tanto, sarei disponibile alla cosa. Ma non credo accetterà.

Complicità e fiducia

Il rapporto che si è instaurato tra me e gli studenti è di complicità, ma anche di fiducia reciproca, questo si rivela una forza in ogni situazione, la fiducia è un cemento potente che sviluppa e genera empatia. Un insegnante anarchico diventa allora un veicolo di fratellanza tangibile ed anche un amico cui scaricare le tensioni e le rabbie represse nei confronti di un sistema scolastico ipocrita che crea continuamente paure e ingiustizie. Perché introduco in questo modo? Per due motivi.

1) L'altro giorno i miei studenti sono stati presi dai colleghi, sono stati coperti con una bandiera nazionale, e sono stati letteralmente costretti a cantare l'inno di Mameli. Sono stati riempiti di retorica nazionalista, di quel nazionalismo che è il seme di ogni razzismo e linfa vitale per tutti i fascismi, ubriacàti di ipocrisia e di propaganda autoritaria. Esibizione in pubblico, ovviamente, sennò la propaganda non avrebbe avuto alcun senso.
Peccato però (per la propaganda fascista) che i miei studenti erano ben coscienti di quel che stavano facendo. Sin dall'inizio dell'anno scolastico, infatti, ho chiarito loro il senso nefasto di Stato, di confine, di bandiera, di inno nazionale... Proprio per questo i ragazzi, qualche giorno prima della loro esibizione, mi avevano avvisato di questo show circense e della loro partecipazione forzata a cui avrebbero voluto dire no, e avevo detto loro:
in questo sistema coercitivo non potete sottrarvi a questa esibizione senza ricevere una punizione, e non potete neanche esprimere opinioni contrarie a quelle della maggioranza senza essere additati o accusati, e non potete neppure -come dite di voler fare- rimanere muti quando arrivate al 'siam pronti alla morte', ma andate con questa vostra coscienza, cantate tutto, ma con la consapevolezza di quello che vi faranno fare.
Così è stato, hanno cantato, ma la loro consapevolezza di stare dentro a un raduno di neobalilla li ha resi ancora più determinati e forti. Così oggi me li son ritrovati tutti in classe a riversare su di me il loro disgusto, si dovevano pur sfogare ed io ero lì apposta per ricevere ogni loro impeto di rabbia. Li ho ascoltati tutti, pazientemente, e alla fine ho sentito la necessità di chiosare:
ci vadano loro a morire per la patria, io non ne ho bisogno, la mia patria è il mondo intero e nemici non ne ho, oltre ogni loro confine io ho solo fratelli e sorelle!
Esultanza catartica generale.

2) Il piccolo Narim (11 anni) è nato in Turchia, vive in un contesto familiare autoritario dove il padre è a capo di tutto e può fare quel che vuole, salvo quelle mansioni che, secondo la legge del patriarcato più oscuro, soltanto una donna può fare, come cucire. Oggi Narim si è involontariamente strappato i pantaloni a livello della tasca, niente di che. Gli ho detto che poteva benissimo cucirseli da solo una volta tornato a casa, ma lui per tutta risposta mi ha detto ridendo: 'non sono mica una donna'! Gli sono andato vicino, mi sono abbassato sulle gambe finché i miei occhi non si sono allineati ai suoi, e con tono serenissimo e complice gli ho chiesto: vuoi che ti insegni a cucire? I suoi occhi hanno prima trasmesso stupore (come a voler dire a se stesso: 'ma se il prof è un uomo e sa cucire, allora non è vero che il cucito è roba per sole donne'), e poi, con un bel sorriso convinto, mi risponde di sì. Dopo una mezz'ora, Narim ha tenuto a ricordarmelo: 'prof, allora porto ago e filo, eh'?

Resistenze antilibertarie

Non tutti i bambini trovano immediata facilità nella comprensione della libertà e dell'anarchia, ma la maggioranza sì. Ho studiato, e sto ancora studiando, quei casi in cui il fanciullo adotta una sorta di resistenza al concetto di libertà, quindi alla sua pratica. Tra questi casi posso annoverare quelli in cui il bambino vive in un contesto familiare molto autoritario o borghese. In questi àmbiti familiari, tutta la vita del bambino è regolata da rigide convenzioni dettate da un padre padrone conformista o da una madre eccessivamente premurosa che trasforma inconsapevolmente le sue premure in leggi severissime e soffocanti.
Un caso particolare è quello di una bambina che quest'anno è arrivata dalle elementari. Mi occorre un'attenzione maggiore per poter capire l'origine della sua resistenza alla libertà. Posso però dire di aver già capito qualcosa grazie a un elemento assai sintomatico che mi ha aiutato a mettere più a fuoco la questione. Si tratta del disegno qui sotto:


Una mia collega, un giorno, aveva ordinato ai bambini di questa classe (11 anni) di fare un disegno che illustrasse il loro sogno lavorativo. Come dire: 'disegna quello che vorresti fare da grande'. Quando sono entrato in classe i disegni erano già tutti appesi alla parete, e c'era anche quello di questa bambina. Come vedete, il disegno rappresenta degli elicotteri militari a livrea mimetica che, durante il loro volo, sparano raffiche di mitra. Subito mi aveva sorpreso la livrea mimetica, perché rivelava una conoscenza specifica degli aeromobili militari e del militarismo in generale.
Le avevo chiesto come mai questa passione per le armi, ma non avevo ricavato una risposta esaustiva, piuttosto una certa reticenza e un misero 'mi piacerebbe fare la pilota di aerei militari'. Provai a entrare più nel merito e le chiesi se le piacesse fare la guerra e uccidere; mi rispose in un modo che rivelò qualcosa in più. Mi disse: 'ma i soldati portano la pace'. E' indubbio che un'affermazione simile poteva averla udita soltanto dai media o dai genitori che proprio dai media si lasciano condizionare. Una demagogia militarista di stampo fascista non appartiene a nessun bambino libero.
Mi ero preso dei giorni di riflessione prima di farle notare che i suoi 'pacifici' elicotteri disegnati sparano con tanto di proiettili infuocati. Ma l'altro giorno, quando ho percepito che fosse il momento giusto per chiederle direttamente chi dei due genitori avesse a che fare con l'ambiente militare, è venuto fuori che il padre ha una grande passione per le armi, e che questa passione è stata trasferita alla figlia, fino a farla convincere delle seguenti cose:
1) la guerra è pace (di orwelliana memoria).
2) il militarismo può essere motivo di orgoglio anche per una donna.
3) nella vita bisogna prevalere, e bisogna farlo utilizzando il 'prestigio' delle armi.
4) la divisa affascina.
Si spiega allora la resistenza e persino l'avversione alla libertà. Se poniamo la libertà ad un estremo speculativo, noteremo quindi che la guerra ne è il suo opposto naturale. Ne consegue che la libertà genera la pace, mentre la guerra genera solo se stessa. Chi riconosce il militarismo - e tutto ciò che gli gira intorno - quale fattore utile alla società, se non addirittura bello, è distante anni luce dalla libertà e da una vera idea di pace, e combatterà in tutti i modi possibili affinché libertà e pace non si realizzino.
Un gran lavoro mi aspetta.

Dovrei parlare del carcere

Se c'è un argomento delicatissimo da trattare è quello del carcere. E' questo un tema che tocca in modo fortissimo le corde della sensibilità di ognuno, soprattutto di quelli la cui distanza dalla concezione di un altro sistema di gestione comunitaria è siderale.
L'altro giorno osservavo e ascoltavo i bambini parlare del più e del meno e, a un certo punto, uno di loro ha detto 'ecco, per quelli ci vorrebbe il carcere'. Quante volte lo sentiamo dire? Ma cosa c'è dietro questa affermazione? E cos'è il carcere, al di là di ciò che viene detto o percepito comunemente e superficialmente? Ora, siccome il bambino che ha fatto quell'affermazione, guardandomi, ha poi aggiunto un severissimo 'vero, prof?' io a quel punto ho chiesto a tutti se avessero voglia di conoscere il mio punto di vista in merito. 'Sì', mi hanno risposto. E dato che il tempo concessomi dalla scuola stava per terminare, ho promesso ai ragazzi che ne avrei parlato un altro giorno.
Faccenda molto delicata, dicevo, anche perché c'è il rischio che non venga capita fino in fondo la natura del carcere, che è intimamente legata ad un metodo sociale burocratizzato, gerarchizzato e fortemente punitivo quale è lo Stato. Faccenda delicata, certo, perché è difficile smantellare la comune convinzione che vede la detenzione coattiva delle persone come oggettiva e giusta necessità sociale. Credo che mi servirà un percorso mentale preciso e lineare, non credo, in questo caso specifico, di poter andare 'a braccio'.
Perché sto scrivendo questo? Perché in questo diario aperto voglio che rimanga traccia della mia preoccupazione, oggi, nel sapere di dover trattare un argomento così serio e profondo. Dovrò parlare a degli undicenni, è vero, ma la mia unica speranza è proprio questa, cioè quella di sapere che di fronte a me avrò degli undicenni, e non degli adulti già troppo sclerotizzati nelle loro false convinzioni. Ce la faranno i ragazzini a capire questo argomento come hanno capito l'anarchia? Domanda sbagliata, quella corretta è: ce la farò io?

La pedagogia del 'perché si è sempre fatto così'!

Ho avuto uno scontro con una sedicente 'educatrice'. Questa signorina -come le altre- viene a scuola perché ha ricevuto l'ordine di 'seguire' un bambino. In questo aberrante sistema, il verbo 'seguire' viene normalmente interpretato in questo modo: 'ti dò la licenza di impartire ordini e leggi alla tua vittima'.
Questo bambino, per motivi che non sto qui a dire, è affidato a una comunità, quindi deve essere 'seguito' da un'équipe di 'educatori'. Il bambino non è per niente stupido, al contrario brilla di inventiva, di energia vitale, evidentemente troppa per chi ha già deciso la sua triste sorte. Questo bambino quindi 'vive' adesso in una ferrea gabbia di costrizioni che altri stanno decidendo per lui, dicono 'per il suo bene'. Invece io vedo benissimo che il metodo autoritario e le regole che gli stanno somministrando non fanno altro che generargli molte sofferenze, inquietudini, angosce, perdita di autostima. E' evidente che tutte queste sofferenze devono essere sfogate in qualche modo, quindi il bambino si mostra esagitato, con punte di estrema irrequietezza, che non è l'irrequietezza positiva di chi vuole manifestare platealmente la propria personalità e le attitudini, ma quella negativa del ferire gli altri per liberarsi dall'oppressione degli altri. E tanto più il bambino manifesta il suo desiderio di liberarsi dalle costrizioni, quanto più rigide sono le regole e le punizioni che gli vengono inflitte. Questo è, per l'educatrice di cui sopra, l'unico mezzo efficace e giusto. Lo è anche per i miei colleghi, per tutti. Praticamente, è come curare il dolore colpendo col martello la parte dolorante, denigrando al contempo chi dice che quel metodo è sbagliato.

Il fatto:
Entro a scuola, il bambino mi vede, come sempre è contento di vedermi, ci abbracciamo e facciamo feste. Attenzione adesso. Seduta accanto, la sedicente educatrice sente la necessità di intervenire (perché?) con un rimprovero al bambino: 'cosa ti abbiamo detto ieri? Non si dànno le pacche ai professori'. Ho chiesto il perché di questo rimprovero e del fatto che gli si debbano vietare le pacche sulle spalle ai professori. La signorina rimane interdetta e, come sempre succede quando si pongono domande precise riguardo argomenti razionalmente insostenibili, la sua risposta è vaga, vuota, stupida, priva di alcun senso logico, rispondente soltanto al metodo autoritario. Mi dice infatti: 'perché è giusto così'. Cosa vuol dire è giusto così? Perché è giusto così? Mi risponde: 'bisogna portare rispetto ai professori'. Continuo il giochino del perché e, dopo averla condotta al punto cruciale della questione, insistendo sul motivo per cui bisogna portare rispetto ai professori, la signorina in panico totale ha pensato di chiudere l'argomento con un laconico quanto insensato 'perché si è sempre fatto così'. Bella pedagogia!
Questa è l'educatrice in questione (che per l'applicazione dei metodi autoritari e per la chiusura intellettuale non è dissimile dai miei colleghi), priva di qualsiasi conoscenza pedagogica, abituata ai metodi fascisti, assoldata con piacere dalla comunità, dal Comune, dai servizi sociali. L'ho lasciata col mio suggerimento di leggersi qualcosa di Ivan Illich o di Marcello Bernardi, perché -le dico- la pedagogia nel frattempo è andata avanti. Naturalmente non leggerà nessun libro, perché l'autoritarismo è presuntuoso e non ammette neanche la propria ignoranza.

P.S. Quel 'si è sempre fatto così', è esattamente la stessa vuota esclamazione detta da quelli che, non sapendo o non volendo ascoltare l'ideale anarchico, perpetuano il sistema con il loro voto perché, in fondo, si è sempre fatto così. E tutte queste persone si reputano persino progressiste, financo responsabili.

Un disegno di Simone

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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