Una citazione al giorno

Una citazione al giorno -
Data Rivoluzionaria

Peggio del carcere? Forse si può

Cosa mai potrà pensare una mente munita di un solo tipo di cultura, segnatamente autoritaria, riguardo a quel che essa definisce crescita e sviluppo morale? Questo tipo di mente plasmata in modo autoritario non potrà far altro che pensare di inasprire gli strumenti che già conosce, credendo convintamente di fare del bene. Allora vediamolo questo bene.
Mi sono opposto agli ordinamenti interni della scuola dove attualmente insegno, le norme autoritarie di sempre, ma anche ad una regola tutta nuova decisa dall'alto che solo a pensarla mi si orripila la pelle, figuriamoci a vederla messa in atto ogni giorno, nonostante le mie proteste. Si tratta di un divieto, naturalmente. In questo carcere per minori, la sospirata ora d'aria (un quarto d'ora) viene suddivisa in tre spezzoni. Nei primi 5 minuti vanno in bagno soltanto i ragazzi di primo anno, nello spezzone successivo soltanto i ragazzi di seconda, e infine quelli di terza negli ultimi 5 minuti. Il motivo è il seguente: 'evitiamo di far bisticciare i grandi coi piccoli, che poi succede anche che quelli grandi insegnano ai piccoli persino a fumare in bagno'. La scuola tradizionale non si chiede mai 'ma che diavolo stiamo facendo se alleviamo ragazzi progressivamente sempre più ostili e bulli'? Questa domanda è bandita dalla coscienza dei colleghi e delle colleghe, censurata completamente, direi rimossa freudianamente, perché la colpa del fallimento non deve mai riguardare la pedagogia autoritaria in uso da secoli. Così questo scaglionamento forzato dovrebbe - secondo la scuola - eliminare il problema del bullismo, che invece resta e si inasprisce ancora di più, prove alla mano.
Sì, ma non è tutto, ahimé. Quando i ragazzi divisi ancora di più tra loro, per classe ed età, ritornano dal bagno (e devono farlo in fretta), si devono chiudere nelle loro rispettive classi-celle anche se la 'ricreazione' non è finita. Vietato incontrarsi anche nei corridoi. Ed eccoli chiusi in cella questi ragazzi, dove naturalmente, con la voglia di muoversi che si ritrovano dopo tre ore di immobilità forzata e innaturale, si fanno del male. Un'ottima idea anche per redarguire il secondino 'responsabile' della sorveglianza, cioè quel personaggio che ancora oggi viene ostinatamente chiamato docente
Che cosa voglia dimostrare la scuola autoritaria con questo ulteriore provvedimento non mi è ben chiaro, dato che solitamente la scuola suole darsi lustro con parole del genere 'qui noi promuoviamo la socializzazione'. La socializzazione è sempre stata una chimera già con un misero quarto d'ora insieme nel cortile (là dove esiste un cortile, da noi c'è, ma è ormai considerato una sorta di visione per sognatori utopici e romantici, roba da anarchici), ma forse per i sapienti della pedagogia autoritaria questa ulteriore separazione coercitiva risolverà il problema e tutti saranno più socievoli (o piuttosto socializzati?). In verità io sto toccando con mano soltanto un acuirsi dei conflitti. L'altro giorno una ragazzina di prima che non era riuscita ad andare in bagno durante 'il suo turno' ci è andata quando c'erano i ragazzi di seconda, e uno di questi l'ha schernita dicendole: 'ma che ci fai tu qui? Non puoi stare con noi, che sei piccola, vattene!'. Un insegnamento encomiabile per il futuro cittadino della 'società civile'. Le cronache riportano che nelle patrie galere si riscontra molta più solidrietà tra i reclusi, ma questo perché le patrie galere non sono camuffate da istituti scolastici.
Queste sono le meraviglie della scuola tradizionale, frutto dell'ingegno dei pedagogisti del sistema. La cosa che mi tormenta di più non sono quei pedagogisti allineati e prezzolati, ma i colleghi e le colleghe che accettano tutto passivamente e che non trovano nulla di male in tutto questo, anzi, mi guardano in cagnesco se lo contesto. Si dice che questa sia una società di sbirri dentro, dovremmo aver capito già da tempo in che modo ci si diventa.

Gustavo Esteva

'...A quel punto, sia mia figlia che noi genitori sapevamo che il problema non è la qualità della scuola, ma la scuola stessa. Per quanto riconfigurassimo l’aula, il programma di studio, ecc., la scuola rimaneva il problema e non la soluzione. Per quanto la nostra scuola fosse libera, per quanto fossero belli l’albero e il giardino che sostituivano l’aula, per quanto gli insegnanti fossero aperti e creativi, la nostra scuola era ancora una scuola. (Illich l’avrebbe messo in luce con estrema chiarezza nel suo Descolarizzare la società, come ho scoperto molti anni dopo)'.

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